Loretta Napoleoni - Cosa farà Trump con i fondi russi congelati in occidente?

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Loretta Napoleoni - Cosa farà Trump con i fondi russi congelati in occidente?


di Loretta Napoleoni per l'AntiDiplomatico

Man mano che ci si avvicina all’inaugurazione di Donald Trump il 20 gennaio, il mondo si prepara per il suo arrivo. C’e’ chi, come i grandi capitani del settore dell’high tech, si affretta a manifestare l’appoggio al nuovo presidente offrendo finanziamenti per le celebrazioni di quel giorno speciale e chi invece, come l’Unione Europea e la stessa amministrazione Biden, si da’ da fare per influenzare la politica estera ed interna della futura amministrazione. Uno dei temi politici piu’ caldi oggetto di questo braccio di ferro e’ la guerra tra la Russia e l’Ucraina, in particolare se e come utilizzare i fondi russi congelati in occidente per sostenere Zelensky fino alle trattative di pace e, susseguentemente, per ricostruire il paese.

È questo un terreno pericolosamente scivoloso dal punto di vista legale per l’occidente e vediamo perche’. L'Unione Europea, il G-7 e l'Australia hanno congelato circa 280 miliardi di dollari di beni della Banca Centrale Russa sotto forma di titoli e contanti, principalmente tramite la clearing house Euroclear che ha sede in Belgio. Gran parte degli asset russi all’estero si trovano in Europa poiché nel 2018 il presidente russo Vladimir Putin ha ritirato dagli Stati Uniti la maggior parte di quelli della banca centrale in seguito alle vecchie sanzioni. Attraverso quelle imposte a importanti personalità russe si sono poi congelati altri 58 miliardi di dollari stimati in asset, tra cui case, yacht e aerei privati, per un totale di poco più di 300 miliardi di dollari.

Finora, l'Unione Europea e le nazioni del G7 hanno usato i profitti generati dagli asset sanzionati per fornire aiuti all'Ucraina. In base a un piano del G7 tali profitti avrebbero fatto parte del pacchetto di prestiti da 50 miliardi di euro per Kiev. Quindi, per ora, le nazioni del G-7 hanno conservato i fondi nelle proprie banche centrali usando solo l’interesse generato dagli asset. Si stima che tali proventi valgano tra 3 e 5 miliardi di euro all'anno.

Dopo la vittoria elettorale di Trump il dibattito se sequestrare o meno tutti gli asset per donarli direttamente all’Ucraina si e’ riacceso. Tra i sostenitori c’e’ proprio il presidente Biden e un gruppetto di funzionari della Commissione europea.

Ma è legale tutto ciò?

Per la Russia si tratta di una violazione di un principio fondamentale del sistema economico globale: la sacralità della proprietà privata. Ed ha ragione. Infrangere questo principio avrebbe un impatto devastante. Facile intuire perche’. Se i paesi che si considerano campioni di un ordine basato su regole vengono visti come coloro che infrangono tali regole quando non sono convenienti, che tipo di messaggio tutto ciò trasmette agli altri paesi?

Mentre Francia, Germania e la stessa Banca centrale europea si preoccupano delle possibili ritorsioni russe riguardo agli asset europei, Il vero problema e’ un altro: la destabilizzazione finanziaria europea e la perdita di status dell'euro come valuta di riserva. Perche’? Perche’ i depositanti delle economie emergenti potrebbero essere incoraggiati a ritirare in massa il loro denaro dalle banche occidentali, frammentando cosi’ il sistema finanziario globale e potrebbero non usare più l’euro come moneta di scambio a livello internazionale.

Euroclear, che detiene circa 180 miliardi di euro di asset russi congelati, ha infatti invitato alla cautela sull'idea della confisca. La mossa potrebbe provocare un deflusso di affari verso i rivali emergenti in Asia. Alcuni diplomatici hanno sollevato il rischio di massicci flussi di depositi da parte di grandi clienti di Euroclear, compresi clienti cinesi, che erano preoccupati per la confisca quando la questione è stata discussa per la prima volta un anno e mezzo fa. Altri paesi, tra cui l'Arabia Saudita, hanno precedentemente messo in guardia contro il sequestro diretto.

In passato il sequestro degli asset si e’ verificato solo due volte. Dopo l'invasione dell'Iraq del 2003 e la cacciata del suo leader Saddam Hussein, il presidente degli Stati Uniti George W. Bush ordinò il sequestro di 1,7 miliardi di dollari di fondi iracheni detenuti in banche americane, parte dei quali andarono a pagare gli stipendi dei dipendenti del governo iracheno. Nel 1996, gli Stati Uniti sequestrarono fondi cubani e li usarono in seguito per aiutare a risarcire le famiglie di tre americani uccisi quando i loro aerei furono abbattuti dalle forze armate cubane. Ma in entrambi i casi i fondi erano custoditi da banche private nazionali.

Diverso fu il destino dei fondi sequestrati all’Iran dopo la rivoluzione del 1979. Gli Stati Uniti interruppero i legami economici e diplomatici con l'Iran, vietarono le importazioni di petrolio iraniano e congelarono circa 11 miliardi di dollari di beni. Alcuni sono stati poi scongelati nel 1981 dopo la firma degli Accordi di Algeri e la fine della crisi degli ostaggi, ma altri sono stati utilizzati per negoziare.  Ad esempio, nel settembre 2023, gli Stati Uniti hanno concesso all'Iran l'accesso a quasi 6 miliardi di dollari di beni congelati nella Corea del Sud come parte di uno scambio di prigionieri.

Morale: l’Europa ed i seguaci di Biden rischiano di creare uno tsunami finanziario ed indebolire la posizione contrattuale occidentale al tavolo delle trattative, meglio stare tranquilli ed aspettare le negoziazioni di Donald Trump. 

Loretta  Napoleoni

Loretta Napoleoni

 

*Economista di fama internazionale. Ha insegnato alla Judge Business Schools di Cambridge e nel 2009 è stata invitata come relatrice alla Ted Conference sui temi del terrorismo. Nel 2005 ha presieduto il gruppo di esperti sul finanziamento del terrorismo per la conferenza internazionale su terrorismo e democrazia organizzata dal Club de Madrid. Autrice di diversi libri di successo tra cui Terrorismo SPAEconomia Canaglia e Maonomics, tradotto in 18 lingue, incluso l’arabo ed il cinese; ISIS, lo stato del terrore, uscito in 20 nazioni. L’ultimo si intitola Technocapitalism

 

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