Gianna, infermiera dei “bambini farfalla” di Gaza lancia l’appello: “Tre bambini attendono cure in Italia”

Gianna, infermiera dei “bambini farfalla” di Gaza lancia l’appello:  “Tre bambini attendono cure in Italia”

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di Giulia Bertotto per l'AntiDiplomatico

 

Gianna Pasini, infermiera di Brescia, per circa dieci anni si è recata a Gaza per sostenere i cosiddetti “Bambini farfalla”, affetti da una dolorosa patologia genetica rara, che si manifesta a livello cutaneo, l’Epidermolisi bollosa. L’AntiDiplomatico ha raccolto la sua storia, di grandissima sensibilità e di profonda forza umana.

Il 15 maggio, si commemoravano i 76 anni dalla Nakba, la “catastrofe”, con lo sfollamento forzato di almeno 700 mila palestinesi dalle loro terre. La Nakba non è mai finita, all’occupazione si sono aggiunte le bombe, le vessazioni, le crudeltà sistematiche con l’indottrinamento israeliano alla disumanizzazione del popolo palestinese. Non possiamo continuare ad assistere al massacro in diretta sui social dei palestinesi.

 

L’INTERVISTA A GIANNA PASINI

 

Gianna, quando è partita la prima volta per Gaza?

La prima volta che sono stata a Gaza fu nel maggio 2011, in occasione di un mese dalla morte di Vittorio Arrigoni. Ci fu una grande manifestazione organizzata a Gaza dalla popolazione locale. Allora si entrava da Rafah, quindi dall’Egitto, all’epoca non conoscevo bene la situazione della Palestina ma sapevo che volevo essere di aiuto nelle realtà più in difficoltà. Come infermiera con esperienza pediatrica all’Ospedale Civile di Brescia potevo aiutare i bambini in situazioni di carenza medica. Fu un viaggio rocambolesco, pieno di traversie, dovevamo evitare il Sinai perché era zona pericolosa presidiata militarmente. Eravamo una delegazione di due pullman, cittadini comuni, non medici o giornalisti. Una volta entrati a Gaza, in ritardo sulla tabella di marcia, sono seguiti incontri con delegazioni politiche e associazioni umanitarie, ed eravamo sempre scortati dalla security di Hamas. Lì conobbi anche Daniela Riva, una figura importantissima in questa vicenda,  che mi chiese se volessi conoscere un bambino farfalla. Dissi di sì. Quando sono arrivata nella Striscia non avevo mai visto un “bambino farfalla”. Ero predisposta alle situazioni difficili e ad avere cura di persone in stato di bisogno e vulnerabilità. Dopo quella prima volta sono tornata a Gaza ogni anno per circa un mese per visitare i “bambini farfalla" e le loro famiglie.

Era già stata in zone difficili del mondo?

Sì, il mio primo viaggio fu durante la scuola infermieristica, andai in Brasile in una comunità, ma anche in Africa con delegazioni o viaggi personali. Ero certamente mossa dalla predisposizione alla cura ma anche dalla voglia di conoscere altre culture. A Brescia conoscevo già l’Associazione di Amicizia Italia-Palestina di Brescia. Fu attraverso il passaparola ad una manifestazione che tutto si mise in moto, perciò dobbiamo ricordarci che usare i Social è importante ma  lo è anche scendere in piazza.

Arrivata a Gaza aveva paura?

Devo dire di no. Anche se ogni viaggio comportava il dover affrontare le prepotenze e i metodi intimidatori dei militari israeliani, i quali controllavano documenti, rovistavano ogni nostro zaino, impedendo l'ingresso di molto materiale fondamentale per prestare assistenza  come le torce e tutti gli oggetti scomponibili, e ogni carico di medicinali doveva essere accompagnato da una lista dettagliata. Una volta arrivata al confine nord di Erez mi dissero che non potevo portare la mia macchina fotografica: o l’obiettivo o il corpo, dissero. Ma cosa me ne facevo di un pezzo separato dall’altro? Una nuova legge limitava l'accesso alle macchine fotografiche professionali l'ingresso nella Striscia. Volevano scoraggiare i volontari e le associazioni umanitarie ma io non mi sono mai lasciata condizionare da questi atteggiamenti.

