Trasmissione Report sui tracciamenti in Cina. Intervista all'autore Giuliano Marrucci
di Francesco Fustaneo
Giuliano Marrucci, giornalista di Report e fondatore di OttolinaTv è stato autore proprio per la trasmissione diretta da Sigfrido Ranucci, di un servizio andata in onda lo scorso 27-12-2021 intitolato “Contagi zero”.
La puntata mette in risalto come, trascorsi quasi due anni dallo scoppio della pandemia, la Cina sia rimasta sostanzialmente l'unico paese al mondo a perseguire con determinazione la strategia "zero contagi".
Strategia che si basa su una serie di app per il tracciamento e una ingente macchina logistica e organizzativa in grado di avviare in poche ore campagne di test di massa, coinvolgendo milioni di persone all'emergere di un focolaio.
Una campagna di contrasto al virus dunque maniacale, portata avanti contestualmente ad un esteso programma di vaccinazione, che non si pone problemi a mettere in lockdown una intera metropoli di 13 milioni di abitanti, come accaduto recentemente a Xi'an, dove erano stati rilevati “appena” un centinaio di positivi.
Abbiamo intervistato l'autore all'indomani della messa in onda della puntata in questione.
-Marrucci, lavorando al servizio per Report che idee si è fatto sulla campagna di contrasto al covid che la Cina sta portando avanti? Cosa l'ha colpita particolarmente?
Come sempre quando guardiamo alla Cina, la cosa che colpisce è la macchina organizzativa. E’ un po’ come se ci trovassimo di fronte a fenomeni che quantitativamente sono così diversi da quelli che vediamo nei nostri piccoli paesi occidentali, che la differenza poi diventa anche qualitativa. Gestire una pandemia in un paese di 1,4 miliardi di abitanti, molti dei quali ancora con un livello di reddito appena superiore alla soglia della povertà assoluta, è una missione che va al di là della nostra capacità di comprensione. E questa difficoltà di capire cosa comporti ragionare su una scala completamente diversa, genera spesso molte incomprensioni. Io per primo ho sempre guardato con sospetto ad alcune misure adottate in Cina per contenere il diffondersi del virus. Ma a quasi due anni di distanza ormai bisognerebbe fare i conti con la realtà, e più che giudicare, cercare di capire. Perché i risultati sono eclatanti!
- Il concetto di green pass cinese è concettualmente oltre che tecnicamente diverso dal nostro e mentre da noi ha creato una polarizzazione tra vaccinati e non, in Cina tale strumento (nei fatti radicalmente diverso da quello italiano) ha risentito fin dall'inizio della consapevolezza scientifica che anche i vaccinati possono contagiare ed essere contagiati. Sbaglio?
Il punto è che la Cina si è posta sin da subito obiettivi diversi rispetto ai paesi occidentali: non si tratta di contenere la diffusione del virus, ma di azzerarla. E se questo è l’obiettivo, il vaccino chiaramente non è lo strumento. Inizialmente la propaganda suprematista che egemonizza i media occidentali ha provato a dissimulare questo fatto concentrandosi sulla presunta scarsa efficacia dei vaccini cinesi. Oggi che siamo nel mezzo della quarta ondata sappiamo che il problema riguarda tutti i vaccini, anche quelli di nuova concezione spacciati per miracolosi. E’ un limite intrinseco di quello strumento, utilissimo per ridurre il danno, ma del tutto inutile per raggiungere contagi zero.
Ma la mancata polarizzazione tra vaccinati e non, non credo dipenda da questo, ma più semplicemente dal fatto che non esiste in Cina una parte di popolazione così ampia che ha perso ogni fiducia nelle autorità e nella scienza e considera la salute un fatto prettamente individuale e non collettivo. Per dirla con una battuta: ci sono meno novax in Cina che antimperialisti in Occidente.
- Pensa che, se non l'opinione pubblica italiana, almeno chi lavora nel mondo dell'informazione abbia ormai sentore della determinazione delle autorità cinese nel cercare la strategia di contagio zero o prevalgono ancora i luoghi comuni sul “lassismo cinese” e i “dati falsi sui morti e contagi”, tanto diffusi all'inizio della pandemia?
Tendenzialmente non leggo notizie e analisi relative alla Cina pubblicate sui media occidentali. E’ un tipo di letteratura fantasy che non mi affascina. Le teorie strampalate sulla Cina che si inventa i numeri mi sembrano sempre molto diffuse. Ma più che altro la tesi suprematista che permette di ignorare la realtà e quindi bocciare il modello cinese di lotta alla pandemia a prescindere si basa sul famoso “si, ok, ma a quale prezzo?”.
E’ una domanda che i media si fanno ogni volta che devono descrivere un successo del governo cinese. Hanno strappato 800 milioni di persone dalla morsa della fame in 30 anni mentre nel resto del mondo la povertà aumentava a dismisura? “Si, ok, ma a quale prezzo?”. Sono stati in grado di gestire in 30 anni il più grande e rapido processo di urbanizzazione della storia dell’umanità senza ritrovarsi sommersi dagli slum che caratterizzano tutti gli altri paesi in via di siluppo? “Si, ok, ma a quale prezzo?”. Hanno impedito la morte di circa 5 milioni di persone grazie alla strategia Contagi Zero? “Si, ok, ma a quale prezzo?”.
- Fermo restando che il modello di Pechino per le specificità culturali, organizzative, economiche e politiche non sarebbe esportabile nel nostro Paese, ritiene che su qualche punto dovremmo comunque imitarlo?
Nel caso specifico della lotta alla pandemia, direi che ormai non c’è più niente da imitare. Il punto è stata la scelta della strategia Contagi Zero, che puoi perseguire soltanto se impedisci dal primo istante al virus di diffondersi. Ormai è troppo tardi.