Pino Cabras - "Negare le cure a Bersani?"

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Di Pino Cabras*


«Finché c'è posto per curare, bene. Se non ci fosse più posto, non sta fuori uno malato di tumore o di leucemia perché qualcuno dice che il vaccino è una roba da ridere. Questo bisogna che lo diciamo.»


Queste parole le ha pronunciate a Piazzapulita il deputato di lungo corso Pierluigi Bersani, ex leader del PD, oggi nei banchi LEU e in predicato di tornare nel PD.

Nella tassonomia bersaniana dei diritti alla salute le cose funzionano quindi così: se tu cittadino assumi un comportamento per il quale ti si calcola un rischio sanitario più elevato, una deontologia medica millenaria deve cedere il passo a una classifica di priorità morali, per introdurre un sistema di crediti che annulla il concetto di universalità delle cure. Se sei in serie A ti curano, se sei in serie B forse.

Proprio Bersani nel 2014 fu salvato dalle più gravi conseguenze di un ictus perché fortunatamente fu curato in tempo e bene, con un’operazione di emergenza all’ospedale di Parma che durò tre ore. È ragionevole pensare che da qualche parte esista persino una contabilità di quell’intervento, sicuramente più costoso – che ne so – dell’estrazione di un dente del giudizio. Se la nuova e arcigna Dottrina Bersani fosse applicata al Bersani medesimo, saremmo tuttavia costretti a esaminare la sua malattia (e il suo comportamento prima di essa) sotto una nuova luce.

Migliaia di foto degli scorsi decenni ritraggono infatti quasi iconicamente il noto politico con un sigaro fra le labbra, gli occhi stretti fra le capriole del fumo. Un fumatore incallito, insomma.

Bersani è uno degli 11 milioni di italiani e uno dei mille milioni di abitanti del pianeta che per decenni ha incrementato assai i fattori di rischio cardiovascolare, così come il pericolo di veder insorgere carcinomi, disturbi metabolici e tante di quelle altre disgrazie che troviamo listate di nero nei pacchetti di ogni tabagista. Quattrocentomila nuovi casi di cancro all’anno solo in Italia. Casi che, in percentuale, oltre che da predisposizioni, dipendono anche dagli stili di vita, cioè da quel che liberamente si fa del proprio corpo. Ogni anno le malattie cardiovascolari sono la causa prima del 36 per cento dei decessi. E anche lì fumo, alcool, alimentazione sbagliata (decisioni sul corpo) contribuiscono significativamente al montare dei numeri. Cioè contribuiscono a occupare ospedali e terapie intensive.

Bersani, in base alla decisione reiterata che prendeva sul proprio corpo, aumentava il rischio salute per sé e incrementava il rischio finanziario per l'erario che poteva essere chiamato a spendere per le sue costose cure. Se fosse valsa già allora la Dottrina Bersani (per la quale si è titolari di diritti in base al grado di rischio calcolato sui comportamenti), il buon fumatore Pierluigi, quel drammatico 5 gennaio del 2014 avrebbe potuto essere tenuto in disparte qualora un non fumatore con una crisi ischemica fosse entrato in concorrenza con la sua emergenza. 
Bersani ha appoggiato tutti quei governi che per lungo tempo hanno via via tagliato i posti letto negli ospedali italiani, bloccato le assunzioni di medici, chiuso i reparti, impedito una vera prevenzione e un’efficace medicina territoriale, favorito una privatizzazione estesa. Cioè non ha fatto quel che saprebbe fare uno statista. Sa fare però delle tipiche conversazioni da bar (quelli che si salveranno dopo questa ondata di isteria alimentata dalla sua maggioranza di governo). L’importante è che le sue rimangano quel che sono: pessime chiacchiere da bettola, non importa se pronunciate dalla cattedra televisiva, in uno dei teatrini del nuovo verbo neoliberista.
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Dal Manifesto di Alternativa: 
«Il trend della privatizzazione dei servizi sanitari degli ultimi vent’anni va invertito con investimenti nelle 4P (1. Pubblico 2. Posti letto 3. Personale, 4. Prevenzione primaria). La fiducia verso le istituzioni sanitarie va ricostruita con la trasparenza, la digitalizzazione, la tutela della privacy dei pazienti e il benessere organizzativo per sostenere il merito e l’efficienza. Vanno ribilanciate le abnormi spese in marketing delle multinazionali del settore per favorire invece le spese in Ricerca e Sviluppo. Rispetto alla crisi Covid-19 va comparata la risposta del nostro sistema con i sistemi sanitari che hanno dato le migliori risposte nel mondo senza cadere in forme di “società del controllo” e hanno puntato su un’efficace rete di sanità di iniziativa, medicina territoriale e assistenza domiciliare. Va affrontato il tema dell’equilibrio fra competenza nazionale e regionale della Sanità. il PIL di spesa per la Sanità ‘pubblica dovrà essere elevato ai livelli di Francia e Germania.»

 

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