Se l'equo compenso esclude gli appalti pubblici
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di Federico Giusti
E così facendo si favorirono i processi di privatizzazione escludendo a priori atti di indirizzo e controllo spettanti al settore pubblico nella veste di garante di regole ed equità retributiva e contrattuale. Il tutto in nome del contenimento di spesa e della austerità salariale
L’equo compenso non si applica agli appalti pubblici, lo leggiamo su Il Sole 24 ore che anticipa una specifica nota dell'Anac, Autorità nazionale anticorruzione, inviata giorni or sono al Ministero dell’Economia e a quello delle Infrastrutture.
Ma prima di ogni altra considerazione vogliamo comprendere cosa sia l'equo compenso?
L’equo compenso intanto viene applicato ai liberi professionisti in base alla legge 4923 recante “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali“. Un equo compenso per figure specialistiche e non per l'insieme della forza lavoro, specie per quella che opera con ruoli esecutivi all'interno degli appalti e soggetta a continui ribassi, a tagli orari e contrattuali.
Solo pochi giorni or sono è nato un Osservatorio nazionale sull'equo compenso facente riferimento al Ministero della Giustizia.
Secondo Anac, l’equo compenso non si deve applicare agli appalti pubblici integrati e agli appalti che prevedono prestazioni di ingegneria e architettura.
La spiegazione addotta è sempre la stessa, ossia che a prevalere sulle fonti del diritto resta sempre quel principio comunitario della libera concorrenza (o se preferite del Mercato) al fine di non penalizzare i professionisti piccoli e giovani (!).
Il Mercato e le regole che lo disciplinano sono in realtà una giungla che lede ogni diritto acquisito, eppure il legislatore interviene energicamente per dimostrare che porre dei tetti e dei limiti sarebbe una sorta di indebita intromissione. Trattasi delle stesse motivazioni addotte ogni qual volta si chiedeva di indicare per scritto un contratto nazionale da applicare in un appalto prevedendo a priori una paga oraria prestabilita onde evitare che l'appaltatore, con la sua autonomia organizzativa e decisionale, introducesse nella gestione del personale condizioni di peggior favore.
Il principio della libera concorrenza viene applicato ogni qual volta si tratta di limitare il peso delle retribuzioni affermando il principio di non scendere al di sotto di una soglia retributiva, non viene invece invocato quando andrebbe a scontrarsi con concessioni decennali a soggetti privati che beneficiano di una posizione di forza o se entra in rotta di collisione con il potere delle lobby di mestiere. Un utilizzo dei principi veramente discrezionale.
In attesa di conoscere il testo, di cui leggiamo solo le anticipazioni, ci rendiamo conto di quanto sia intricata una materia disciplinata da principi iniqui come quelli della concorrenza e allo stesso tempo evidenziamo il ruolo dell'Anac che non si limita a combattere i fenomeni corruttivi lasciando alle stazioni appaltanti libertà di scelta per favorire la massima partecipazione ai bandi e "scongiurare l’adozione di comportamenti discriminatori"
Detto in altri termini l'Anac ma anche il legislatore si sono trincerati dietro alla libera concorrenza per non assicurare condizioni di miglior favore alla forza lavoro e anche ai professionisti impiegati negli appalti, nell'ottica di scongiurare l'aumento dei costi.
Quando poi si parla di economie di scala funzionali a ridurre la spesa pubblica favorendo l'accesso al mercato è evidente lo stravolgimento della natura e funzione del Pubblico che rinuncia a priori ad atti di indirizzo, guida e controllo, a dare il buon esempio mettendo nero su bianco alcune tutele reali a beneficio della forza lavoro, quella specializzata e non. Corriamo quindi il rischio che il mancato intervento dello Stato sia funzionale non solo al contenimento della spesa ma contribuisca inequivocabilmente a ridurre il costo del lavoro
L'intervento dell'Anac a una prima lettura non ci sembra dettato dalla ricerca di qualche soluzione interpretativa per scongiurare sul nascere dei contenziosi ma una sorta di debacle statale e pubblica che rinuncia a priori a normare i meccanismi di Mercato affermando tutele reali per la forza lavoro.
Se l'equo compenso non si applica ai professionisti nei contratti pubblici, sempre nei contratti pubblici un domani potranno applicare regole atte a ridurre il costo del lavoro attingendo magari a gare Consip costruite ad arte per ridurre la spesa complessiva ed ergo anche quella del personale.
Una sentenza della Corte di Giustizia vietava, in materia di compensi professionali, l’indicazione delle tariffe minime e massime, di conseguenza anche un eventuale paga minima da fissare per i lavoratori sarebbe anch'essa in contrato con il diritto dell’Ue.
Se poi in teoria sarebbero ammesse deroghe per motivi di interesse pubblico, come la tutela dei consumatori, ancora più forte e determinante sarà il principio del contenimento della spesa per il personale sempre nel nome di quella libera concorrenza che diventa una sorta di giungla senza diritti e tutele reali.
Ancora una volta all'ombra del PNRR si consuma la debacle dei diritti in materia di equa retribuzione e giustizia salariale per "non compromettere il quadro economico e finanziario"