Può descriverci come si manifesta l’Epidermolisi Bollosa?

Chi nasce con questa rara patologia genetica manifesta eruzioni cutanee su tutto il corpo, vere e proprie bolle dolorose come ustioni. Quando si rompono o vengono incise chirurgicamente, creano delle lesioni più o meno profonde e quando si cicatrizzano vanno a sovrapporsi. Questi bambini sentono dolore anche se sfiorati, per questa loro fragilità vengono chiamati “bambini farfalla”. A volte queste bolle si formano anche nelle mucose e nella laringe creando problemi alla deglutizione e all’alimentazione.

Questo crea conseguenze anche alla corretta assunzione del cibo e quindi alla crescita fisiologica e regolare dei piccoli.

Sì, a volte causa anche problemi respiratori ed occorre intervenire con l’endoscopia. Un’altra conseguenza è l’anemia perché possono perdere molto sangue dalle lesioni. Il primo bambino affetto da Epidermolisi Bollosa che ho conosciuto aveva dieci anni ma ne dimostrava alcuni di meno. Infatti spesso questi bambini non dimostrano l’età che hanno. La malattia si presenta in forme più o meno gravi: la forma cosiddetta simplex si limita all’insorgenza di bolle, le forme invece più gravi compromettono anche l’apparato scheletrico, che comporta difficoltà a deambulare. In alcuni casi le conseguenze possono portare anche alla morte.

La malattia è diagnosticabile al momento della nascita?

Sì, solitamente è evidente già dopo il parto. Si tratta di una patologia che ha maggiore incidenza dove c’è poco ricambio genetico, quindi in quelle aree dove si concepiscono figli tra parenti, spesso fra cugini. Questo può avvenire talvolta per ragioni culturali e religiose, ma soprattutto per ragioni sociali dovute all'embargo a cui è sottoposta la Striscia di Gaza dal 2006, quando Hamas venne eletto in seguito ad elezioni politiche. Non è certo facile  in una prigione a cielo aperto, dove a causa dell’embargo la circolazione è limitata all'interno della Striscia. Si lotta per poter accedere alla pesca, all’agricoltura, al lavoro e alla sanità. La diagnosi prenatale è possibile sul DNA fetale estratto da villi coriali o cellule del liquido amniotico, solo quando il gene-malattia è noto o sono state identificate le mutazioni patogenetiche. Questo naturalmente è praticamente impossibile in una realtà come quella di Gaza.

Quindi potremmo dire che indirettamente questa malattia è l’ennesima conseguenza di fattori causati dall’occupazione israeliana.

Certamente sì. Il genocidio non è certo iniziato il 7 ottobre 2024.

Questa malattia è molto invalidante e comporta sofferenze anche in un ambiente protetto, dove non mancano farmaci e acqua potabile, a Gaza le condizioni non sono certo queste...

Purtroppo a Gaza sia l’acqua, sia l’energia elettrica sono razionalizzate dall’occupanti israeliani, quindi prendersi cura di questi bambini è veramente un’impresa. Le cure si possono apportare sia in ospedale sia in casa, si dovrebbe fare quotidianamente un bagno per mantenere buone condizioni igieniche e non causare infezioni alle bolle e alle ferite, paragonabili ad ustioni, che ne derivano. Se la lesione non è aperta bisogna applicare vaselina e bendaggio così da poter vestire il bambino. Se ci sono infezioni in corso si mettono pomate antibiotiche o bagni disinfettanti specifici. Se si presentano sintomi di inappetenza o vomito significa che ci sono problemi all’esofago e la situazione richiede cure ospedaliere. Questi bambini devono studiare da casa o in scuole che hanno pochi allievi perché occorre stare attenti a sfregamenti e contatti per loro troppo irruenti. Proteggere il bambino dalla sofferenza e mantenere alta il più possibile la qualità della sua vita è l’obiettivo che si cerca di portare avanti. Attualmente per la malattia non c’è purtroppo nessun farmaco o trattamento che porti alla guarigione. Inoltre non tutti i bambini vivono a lungo.

