“Travolti da un insolito...” Stato di Natura tra Eros e Potere

“Travolti da un insolito...” Stato di Natura tra Eros e Potere

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di Giulia Bertotto

 

“Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”, è il nono film (1974) della regista italo-svizzera Lina Wertmüller, vincitore del David di Donatello nel 1975 per il miglior musicista con Mariangela Melato e Giancarlo Giannini. Il primo agosto di quest’anno festeggiamo gli 80 anni dell’attore protagonista Giancarlo Giannini, e con l’occasione proponiamo questa recensione.



Travolti...da passione e potere

In Travolti, Giannini interpreta il ruolo di Gennarino Carunchio, marinaio siciliano e comunista, a servizio sullo yacht della ricca borghese Raffaella Pavone Lanzetti, impersonata da Mariangela Melato: anticomunista, repubblicana, viziata, polemica, che immersa nella sua logorrea pedante, non perde occasione per inveire contro la dottrina di Marx, come per umiliare e mortificare Gennarino e l’equipaggio perché di volta in volta gli spaghetti sono scotti, il caffè freddo, le magliette sudate.

“Stalin lo vede come genio e sregolatezza...ah i campi di concentramento guarda, li organizzava benissimo in Siberia! una contabilità per-fe-tta!” sbraita contro gli amici.

Una iper-reazione alla sua depressione da dolce far niente? Una donna impetuosa che nessun uomo ha mai saputo accogliere davvero? Fatto sta che proprio per assecondare la prepotente ostinazione della ricca signora, Gennarino e quest’ultima si troveranno naufraghi su una piccola isola selvaggia. Raffaella “brutta bottana socialdemocratica”, che non ha mai fatto lavori manuali, non sa in alcun modo arrangiarsi nel cucire reti da pesca, appuntire la lancia, cacciare piccoli animali, mentre il “Signor Carunchio” -così si fa chiamare Gennarino sull’atollo- se la cava alla grande. Se lei vuole mangiare e trovare riparo durante la notte deve essere educata, deve essere gentile, di più: deve essere sottomessa, deve pagare tutte le iniquità dell’umanità. Sull’isola tutto è rovesciato: lei deve elemosinare cibo e riparo se vuole sopravvivere e lui ne approfitta per tirare fuori tutte quelle rivendicazioni sociali inascoltate. Fino a pretendere da lei non il corpo, ma il cuore, l’amore. Lui vuole risarcire a se stesso l’ingiustizia del mondo con il sentimento di Raffaella.

Raffaella lo provoca: “eccolo, la rivolta dello schiavo, la presa della Bastiglia, fa lui!”. La storia dell’ingiustizia sociale viene ripercorsa a suon di percosse che Gennarino assesta sul viso senza i segni della fatica della donna: “Questo è per la crisi economica in cui ci precipitaste, a non pagare le tasse e a protare i soldi alla Svizzera, questo è per gli ospedali che un poveraccio non ci riesce a entrare mai, e questo è per l’aumento della carne, del parmiggiano, delle tariffe filotranviarie e della benzina...” e via così fino ad un conturbantissimo bacio.

Raffaella non fa più resistenza: ammaliata da quell’uomo forte, “domata” l’insoddisfazione da quel patigiano virile, intelligente ma non intellettuale, pieno di risorse, capace finalmente di interrompere il flusso delle sue lamentele e capricci, scoprirà l’erotismo di una vita autentica e genuina, nella quale il piacere e la fatica, il lavoro e il guadagno, lo sforzo e l’appagamento sono equilibrati. Una vita in cui c’è la soddisfazione della conquista e la responsabilità del risultato.

Sullo yacht Gennarino così commentava con il capo marinaio lo stile di vita degli affittuari dello yacht: “ma che razza di mariti sono, c’hanno lasciato tutte le redini sul collo e le femmine naturalmente se ne approfittano. Il marito che va al letto e la moglie che rimane a giocare e a bere...ma tu vedi che bell’educazione!”

“Ma perché tu scusa Gennarì, la sera a casa tua che fai?” “Vado a giocare e bere”. “E tua moglie va al letto invece no?” “Ma io sono maschio!” “E loro fanno il contrario di quello che facciamo noi con le nostre mogli!” “Appunto, bell’educazione, sti fetusi che ce rovinano tutte le femmine!”.

