L'infinita Eurotragedia italiana

L'infinita Eurotragedia italiana

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di Giuseppe Masala - steemit.com
 

E dunque la tanto attesa e temuta recessione tecnica è arrivata tra noi, con tanto di bollinatura ufficiale dell'Istat. Immediatamente si è scatenata - soprattutto nell'agone politico nazionale - un assordante rumore di fondo dove ciascuna parte politica tenta di accusare gli avversari di quella che è la terza recessione in undici anni. Un vero unicum nella storia nazionale dall'avvento dello stato unitario.


Se è certamente vero che la scintilla che ha scatenato l'ennesimo psicodramma italiano è ascrivibile ad un chiaro rallentamento della congiuntura internazionale dovuta probabilmente anche alla guerra commerciale in corso tra USA e Cina e ai timori di una hard Brexit possiamo certamente dire che le cause profonde del male oscuro italiano sono altre. Proverò ad indagare in questo spazio quelle che mi paiono le più importanti.


Recessione tecnica o infinita depressione strategica?


Certamente se guardiamo all'andamento del Pil italiano dall'ottica dell'anno rispetto all'anno precedente o del trimestre rispetto al trimestre precedente ciò che appare è che nell'ultima decade abbiamo vissuto una tripla recessione. Ognuna delle quali variamente spiegabile. La prima causata dal grande crollo di Wall Street del 2008, la seconda causata dall'impellente necessità di riportare in pareggio la nostra bilancia commerciale e il saldo delle partite correnti. Operazione, sia detto per inciso, riuscita mirabimente (anche se a costi sociali altissimi) grazie al governo guidato dal Prof. Monti. E ora la terza, causata come detto sopra, dal rallentamento della domanda mondiale a causa della guerra commerciale in corso tra Cina e USA e dalle aspettative di una Hard Brexit che potrebbe gelare il sistema economico europeo. Tutto sembra chiaro, ma se cambiamo punto di osservazione le cose se possibile appaiono ancora peggiori.


Infatti se osserviamo l'andamento del Pil partendo dal 2007 (ovvero alla vigilia del grande crollo di di Wall Street) il panorama è desolante. L'Italia è a tutt'oggi sott'acqua: il Pil è ancora del 5,8% inferiore rispetto a quello pre crisi mondiale. Dunque siamo di fronte ad una lunghissima - infinita - depressione. Questa enorme tragedia è già ben conosciuta dagli economisti, basti pensare che per esempio il Prof. Jeffrey Frankel scrisse un allarmato paper nell'ormai lontano 2014. Da allora non è cambiato nulla. Sott'acqua eravamo e sott'acqua siamo rimasti.
Inutile sottolineare che le variazioni registrate trimestre su trimestre nel periosdo all'interno del più amplio lasso di tempo 2007-2018 sono insignificanti. Risibili dunque sono le vanterie di qualche politico italiano secondo cui l'Italia durante il suo governo è cresciuta per 14 trimestri di fila. Piccoli sussulti di un paziente ricoverato in coma profondo in camera di rianimazione dall'ormai lontano 2007, nientaltro che questo. Ma come spiegare questa lunga ascesa verso il Golgota dell'Economia italiana? A mio parere non c'è una singola spiegazione ma un insieme di concause, alcune delle quali di portata strategica e altre di portata tattica.



Il Watherbording Europeo


Sicuramente ad aver influito nella nostra assenza di capacità di recupero dalla crisi del 2008 è stata l'inibizione europea della leva della spesa pubblica italiana, in ossequio a regole e postulati ottusi e di scarsissima prospettiva. La ferrea legge contabile europea che ha visto prevalere il rispetto dei parametri di Maastricht rispetto all'urgenza di spendere nel rinnovamento delle infrastrutture italiane ormai vetuste e in ricerca e sviluppo per non perdere il treno mondiale della lotta per l'innovazione di processo e di prodotto è stata una scelta politica ferale per l'economia italiana che alla fine si è ridotta ad essere un anello della Chain Value tedesca: in buona sostanza non potendo competere ci siamo arresi e abbiamo accettato il progetto europeo di essere subfornitori dell'apparato industriale tedesco. Subfornitori a bass costo peraltro e da qui la necessità di abbattere salari e tutele nel mercato del lavoro (pensiamo al Job Act.). Inesorabile che al rallentamento di Berlino consegua anche il rallentamento dei suoi subfornitori. Cosa puntualmente verificatasi in questa "terza recessione tecnica".


