Nessun monumento con la bandiera palestinese?

Nessun monumento con la bandiera palestinese?

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di Clara Statello per l'AntiDiplomatico

 

“Il mondo civilizzato deve unirsi per sconfiggere Hamas“. Questo è l’appello dal sapore suprematista che il premier israeliano Netanyahu ha lanciato mercoledì, quando il presidente Joe Biden è giunto a Tel Aviv. E’ una chiamata “alle armi” per l’Occidente, già stanco e logorato dal sostegno incondizionato alla guerra in Ucraina.  

L’ altro mondo, quello arabo-islamico, in appena dieci giorni di conflitto si è saldato e adesso si solleva in solidarietà con la resistenza palestinese in Libano, Turchia, Giordania e Cisgiordania. Folle di giovani islamici, nazionalisti e comunisti, prendono le strade e accusano Israele del massacro all’ospedale battista di Al Alhi. La morte di 471 civili pesa anche sull’opinione pubblica mondiale. Difficile giustificare il sostegno ad Israele davanti alle centinaia di immagini di corpi straziati di bambini palestinesi, senza intaccare il mito della superiorità morale occidentale, per quei governi che da oltre venti anni impugnano la bandiera dei diritti umani per rovesciare “dittatori”, esportare la democrazia e combattere il “terrorismo”.

Davanti alla condanna tassativa dell’ONU e delle organizzazioni internazionali umanitarie, che hanno subito definito l’attacco all’ospedale battista un orribile crimine di guerra, Israele ha improvvisamente cambiato postura. Abbandonati i toni di rabbia e furiosa vendetta, adesso l’IDF giura di prendersi cura dei civili di Gaza, mentre scompaiono i tweet di funzionari israeliani che inneggiavano ai bombardamenti. La linea è diventata: dare la colpa ai gruppi palestinesi, dunque ad Hamas o alla Jihad islamica.

“Il mondo dovrebbe sapere che sono i brutali terroristi a distruggere gli ospedali di Gaza, non l’IDF”, ha twittato il premier israeliano subito dopo il massacro. In questo teatrino dell’assurdo, Biden ha il ruolo di  spalla. A Netanyahu dice di credere che il crimine sia stato commesso “dall’altra squadra, non da te”, ribadendo “l’incrollabile sostegno ad Israele”. Questa tragicomica pantomina si infrange contro la realtà dei fatti, non è una novità per Israele colpire una struttura sanitaria. 

Nel 2021 il British Medical Journal, una delle più autorevoli riviste mediche generaliste della Gran Bretagna, scriveva che “gli attacchi aerei israeliani nel territorio palestinese di Gaza hanno danneggiato sei ospedali, nove centri sanitari di base”, in base ai dati delle Nazioni Unite. Nel luglio del 2014 un attacco contro l’ospedale Shuhada al-Aqsa nel centro di Gaza aveva provocato la morte di 4 persone, tra cui 3 bambini.

In quasi due settimane di guerra, gli operatori sanitari sono stati spesso il target degli attacchi israeliani. Una quarantina di paramedici sono stati uccisi, ambulanze e veicoli sanitari sono stati colpiti dai raid, secondo quanto riferiscono la Mezzaluna Rossa Palestinese, la Croce Rossa Internazionale e le autorità sanitarie di Gaza.

Israele non ha risparmiato neanche le strutture dell’UNRWA, l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi. Secondo quanto riportato sull’account ufficiale X/Twitter e dal commissario generale Philippe Lazzarini, almeno 15 membri dell’organizzazione sono stati uccisi dai bombardamenti israeliani. Le strutture che offrono rifugio ai profughi, compresa la sede principale di Gaza City e diverse scuole, sono state attaccate. L’agenzia ha pubblicato una testimonianza via WhatsApp di una dipendente, Helen, estratta viva dalle macerie assieme alla sua famiglia. Proprio martedì, poco prima del massacro in ospedale, sei persone morivano in un raid una scuola gestita dall’UNRWA.

Lo stesso giorno l’IDF ha bombardato diverse volte il valico di Rafah, dopo la notizia – smentita – della sua apertura, e Khan Younis, dove si trovano le centinaia di migliaia di profughi che hanno abbandonato Gaza Nord su avviso dell’esercito israeliano. Gli attacchi hanno ucciso almeno 80 persone, tra famiglie e profughi. 

Davanti a questi orrori il “mondo civilizzato” ha mantenuto una disumana indifferenza.

Nessuna bandiera palestinese è stata proiettata su Palazzo Chigi, sul Colosseo, sulla Tour Eiffel o qualche altro monumento o palazzo istituzionale del giardino europeo, dopo il massacro di quasi 500 pazienti, profughi e bambini palestinesi all’ospedale battista.

