Il voto ai 5 Referendum, dubbi, perplessità e riflessioni
Diciamo subito, a scanso di equivoci, che in linea di massima vanno votati i 5 referendum in programma per l’8 e 9 giugno prossimi, e va dato un SI sia ai 4 referendum che riguardano problemi del lavoro, sia, con qualche dubbio in più, a quello relativo alla cittadinanza per i migranti.
Tuttavia, non si può andare a votare con gli occhi chiusi sulla spinta di motivazioni scontate e facili entusiasmi, ma bisogna farlo in modo cosciente e senza evitare qualche riflessione anche critica.
I primi 4 referendum - che riguardano rispettivamente il reintegro nel caso di licenziamenti illegittimi, l’eliminazione del tetto della massima indennità per il licenziamento in aziende di meno di 15 dipendenti, le condizioni necessarie per l’erogazione di contratti a termine nell’ottica di limitare la precarietà del lavoro, e la responsabilità solidale tra committente, appaltatore ed appaltante con riferimento in particolare alle condizioni di sicurezza sul lavoro – sembrano essere stati indetti essenzialmente come surrogato alla mancanza di lotte ed iniziative sui problemi del lavoro, che ha afflitto, ormai da molti anni, il sindacalismo confederale. In particolare, il primo di questi referendum va addirittura ad abrogare disposizioni previste dalla Legge 183 del 2014 e del conseguente Decreto Legislativo N. 23 del 4.3.2015 (cosiddetto Job’s Act) che fu voluto addirittura da quelle forze politiche della cosiddetta “sinistra” che ora ne chiedono l’abrogazione.
Fermo restando la giustezza dei singoli contenuti dei referendum, l’aver spostato le richieste di abrogazione dal terreno delle lotte a quello dei referendum rischia di tramutarsi in una vittoria d’immagine della “Destra” per l’obiettiva difficoltà di raggiungere il Quorum del 50% dei votanti, danneggiando anche la reputazione di uno strumento di democrazia popolare come il referendum-
Per quanto concerne il quinto referendum, che vorrebbe dimezzare il periodo di 10 anni necessario ai migranti per ottenere la cittadinanza, dare un SI (come penso che farà alla fine anche chi scrive) significa sostanzialmente intervenire in maniera “umanitaria” su situazioni difficili già esistenti tra singoli migranti e loro famiglie. Sarebbe però un errore interpretarlo come un incoraggiamento generico al fenomeno globale della migrazione (e bene ha fatto il Movimento 5 Stelle ad indicare “libertà di voto” su questo specifico punto).
Già in precedenti articoli avevamo fatto notare che il fenomeno della moderna migrazione non ha la valenza genericamente “progressista” che buona parte della “sinistra” occidentale vorrebbe attribuirgli. Anzi, avevamo sottolineato come questo fenomeno globale rischia di diventare come un moderno commercio degli schiavi, dove masse di persone, abbacinate dal mito dell’Occidente ricco pronto ad accoglierle, rinuncia a lottare per un avvenire migliore del loro paese per rivendicare invece il diritto di poter fare qualsiasi lavoro sottopagato e precario nei paesi ricchi, senza garanzie di non finire nella più completa emarginazione. Non è così che può risolversi il problema della povertà nel mondo. Il fenomeno della migrazione può al massimo risolvere il problema di qualche singolo fortunato e privilegiato.
Oggi masse di persone negli ex paesi del “terzo” e “quarto” mondo lottano contro il neo-colonialismo e l’imperialismo occidentale per lo sviluppo dei loro paesi e per farli uscire dalla povertà, dalla dipendenza e dallo sfruttamento di potenze ex-coloniali. Il fenomeno dei BRICS - gruppo di paesi che, pur nelle rispettive differenze, guida la maggioranza dell’umanità verso un destino di indipendenza e reale progresso – ne è il simbolo più luminoso. Ne è simbolo luminoso anche l’ostinata resistenza del popolo palestinese verso i continui tentativi dei genocidi, sostenuti dall’Occidente. di sradicarli dalla propria terra.
Anche nel caso che le migrazioni siano causate da motivi oggettivi, come guerre di aggressione nei confronti di paesi che l’Occidente ha deciso di distruggere per propri fini (come nel caso della Siria, Iraq, Libia, Afghanistan, Sudan, ecc.) e nel caso di paesi vittime di feroce sfruttamento e colpi di stato mirati (come nel caso della Costa d’Avorio e altri paesi dell’Africa Occidentale, e non solo), la risoluzione del problema sta nel costringere l’Occidente imperialista a non commettere più questi crimini. E non certamente nella presunta salvezza individuale di limitati gruppi di persone