La longa manus degli investitori esteri


Come se non bastasse l'essersi piegati al progetto di trasformare il tessuto produttivo italiano in subfornitore tedesco abbiamo subito anche la colonizzazione finanziaria dei cosiddetti investitori esteri. Qualcuno in questi anni ha sponsorizzato (tanto per non fare nomi si è distinto in questo propaganda il Professor Romano Prodi) l'afflusso di capitali esteri nel sistema italia. Dimenticandosi di dire che questi capitali non venivano in Italia come forma di beneficienza ma in cerca di remunerazioni costanti e le più alte possibile.
E così nel giro di pochi anni abbiamo perso l'industria del lusso quasi in tutta la sua interezza:
a) Cerutti agli svedesi :b) Fila ai coreani c) Sinterama : leader nel poliestere acquistata da un fondo di private equity che ha portato la produzione in Bulgaria ; d) Loro Piano, Bulgari, Fendi, Pucci, Acqua di Parma ai francesi di Lhvm ; e) Gucci, Dodo, Pomellato ,Bottega Veneta , Brioni a Kering la holding francese di Pinault ; f) Valentino, ai qatarini ; g) Krizia , Curiel , Tacchini ai cinesi : i) Ferrè all'emirato di Dubai ; h) Borsalino, agli svizzeri; i) Corneliani al Barein; l) Stefanel agli inglesi di Trinity ; m) la famosissima sartoria bresciana Boglioli agli spagnoli ; n) Gai Mattioli e Pignatelli gli inglesi di Shani Group; o) Versace alla statunitense Kprs.


E se alziamo lo sguardo dall'Industria del lusso che era il fiore all'occhiello della manifattura italiana le cose non vanno meglio. Per esempio sono stati venduti all'estero i seguenti gioielli: 1) Bocchiotti Spa , specializzata nel produrre canali di plastica per sistemi elettrici con produzione in quaranta stati venduta ai tedeschi della Hager; 2) Fondo investimento internazionale acquista nel distretto delle sedie di Udine la Calligaris e altrettanto i tedeschi di GEA con il gruppo veneto Pavan ; 3) la Dytech che lavorava per la Fiat acquistata dai giapponesi di Sumitomo Riko Company; 4) IBF che produce tubi per i reattori nucleari e il petrolchimico venduta agli spagnoli di Tubacex; 5) la Motovario di Modena leader nei motori elettrici: acquistata dalla TECO di Taiwan ; 6) la leader della pressofusione la Dynamic Technologies di Udine venduta ai francesi di Ardian; 7) Le ceramiche Marazzi di Sassuolo venduta agli americani Mohawk; 8) la leader modenese delle macchine per bibite la Spm venduta agli svedesi della Electrolux; 9) la divisione automotive del gruppo Fontana venduta ai portoghesi di Sodecia; 10) Ask specializzata in impianti radio per auto venduta ai giapponesi Ivc Kenwood; 11) ai giapponesi di Hi-Lex la Lames di Chiavari specializzata in alzacristalli; 12) al gruppo tedesco Schuler la Farina Presso di Suello (Lecco) 12) al fondo Quantum Capital Patners la Gianetti Ruote; 13) la leader del montascale la Vimec al fondo di investimento svedese Latour;13) i carrelli Bolzoni alla statunitensa Hyster Yale; 14) il gioiello tecnologico di Arezzo la Borri specializzata in impianti che ti salvano dalle interruzioni di energia elettrica venduta ai francesi del gruppo Legrand. 15) il gioiello dell’Ingegneria Biomedica Santa Lucia venduta al fondo britannico di private equity Permira; 16) Invatec la leader mondiale dii produzione di apparecchiature mediche quali bypass acquistata dagli americani Medtronic che peraltro chiuderà l’azienda il prossimo anno spostando la produzione in Messico; 17) l'Ilva di Taranto (la più grande acciaieria dl'Europa) acquistata da Alcelor Mittal; 18) La Ansaldo Breda ceduta ai giapponesi di Hitachi; 19) Acquisto della Parmalat da parte dei francesi di Lactalis che prima si sono portati la ricchissima cassa a Parigi con una operazione finanziaria spericolata e che ora vogliono - secondo voci di stampa - chiudere direttamente trasformando l'azienda parmigiana in una divisione della società francese.