L’alto commissario Joseph Borrell, che l’8 aprile 2022 condannava “fermamente” la Russia per “l’attacco indiscriminato di Kramatorsk”, adesso chiede l’apertura di un’indagine per accertare le responsabilità, riservando a Israele un’inusuale prudenza.

Il primo pensiero di Ursula von der Leyen, subito dopo la strage, è stato quello di addossare la colpa delle sofferenze dei palestinesi ad Hamas e ribadire il sostegno ad Israele. La ricordiamo in cordoglio a Bucha per le vittime ucraine, mentre definisce il bombardamento dell’ospedale di Mariupol un “crimine inumano, crudele, tragico”. Quando si tratta di vittime palestinesi se la cava con un “sono molto rattristata”. Non troppo a dire il vero. Mentre viene scritto questo testo, difatti, la presidente dell’esecutivo europeo è alla ricerca di nuove regole per limitare la libertà di espressione sui social, attività che sembra preoccuparla molto più della crisi umanitaria a Gaza. 

L’ Europa che non ha il coraggio di esprimere una condanna chiara contro Israele per l’occupazione della Palestina, è la stessa che ha preso provvedimenti senza precedenti contro la Russia per l’aggressione all’Ucraina. Dalla reazione asimmetrica emergono chiaramente i doppi standard che smascherano l’ipocrisia dell’Occidente.

L’anno scorso più di 1.000 aziende si sono impegnate a cessare o ridurre le attività in Russia, mentre nel mondo occidentale si diffondeva la russofobia e venivano boicottati artisti e atleti russi. I giganti aziendali come Adidas e Disney, fino a Bank of America e Toyota, si sono schierati con l’Ucraina, promettendo sostegno finanziario e morale all’Ucraina e agli ucraini. Molte società hanno adottato i colori della bandiera ucraina in segno di solidarietà.

La risposta delle grandi imprese all’aggressione di Israele contro il popolo di Gaza è nulla. I marchi famosi che hanno preso una posizione esplicita sulla guerra in Ucraina hanno rifiutato di intervenire sul conflitto in Medio Oriente. Quelli che lo hanno fatto, si sono schierate con Israele e hanno espresso una condanna contro Hamas per l’attacco di sabato 7 ottobre.

Nessuna sanzione è stata adottata contro Israele per l’ordine di evacuazione in 24 ore di 1,1 milioni di civili, per l’assedio totale di Gaza, per i raid sulle strutture dell’UNRWA, sulle abitazioni dei civili e sul valico di Rafah. Israele resta connesso allo SWIFT, anche se sta lasciando oltre 2 milioni di civili senza acqua, senza cibo, senza medicinali e senza neanche le attrezzature per scavare tra le macerie.

Al contrario, mercoledì gli USA hanno annunciato sanzioni nei confronti di una decina di personalità collegate ad Hamas. I provvedimenti li subisce chi esprime una posizione in difesa del popolo aggredito, i palestinesi. Come la pornostar di origine libanese Mia Khalifa, che è stata licenziata da Playboy per dei commenti social a sostegno “dei combattenti per la Palestina”. Pornhub ha congelato i suoi guadagni per donarli ad un fondo di aiuti per Israele.

Due calciatori sono stati sospesi per i loro contenuti social in merito alla guerra in Medio Oriente. Youcef Atal del OGC Nice è stato sospeso “fino a nuovo avviso dal club” e la procura di Nizza ha aperto un’indagine per “apologia di terrorismo”, dopo la condivisione del video di un predicatore palestinese. Il Mainz ha sospeso l’olandese Anwar El Ghazi per un post pro-palestina e contro Israele in cui ha "preso posizione sul conflitto in Medio Oriente in un modo che non era tollerabile per il club". Un video condiviso da  Noussair Mazraoui, difensore del Bayern di Monaco, ha scatenato durissime polemiche e la richiesta di sospensione ed espulsione dal Paese. E’ il filmato di una preghiera: “Dio, aiuta i nostri fratelli oppressi in Palestina, affinché ottengano la vittoria. Possa Dio concedere la grazia ai morti, possa Dio guarire i feriti”.

Non tutti i discorsi di odio destano scandalo. Il sindaco di Terni, Stefano Bandecchi, può tranquillamente auspicare davanti ai giornalisti che Gaza venga spianata. “Per me va bene”, ha affermato ad una radio locale. Nessuna indignazione, nessuna polemica, quando si invoca con tanta nonchalance il genocidio dei palestinesi. Al massimo Crozza ci farà uno sketch su cui ridere.

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