Secondo il giusnaturalista Gennarino c’è una legge che orienta l’ordine dei ruoli tra uomo e donna, ma il capitalismo ribalta quello che la natura ha deciso: la donna al governo della casa e il proletario al governo delle cosa pubblica. Gennarino è un comunista conservatore.

Ora la vita incontaminata rovescia i ruoli, o forse li ristabilisce, una sorta di stato di natura di matrice rousseauiana ripristina quelle leggi di natura che il capitale ha deviato. Una premessa è doverosa: “natura” è una delle parole più ambigue della storia del pensiero filosofico[1].

Nello stato di natura tuttavia non si è tutti uguali, perché pur non essendoci le disparità del sistema delle classi, tuttavia sono irriducibili le disparità della forza fisica, agilità, velocità, scaltrezza e della capacità di adattamento.

Del resto i saggi e i mistici di ogni epoca ci insegnano che solo nell’unità divina, nell’Uno plotiniano, in quel “Tutto in tutti” (1 Corinzi 15, 26-28) di cui parla Paolo di Tarso non vi sono differenze, non vi sono sofferenze. Ma torniamo sulla nostra isola.

Il nodo è: lo stato di natura appare ingiusto e lo stato di diritto lo stesso.

Dovremmo chiamare anche le differenze che ci toccano alla nascita “ingiustizie”? O le condizioni in cui ciascuno di noi viene al mondo rispondono ad un perfetto ingranaggio provvidenziale ma imperscrutabile? Dovremmo allora, per giustificare le diverse condizioni in cui ciascuno emette il primo pianto, ricorrere al dispositivo della reincarnazione come nella dottrina orfica e platonica? E poi cosa fare, mettere i remi in barca e accettare lo stato di cose che troviamo al nostro orizzonte e puntare solo sulla crescita interiore finché non saremo “Tutto in tutti”?

Stato di natura, un’isola perduta?

La questione è davvero lunga, più del titolo della pellicola. Secondo molte dottrine filo-teologiche sia orientali sia occidentali, l’essere umano ha spezzato un equilibrio divino, così è caduto nello stato dell’ingiustizia, nella dimesione della diseguaglianza. Nella teologia cattolica dal momento in cui il primo uomo e la prima donna -progenitori mitici dell’umanità- hanno morso il frutto della conoscenza, la donna è stata condannata a partorire con dolore e l’uomo a lavorare con affanno. La coppia pre-cosmica è stata così cacciata dal paradiso terrestre, da quell’isola meravigliosa che fu prima del tempo e del mondo.

Secondo invece il mito “laico” del “Buon selvaggio”, in voga nel periodo umanistico e romantico, l’uomo viene alla luce in uno stato di innocenza, è poi la civiltà a corromperlo, è la perversione borghese a viziare la natura umana.

Secondo i seguaci del Buon selvaggio quando l’uomo viveva secondo natura non avvertiva la necessità del dominio e così non ricorreva all’uso della violenza. Poi subentrò la coercizione sociale e così in alternativa a questa forma fraudolenta di dominio, venne stipulato il contratto sociale, istituzionalizzazione dell’ingiustizia da un lato, ma unico modo per contenere la barbarie dall’altro. Il filosofo svizzero credeva quindi in una natura umana spontaneamente genuina, animata da spirito di collaborazione più che di competizione, verso il prossimo. Questa teoria, cara agli illuministi, venne criticata dai pensatori cattolici in quanto presupponendo una natura umana benigna, corrotta solo dai mali del progresso sociale, negava la tara ontologica del peccato originale e illudeva così l’uomo di potersi salvare da se, senza l’intervento della grazia divina.

Il pedagogista Rousseau si situa agli antipodi del filosofo inglese T. Hobbes, che vede nello stato di natura caos, violenza e brutalità, condizione primitiva riassunta nella celebre formula latina “bellum omnium contra omneshomo homini lupus”, ossia l'uomo è un lupo divoratore per ogni altro uomo. Unico rimedio: il Leviatano, monarca assoluto e indiscutibile.

Come la prima donna e il primo uomo, Raffaella e Gennarino vivono una passione senza pudore. In un momento intensamente sensuale -che diventa subito ironico- lei lo supplica ardentemente: “sodomizzami” ma lui non comprende le sue parole. Il divario culturale è ancora lì, e avverte i due naufraghi che la civiltà incombe ancora su di loro. Lui finge di capire, colto da imbarazzo, e poi la insulta per aver parlato in maniera “difficile”. Lei risponde di essersi espressa con quel termine perché sarebbe stato volgare esprimere altrimenti tale desiderio.