Chiunque capisce che un simile afflusso di capitale straniero in cerca della massima remunerazione e avulso da qualsiasi responsabilità sociale rende impossibile per qualsiasi governo la possibilità di impostare una politica economica ed industriale incentrata su investimenti e innovazione: si spreme il limone finchè ce n'è e poi si butta via. Questo fanno gli stranieri; già, i tanto decantati investimenti stranieri del nostro Professor Romano Prodi che una volta per tutte dovrebbe chiarire se quando parla lo fa in scienza e coscienza da professore o se lo fa da lobbista a contratto.


Da sottolineare che i nostri partner europei la Politica industriale se la tengono ben stretta; basti pensare alle barricate francesi per evitare che la nostra Fincantieri acquisti la STX o basti pensare alle leggi tedesche che rendono difficilissimi gli acquisti da parte di attori extraeuropei di aziende tedesche.


Sistema bancario esposto al saccheggio


Il meccanismo perverso della svendita degli NPL che affonda le banche. è semplice: la BCE ha imposto la copertura degli NPL (Non Performing Loans: crediti in sofferenza e incagli) alle banche al 100% e la loro vendita cartolarizzata a società terze. Ora, il sistema bancario italiano ha venduto in pochissimi anni al 20% del valore facciale del debito, il che significa che un debito in sofferenza di 100mila euro viene venduto ad una società terza a 20mila euro. Il prezzo appare troppo basso, perché non sono debiti all'americana privi di garanzia. Ma in genere si tratta di debiti coperti da ipoteche immobiliari su capannoni o immobili residenziali. Allora, queste società terze grazie all'escussione dei valori immobiliari posti a ipoteca se in cinque anni riuscissero a recuperare il 40% del valore facciale del debito farebbero un guadagno stellare del 100%, il 20% all'anno. Un'enormità.
Ma chi sono queste società terze che acquistano? Noi non lo sappiamo, sono quasi tutte società estere dietro le quali potrebbero nascondersi gli stessi banchieri e i loro amici. Io non rimarrei stupito se tra 20 anni uscisse una cosa del genere. Diciamo, per fare un esempio, che Passera ha fondato una banca proprio per acquistare questi NPL svenduti...ha fiutato l'affare.
E le banche? Le banche svendendo questi NPL a prezzi stracciati per l'imposizione BCE vede erodersi il capitale, devono ricapitalizzare. Ma chi ricapitalizza? Nessuno, nessuno sarebbe pazzo da ricapitalizzare le banche italiane. E allora? E allora Bail-in o ricapitalizzazione precauzionale statale. Ovvero paghiamo noi, o come contribuenti dello stato o come risparmiatori che magari hanno acquistato obbligazioni subordinate.
In sostanza, questa svendita degli NPL a prezzi stracciati è il saccheggio del risparmio degli italiani. Oltre che delle casse dello stato. A vantaggio di queste persone occulte che si nascondono dietro queste società estere. Che noi non sappiamo chi sono. Chiaro che ha fatto la BCE di Draghi?
Per darvi un idea del saccheggio solo nel 2018 le vendite di NPL delle banche sono state pari a 70 mld di euro. Più quelli degli anni precedentiI.


Inutile sottolineare che la svendita degli NPL con relativa erosione del capitale delle banche rende difficilissimo per le banche soddisfare le richieste di credito del sistema produttivo. In una parola siamo in pieno credit crunch (come peraltro rilevato anche da Banca d'Italia ). Tutto questo ovviamente influisce sulla capicità di investire, di innovare e di produrre Pil del sistema italiano.


Dipendenti dal "Gigante Malato" tedesco?


Come messo in evidenza dall'economista Ashoka Mody inoltre la Germania è di per sé un gigante malato imprigionato nel proprio presente ma incapace di progettare il futuro. Ciò mette ulteriormente a rischio le nostre prospettive essendo ormai come sistema produttivi legati a filo doppio alla Global Chain Value di Berlino. Se la Germania non è più competitiva non lo possiamo essere manco noi nella nostra - poco invidiabile - qulità di fornitori a basso costo dei tedeschi. Secondo l'economista indiano la Germania ha compiuto un grave errore strategico: non ha investito nelle nuove tecnologie rimanendo agganciata al suo sistema produttivo ormai vetusto e legato principalmente alla chimica e all'automotive. Peraltro, nota sempre l'importante economista, la Germania non è competitiva nell'auto elettrica che è il futuro del trasporto. Un bel guaio anche per noi che siamo fornitori della componentistica.


Conclusioni

Mala tempora currunt sed peiora parantur.

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