Pechino e la "linea rossa" di Hong Kong

Pechino e la "linea rossa" di Hong Kong

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di Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it



“L'Inghilterra non ha mai accordato diritti politici ai suoi abitanti. La colonia era retta da un governatore nominato dalla Regina e da due camere i cui membri non venivano eletti, ma erano designati dalla stesso governatore. […] Solo dopo il 1984, quando fu stabilito che Hong Kong sarebbe tornata alla Cina, gli inglesi, con grande disappunto delle autorità cinesi, fecero dei frettolosi tentativi di democratizzazione, senza risultato[…]. Quando la Cina riebbe la sovranità su Hong Kong, nel 1997, la città era politicamente docile e una miniera d'oro dal punto di vista economico: il Partito comunista cinese poteva ben garantire che ne avrebbe rispettato l'autonomia per altri 50 anni”. (Vogelsang K, Cina, Einaudi, Torino, 2014)


Dal 1990 l'Occidente a guida Usa è ricorso senza soluzione di continuità a guerre ed aggressioni per perseguire il proprio progetto di dominio, distruggendo e disgregando interi Paesi. I movimenti indipendentisti il più delle volte sono stati funzionali allo scopo (Kosovo, Libia, Siria).



Non possiamo quindi stupirci del fatto che la Cina popolare non retroceda di un millimetro nella difesa della sovranità su Hong Kong, l'ex colonia britannica nella quale - come sottolineato anche da alcuni ex partecipanti alla "rivoluzione degli ombrelli” del 2014 - è presente un movimento dichiaratamente indipendentista – con crescenti connotazioni razziste - che rivendica una appartenenza etnica distinta da quella cinese. Cedere su Hong Kong per la Cina popolare significherebbe bloccare il processo di liberazione nazionale (da ultimare con il ritorno di Taiwan), innescare una possibile reazione a catena in Tibet e nello Xinjiang e, infine, mettere in discussione il ruolo del Partito comunista come forza di governo che ha risollevato il Paese portandolo alla attuale condizione di potenza globale.


La recente celebrazione dei 20 anni del ritorno del “Porto profumato” alla madrepatria è avvenuta in un quadro complesso per la tenuta dell’esperimento “Un paese, due sistemi” per due aspetti principalmente. Da una parte c’è la crescente presenza sulla scena politica di movimenti indipendentisti o “nativisti” che pongono chiaramente la questione dell’indipendenza – l’ “Alliance to Resume British Sovereignty over Hong Kong and Independence" propone persino una fase transitoria di ritorno al controllo britannico! – e che a questo fine sfruttano finanziamenti e contatti internazionali. Lo scorso giugno a Taiwan – altro fronte caldo per Pechino per la diffusione di sentimenti indipendentisti e i rapporti tesi con il governo a guida democratica - un gruppo di diciotto parlamentari ha costituito il "Taiwan Congressional Hong Kong Caucus" con lo scopo di “promuovere la democrazia a Hong Kong” attraverso lo scambio di informazioni, l’assistenza e il sostegno agli attivisti locali contro la “repressione” messa in atto dalle autorità cinesi. Tra i fondatori c’è Huang Kuo-chang, già leader del Movimento dei Girasoli salito alla ribalta nel 2014 in occasione delle proteste contro la ratifica dell’Accordo bilaterale sul commercio in servizi che avrebbe approfondito i legami economici con il continente. Si tratta solo dell’ultimo segnale di rapporti sempre più stretti tra i rispettivi movimenti indipendentisti, resi evidenti dalla partecipazione di attivisti di Hong Kong ad un forum sull’autodeterminazione organizzato nel gennaio scorso dall’indipendentista Power Party a Taiwan.


A questo si aggiunge la pressione politica ed ideologica del Stati Uniti. Se da una parte Washington agisce su Taiwan annunciando la ripresa di forniture militari, dall’altra si punta con decisione – e sprezzo del principio della sovranità – a “internazionalizzare” la vicenda di Hong Kong. Poco prima della celebrazione del ventennale cinque membri del Congresso hanno depositato una proposta di risoluzione che invitava la Cina popolare a rispettare l’autonomia dell’ex colonia britannica in quanto “interesse nazionale” degli Stati Uniti, minacciando in caso di ulteriori “erosioni dell’autonomia” di revocare lo status speciale riconosciuto dalla legislazione statunitense. Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una iniziativa non certo isolata visto che nel novembre del 2016 i senatori Rubio e Cotton avevano presentato un progetto di legge contenente misure punitive nei confronti di funzionari di Hong Kong o di Pechino responsabili della “soppressione di libertà fondamentali”: il governo degli Stati Uniti – si legge - “deve guidare il mondo per garantire che il governo cinese cessi ogni atto di repressione ad Hong Kong”. Erano giorni nei quali Joshua Wong, uno dei principali leader dell’indipendentismo e a capo del movimento Demosisto, era stato ospitato a Capitol Hill per chiedere alla comunità internazionale di tenere gli occhi aperti su Hong Kong per favorire la democrazia e il libero mercato.


Come possiamo capire, non è certo un caso che il presidente cinese Xi Jinping abbia individuato nelle posizioni indipendentiste una “linea rossa” invalicabile: la “crociata ideologica” nei confronti della Cina popolare non ha certo perso vigore e lo svilupparsi delle cosiddette “rivoluzioni colorate” è un pericoloso monito sulle capacità dell’imperialismo di sfruttare a proprio vantaggio le contraddizioni che esplodono in aree strategiche.


Riferimenti:

Associated Press, Hong Kong democracy activist appears at US Capitol, 16 novembre 2016;

Battaglia G., Xi Jinping ribadisce che a Hong Kong comanda Pechino, Internazionale, 30 giugno 2017;

Aquaro A., Hong Kong. I ragazzi del ‘97 sfidano Pechino “Noi non saremo mai cinesi”, la Repubblica, 29 giugno 2017;

The Straits Times, Taiwan lawmakers launch new group to promote democracy in Hong Kong, 12 giugno 2017;

Hong Kong Free Press, US representatives table resolution urging China to uphold Hong Kong’s autonomy, 1 luglio 2017;

Wong C., US Considers Bill to Ensure Hong Kong’s Basic Freedoms, The Diplomat, 22 novembre 2016;

Carrico K., The two countries in China’s “one country, two systems”, East Asia Forum, 22 novembre 2016

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