La guerra e la militarizzazione sono convenienti per l'economia?

620
La guerra e la militarizzazione sono convenienti per l'economia?

 

di Federico Giusti

Il neokeynesismo di guerra ha permesso agli Usa di conservare la propria egemonia nel panorama globale ma al contempo è lecito chiedersi se la corsa al riarmo possa essere una soluzione praticabile per tutti i paesi a capitalismo avanzato.
 
Se guardiamo agli Stati europei dell'area mediterranea, ad esempio Italia, Spagna e Grecia, l'obiettivo di destinare il 2% del Pil alla spesa militare è oggettivamente  perseguibile? E qualora lo fosse quali ripercussioni avrebbe sulla economia di questi paesi anche in rapporto ai dettami di Maastricht ?
 
La spesa militare ufficiale è molto inferiore a quella reale, vale per gli Usa come per altri paesi della Nato con capitoli di spesa afferenti a svariati ministeri e non computabili dentro le risorse impegnate a fini militari.
Premessa necessaria a conferma che tra i dati ufficiali e quelli reali esistono contraddizioni rilevanti.
 
Ammesso, ma non concesso, che ogni paese Nato voglia e possa raggiungere nell'arco di 2 o 3 anni l'obiettivo del 2% del proprio Pil destinato alle spese militari, sarebbe in tal caso sotto controllo il debito pubblico ? 
 
Nella Ue l'idea di escludere le spese militari dalle regole di Maastricht è diffusa e trasversale a nazioni e organizzazioni politiche , aumentando le spese militari sarebbe scontato accrescere le tasse o tagliare ulteriormente i fondi per lo stato sociale ma scelte del genere potrebbero determinare conflitti diffusi e assai pericolosi per la tenuta dei Governi nazionali.
 
Non siamo solo noi a suscitare dubbi e perplessità ma perfino l’agenzia di rating americana Moody’s con un apposito documento;  Higher defence spending will strain budgets, but is credit positive for companies (“La maggiore spesa per la difesa metterà sotto pressione i bilanci, ma è positiva per le aziende dal punto di vista del credito”)
 
Nel 2022 la spesa per la difesa è stata pari all'1,3 % del PIL per l'UE e all'1,2 % del PIL per la zona euro, con una spesa in entrambi i settori relativamente stabile in percentuale del PIL nel periodo 2013-2022 (oscillante tra l'1,2 e l'1,3 % del PIL), ma in calo rispetto al PIL rispetto al 1995 e al 1996 (1,6 % del PIL). In percentuale della spesa totale, la spesa per la difesa è stata pari al 2,6 % nel 2022 nell'UE e al 2,5 % nella zona euro......
Nel 2022 i livelli più elevati della spesa totale per la difesa nei paesi dell'UE sono stati osservati in Grecia (2,6 % del PIL), Lettonia ed Estonia (entrambe 2,2 % del PIL), Lituania (2,1 % del PIL), Francia e Romania (entrambe 1,8 % del PIL), Cipro e Svezia (entrambe 1,6 % del PIL), nonché Bulgaria e Slovacchia (entrambe 1,5 % del PIL). Per contro, l'Irlanda (0,2 % del PIL), Malta e il Lussemburgo (entrambi 0,5 % del PIL) e l'Austria (entrambi 0,6 % del PIL) hanno registrato una spesa relativamente bassa per la difesa nell'UE. Tra i paesi dell'UE e dell'EFTA, l'Islanda ha registrato il livello più basso di spesa per la difesa, in quanto non dispone di un esercito permanente (0,1 % del PIL).
 
Teniamo conto che a livello europeo nonostante le esplicite richieste della Nato, fin dall'anno 2014, per anni la spesa militare è stata contenuta salvo poi, all'indomani della guerra in Ucraina, aumentare visibilmente
 
Rispetto al 2021, il livello della spesa per la difesa nell'UE è rimasto stabile, espresso in percentuale del PIL e in percentuale della spesa totale. Tuttavia, nel 2022, in termini assoluti, la spesa dell'UE per la difesa è aumentata a 204 miliardi di EUR, rispetto ai 184 miliardi di EUR del 2021. Questo aumento dell'11 % rappresenta il secondo aumento relativo più forte tra le funzioni di spesa generali.
 
Ora , alla luce di questi dati dobbiamo aprire alcune riflessioni ossia se il modello militarista dominante negli Usa sia esportabile ad altri paesi Nato e soprattutto ai membri Ue e se un aumento delle spese militari come richiesto dalla Nato non sia invece una sorta di cavallo di Troia per le regole che sorreggono la stessa UE.
 
E' innegabile che accrescere gli investimenti a fini di guerra  determinerebbe per l'Italia la crescita del debito pubblico fino al 144% del PIL nel 2030, qualora invece raggiungessimo, sempre per la spesa militare, il 2 per cento del nostro Pil il debito arriverebbe al 147% del PIL 
 
Paesi come Grecia, Spagna e Italia potranno quindi permettersi “livelli più bassi di sostegno popolare" a fronte di continui e progressivi aumenti della spesa militare?  
 
Moody’s punta i riflettori  su Italia e Spagna,  possiamo anche dubitare della bontà di questo interessamento pensando a operazioni finanziarie di natura  speculativa dettate da obiettivi politici non meglio definiti, ad esempio l'indebolimento della Ue. 
 
