Lo “scenario georgiano” e come il Covid ha aperto alla guerra in Ucraina

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Lo “scenario georgiano” e come il Covid ha aperto alla guerra in Ucraina

 
di Davide Malacaria - Piccole Note
 

 

Trump ha dichiarato che la sua amministrazione ha instaurato un dialogo “serio” con la Russia sulla guerra ucraina (di contatti “sottotraccia” avevamo già accennato). E l’inviato Usa per l’Ucraina, Keith Kellogg, ha aggiunto che Kiev deve svolgere le elezioni, cosa possibile dopo un accordo sul cessate il fuoco, affinché colui che vincerà il voto “possa avere la possibilità di negoziare un accordo a lungo termine con Mosca”.

Exclusive: U.S. wants Ukraine to hold elections following a ceasefire, says Trump envoy


Elezioni in Ucraina come condizione per le trattative 

Queste, in estrema sintesi, le informazioni più importanti circolate in questi giorni sulle prospettive del conflitto, al di là della futile querelle su un possibile contatto diretto tra Trump e Putin, che al momento è tema secondario (i negoziati si svolgono in ambiti ben più riservati).

Se è importante la conferma delle trattative, ancora più importante il cenno alle elezioni e a un accordo quadro di alto livello, perché sono due richieste che Mosca ha ribadito a più riprese (particolari che confermano la serietà del dialogo).

La Russia non accetterà un accordo blando che interrompa un conflitto destinato a riproporsi. E perché ciò accada, Mosca chiede che Kiev tenga le elezioni perché teme che, se Zelensky firmerà la pace senza passare attraverso di esse, l’atto potrebbe essere dichiarato nullo da una futura leadership ucraina, la quale potrebbe ritenere illegittimo il prolungamento del suo mandato oltre la scadenza del 2024 (quando avrebbero dovuto tenersi nuove elezioni, annullate a causa della guerra).

Importante anche un altro cenno delle dichiarazioni di Kellog, quando ha spiegato che ritiene importante che alle elezioni partecipino più candidati, esprimendo in tal modo, in maniera implicita, la sfiducia degli Stati Uniti nei confronti di Zelensky.

Peraltro, circolano voci insistenti su possibili rivelazioni riguardanti un’asserita corruttela del presidente ucraino, che ne offuscherebbero ancora di più l’immagine già appannata dai rovesci del conflitto e altro.

Forse è per far fronte in via preventiva a possibili rivelazioni sul tema che ieri Zelensky ha dichiarato che non sa dove siano finiti i miliardi di dollari Usa elargiti a Kiev. Non è solo un modo per eludere possibili accuse, ma anche un’eventuale chiamata in correità della politica e dell’apparato militar-industriale Usa, che avrebbe fatto sparire quei soldi. Cioè un invito a far fronte comune.

Al di là degli sviluppi, appare di grande interesse un articolo di Strana che spiega come l’emergenza Covid abbia fatto deragliare i negoziati che l’Ucraina aveva avviato con la Russia subito dopo l’elezione di Zelensky (il quale aveva basato la sua campagna elettorale sulla distensione con Mosca).

Sceneggiatura interrotta. Come la pandemia di coronavirus ha aperto la strada alla guerra in Ucraina 5 anni fa


Lo “scenario georgiano”

Di fatto, spiega Strana, durante il primo periodo della presidenza Zelensky, per l’Ucraina si stava delineando uno scenario di tipo georgiano, cioè un graduale riavvicinamento con Mosca senza, però, che ciò comportasse un allontanamento dall’Occidente. Questa la missione affidata al consigliere del presidente Andriy Ermak, che si interfacciava con Dmitry Kozak, incaricato dal Cremlino di negoziare con la controparte.

Strana ricorda anche quanto dichiarato al New York Times da Igor Kolomoisky, un oligarca ucraino vicino a Zelensky, nel novembre del 2019: “Dobbiamo migliorare le nostre relazioni [con la Russia]. La gente in Ucraina vuole la pace […] non vuole la guerra. Voi [americani] ci state costringendo alla guerra”. E ricorda come opinioni simili venissero “espresse da molti altri esponenti della cerchia ristretta del presidente”. Un riavvicinamento simboleggiato dal rinnovo per 5 anni del contratto per il transito del gas russo in Ucraina, avvenuto alla fine di quell’anno.