Gennarino le risponde che, e qui c’è l’eco pasoliniana, “Non c'e volgarita nell'amore, la volgarità l'avete inventata voi ricchi”.

Lui però vuole una prova d’amore, vuole testare se quel sentimento così travolgente resisterebbe all’urto della vita quotidiana nel sistema, alla discrepanza del loro status sociale, livello di istruzione e contesto culturale. Così quando vicino alla costa appare una barca, lui accende il fuoco per farsi vedere e soccorrere. Il finale, è di chi lo ha visto o lo vedrà.


Un solo film, tante letture

Dal punto di vista psicologico “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto” è un film sulla forza irresistibile della passione, sul rapporto viscerale tra sessualità e potere, meccanismi del dominio e della sottomissione implicati in ogni relazione, dinamiche che apprendiamo inconsciamente fin dalla più tenera infanzia e che condizionano i nostri comportamenti seduttivi ed erotici[2].

Sul piano metafisico è un film sull’impossibilità dell’amore di radiscarsi nel mondo per via dell’ingiustizia ontologicamente fondata sulla dualità sostanziale e irruducibile, rappresentata anche esteticamente dai due protagonisti: lei bionda, settentrionale, ricca, non certo comunista; lui membro del partito comunista, non abbiente, moro, meridionale.

L’amore è anche una bussola che deve guidare i marinai verso l’unità metafisica dove non c’è conflitto, distinzioni di natura e di diritto “là dove l’angelo più alto e la mosca e l’anima sono uguali”[3]. La disuguaglianza, in questa interpretazione, non è effetto di una natura compromessa dalla civiltà o dal capitalismo, ma condizione ontologica del creato che si risolverà solo alla meta escatologica, quando l’intero creato sarà in pace e neppure la catena alimentare nutrirà il sangue: “Il lupo abiterà con l'agnello, e il leopardo giacerà con il capretto; il vitello, il leoncello e il bestiame ingrassato staranno assieme, e un bambino li condurrà. 7 La vacca pascolerà con l'orsa, i loro piccoli giaceranno assieme, e il leone mangerà la paglia come il bue” (Isaia 11,6-8).

Secondo una delle interpretazioni in chiave politica possibili, quella della Wertmuller è una sceneggiatura sulle illusioni di quell’ideale che ancora oggi chiamiamo comunismo perché “I ricchi ti fottono sempre”.

L’ingiustizia allora appartiene già alla natura o sorge delle disuguaglianze del capitalismo? O forse l’ingiustizia è sempre e solo apparente poiché non conosciamo il disegno che guida il cosmo? Non c’è nulla di ingiusto negli eventi che ci accadono perché il progetto è perfetto ma all’uomo è occulto e segreto?

Forse è tutto giusto così, con i ricchi ancora in fuga sopra ad un elicottero privato e il povero sotto, a maledire il mare “che era amico e ora mi hai schiacciato il cuore”?

Questo film è un sogno erotico, la visione onirica di un’utopia sociale spezzata, una tragedia d’amore shakesperiana, è la vicenda simbolica dell’umanità, dall’incanto alla caduta.

Di sicuro Travolti è un film che oggi causa attacchi isterici ad alcune femministe da rotocalco, ai moralizzatori arcobalenici e ai paladini del politicamente corretto. In un mondo ancora dolorosamente corrotto.



NOTE

[1] Questa fondamentale osservazione che deve guidare tutta la precarietà ontologica della nostra riflessione, è del filosofo Norberto Bobbio. Dove nell’uomo finisce la natura e inizia la cultura? Dove finisce la cultura e si solleva la spiritualità?

[2] Questo tema lo troviamo anche in un altro film della regista, “Pasqualino Settebellezze” del 1975, candidato a quattro Oscar nel 1977: miglior regia, film in lingua straniera, attore protagonista (sempre Giannini) e miglior sceneggiatura originale. La Wertmüller fu anche la prima donna ad essere candidata all'Oscar come miglior regista.

[3] Le suggestive parole sono del mistico tedesco M. Eckhart.

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