 Ma i rischi che corrono Spagna e Italia potrebbero anche investire nazioni come  Francia, Germania, Gran Bretagna e Polonia e perfino la  Germania  lacerata da una recessione economica che ha fermato dopo lustri la sua crescita economica.
 
Possiamo anche ipotizzare il timore statunitense nel fare i conti con una Ue armata e incline all'aumento delle spese militari, del resto alcune aziende produttrici di armi del vecchio continente potrebbero anche rappresentare una concorrenza pericolosa per lo strapotere economico Usa. Detto cio' è evidente che gli equilibri politici e sociali del vecchio continente sono ben diversi da quelli vigenti negli Usa e tagli poderosi al welfare oggi sarebbero ingestibili.
 
La crisi pandemica prima e quella causata dalla guerra in Ucraina sta alimentando non poche contraddizioni in seno ai pesi Ue, un eventuale, e probabile, aumento del debito avrebbe l'effetto di ridurre la spesa sociale alimentando conflitti generalizzati difficilmente superabili. Ma questa elementare osservazione, se insinuata da una agenzia finanziaria, appare alquanto sospetta, forse a turbare i sonni di Moody's sono ben altre ragioni ad esempio il timore che in seno alla Ue prevalgano forze politiche nazionaliste con interessi e obiettivi non sempre accettabili da Oltre Oceano.
 
Prendiamo ad esempio l'Italia ove la spesa per il settore militare tra il 2013 al 2023,è passata da 20 miliardi di euro a 26 miliardi (+ 30%).
 
Qui entrano in gioco altre ragioni, ad esempio la mancata crescita del  PIL, le previsioni per l'Italia non sono certo incoraggianti . Il neokeynesismo di guerra sarà forse la soluzione per la crescita economica del vecchio continente o invece, come crediamo, possa rappresentare un ostacolo e una contraddizione insuperabile?
 
Possiamo allora permetterci un aumento delle spese militari  rispettando al contempo i dettami di Maastricht  nel rapporto tra Pil e debito pubblico e allo stesso tempo evitare un disastro sociale  derivante da ulteriori tagli al welfare? E sarà sostenibile una politica di austerity per i prossimi anni?
 
 
 
 

ATTENZIONE!

Abbiamo poco tempo per reagire alla dittatura degli algoritmi.
La censura imposta a l'AntiDiplomatico lede un tuo diritto fondamentale.
Rivendica una vera informazione pluralista.
Partecipa alla nostra Lunga Marcia.

oppure effettua una donazione

La strategia del riccio di Trump di Giuseppe Masala La strategia del riccio di Trump

La strategia del riccio di Trump

Macao celebra 25 anni di sviluppo e crescita   Una finestra aperta Macao celebra 25 anni di sviluppo e crescita

Macao celebra 25 anni di sviluppo e crescita

Non è solo Facebook.. E' lo specchio del mondo che ci stanno imponendo di Francesco Erspamer  Non è solo Facebook.. E' lo specchio del mondo che ci stanno imponendo

Non è solo Facebook.. E' lo specchio del mondo che ci stanno imponendo

Siria. Israele, jihadisti e noi... di Paolo Desogus Siria. Israele, jihadisti e noi...

Siria. Israele, jihadisti e noi...

Venezuela, il calendario dei popoli e l'agenda di chi li opprime di Geraldina Colotti Venezuela, il calendario dei popoli e l'agenda di chi li opprime

Venezuela, il calendario dei popoli e l'agenda di chi li opprime

Israele, la nuova frontiera del terrorismo di Clara Statello Israele, la nuova frontiera del terrorismo

Israele, la nuova frontiera del terrorismo

La retorica "no border" e Salvini: due facce dello stesso imperialismo di Leonardo Sinigaglia La retorica "no border" e Salvini: due facce dello stesso imperialismo

La retorica "no border" e Salvini: due facce dello stesso imperialismo

Transito di gas russo dall'Ucraina: l'UE ad un bivio di Marinella Mondaini Transito di gas russo dall'Ucraina: l'UE ad un bivio

Transito di gas russo dall'Ucraina: l'UE ad un bivio

Professioni e privilegi di Giuseppe Giannini Professioni e privilegi

Professioni e privilegi

72 ore di bipensiero oltre Orwell di Antonio Di Siena 72 ore di bipensiero oltre Orwell

72 ore di bipensiero oltre Orwell

IL RITORNO DEL VILE AFFARISTA di Gilberto Trombetta IL RITORNO DEL VILE AFFARISTA

IL RITORNO DEL VILE AFFARISTA

La politica turca in Siria: traiettoria di collisione di Michelangelo Severgnini La politica turca in Siria: traiettoria di collisione

La politica turca in Siria: traiettoria di collisione

La foglia di Fico di  Leo Essen La foglia di Fico

La foglia di Fico

Tempi duri per i poveri di Michele Blanco Tempi duri per i poveri

Tempi duri per i poveri

Il ragionier Fracchia Urso e le "promesse" di Stellantis di Giorgio Cremaschi Il ragionier Fracchia Urso e le "promesse" di Stellantis

Il ragionier Fracchia Urso e le "promesse" di Stellantis

Registrati alla nostra newsletter

Iscriviti alla newsletter per ricevere tutti i nostri aggiornamenti