Ancora più significativa l’anomala visita di Zelensky in Oman nel gennaio del 2020, che coincise con l’arrivo nello Stato arabo del segretario del Consiglio di sicurezza russo Nokolaj Patrushev.

La stampa parlò di un accordo omanita tra Kiev e Mosca. Anche se non c’è alcuna conferma in tal senso, Strana ricorda come all’inizio di febbraio fu licenziato il capo dell’ufficio presidenziale Andriy Bohdan e al suo posto fu nominato proprio Ermak.

Successivamente furono dimissionati il primo ministro Andriy Goncharuk, filo-occidentale, e il procuratore generale Ruslan Ryaboshapka. A guidare il governo fu chiamato Denis Shmyhal, che “in uno dei suoi primi discorsi affermò che era necessario fornire acqua alla Crimea”, fornitura tagliata dopo l’acquisizione della penisola da parte dei russi. Ma l’idea fu lasciata cadere a causa delle proteste dei nazionalisti.

Sempre allora, in Ucraina iniziarono a “circolare voci” sulla possibilità di rescindere la collaborazione con il Fondo monetario internazionale e a levarsi critiche contro le influenze degli ambiti internazionali collegati a Soros.

Il passo più significativo fu però l’istituzione di un consiglio di coordinamento composto da rappresentanti dell’Ucraina e delle repubbliche autonome del Donbass, concordato tra Ermak e Kozak, che i media russi definirono “una pietra miliare per la risoluzione del conflitto del Donbass”.

“Nel complesso”, conclude Strana, agli inizi di marzo, “c’era l’impressione che si stesse preparando una radicale inversione di rotta del Paese”.


La rottura

Due avvenimenti chiusero tale finestra di opportunità. La prima, l’arrivo della pandemia in Ucraina: con la quarantena alle porte, Zelensky dovette ricorrere all’aiuto del FMI, passo che rafforzò “l’orientamento verso l’Occidente” del Paese.

Eppure, nonostante questo, lo scenario georgiano si conservò per un certo periodo, anche se Mosca iniziava a perdere la pazienza, tanto che tra la fine del 2020 e gli inizi del ’21 i toni verso Zelensky divennero più duri, mentre, in parallelo, il partito ucraino che brandiva la distensione, Piattaforma di Opposizione – Per la Vita, avviava una campagna contro di esso.  Secondo Strana, cioè, Mosca aveva iniziato a puntare sulla sostituzione dell’ondivago Zelensky.

Ma la rottura vera e propria, accenna Strana, potrebbe essersi consumata nell’autunno del 2020, a seguito dell’incontro tra Zelensky e il capo dell’MI6 Richard Moore, anche se non ci sono prove in proposito (né potrebbero esserci).

Media: British Intelligence Warned Zelensky about the Leak of Information

Ma, ovviamente, Strana non trascura il fattore più importante della vicenda, la vittoria di Biden alle elezioni del novembre 2020, propiziata dalla pandemia, che creò un clima di terrore e offuscò l’immagine di Trump, che aveva spinto non poco per la distensione Mosca-Kiev. Con l’elezione di Biden, l’idea di uno “scenario georgiano” per l’Ucraina venne seppellita e iniziò la guerra.

A proposito di Georgia, ieri il primo ministro di Tblisi Irakli Kobakhidze ha dichiarato che, all’inizio della guerra ucraina, in un “incontro a porte chiuse” chiesero al suo Paese di aprire un secondo fronte contro la Russia, perché, come dissero, “l’Ucraina sta vincendo la guerra e non dovete perdere questa occasione”.

Nel ricordare la sollecitazione, Kobakhidze ha ribadito la saggezza del loro diniego. In effetti, se l’avessero accolta, la Georgia ora sarebbe un cumulo di macerie al modo dell’Ucraina. E forse tale sarebbe stato il destino del mondo intero, se tale follia avesse avuto come conseguenza, peraltro possibile, l’avvio di una guerra termonucleare.

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