Con quali persone e associazioni ha collaborato e stabilito legami?

Ho collaborato con PCRF-Italia ODV con Martina Luisi https://www.facebook.com/PcrfItalia , con Pro Terra Sancta con Vincenzo Bellomo  https://www.facebook.com/proterrasancta e con Stefania Bettinelli presidente di Le Ali di Camilla https://lealidicamilla.org/ . L’ultima mia missione è stata nel novembre 2019, poi c’è stata la crisi pandemica e da quel momento non mi sono più recata lì perché Israele aveva sbarrato ogni confine.  Anche il Bambin Gesù di Roma aveva mandato una sua équipe di ricerca e di aiuto, ma ad ogni bombardamento bisognava ricominciare tutto da capo. Non ho mai perso i contatti con i “bambini farfalla" di Gaza, nemmeno in questi terribili mesi  perché  alcune famiglie mi hanno contattata sui social, purtroppo di altri non ho più notizie.   Oltre a Daniela Riva un’altra figura chiave in questa vicenda è Isshaq, un ragazzo affetto in modo lieve dalla malattia, che ci aiutava a livello logistico a prestare assistenza ai bambini e alle loro famiglie, e che lo faceva anche in nostra assenza. A Gaza c’erano anche adulti affetti da Epidermolisi Bollosa ma per la mancanza di risorse e personale abbiamo dovuto scegliere di occuparci solo dei piccoli. Una scelta tragica.

 

Quanti bambini farfalla ci sono oggi a Gaza?

È difficile dirlo, con le devastazioni causate dall’esercito di terra che si aggiunge alle bombe via cielo e mare, è tutto diverso, quello che Israele sta compiendo è un massacro sotto gli occhi di tutti, mentre il mondo non vuole fermarlo. Dall’ultima check list che ho ricevuto da Isshaq e che risale al novembre 2019 i “bimbi farfalla" che seguivamo col progetto di cure erano 25. Anche persone adulte avevano questa patologia ma abbiamo dovuto scegliere di aiutare solo i bambini. Diverse associazioni stanno lavorando per accogliere  tre “bambini farfalla” di cui ho il contatto, è già tutto pronto a Modena per ospitarli, ma sono bloccati al valico di Rafah che al momento è chiuso e le condizioni sono sempre più drammatiche. Racconto la mia storia e quella dei bambini e delle famiglie che ho conosciuto in un libro tradotto anche in arabo che si intitola “Storia di una bambina farfalla di Gaza” (Edizioni Q). L’idea del libro è maturata durante la crisi sanitaria del Covid per raccogliere fondi per i “bambini farfalla”, dato che non potevamo essere lì fisicamente, potevamo raccogliete fondi e contribuire così alla continuazione del progetto.

Per restare aggiornati si può cercare su Facebook la pagina “Adotta un Bimbo Farfalla di Gaza”.


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Acquistando il libro “Storia di una bambina farfalla di Gaza” da questo link, l'AntiDiplomatico e Edizioni Q doneranno i proventi al progetto "Adotta un Bimbo Farfalla di Gaza".



Giulia Bertotto

Giulia Bertotto

Giulia Bertotto, giornalista per diverse testate online, è laureata in Filosofia a La Sapienza di Roma e ha un master in Consulenza Filosofica e Antropologia Esistenziale, ha scritto due raccolte poetiche, un saggio, e partecipato alla stesura di diversi volumi con altri autori. Svolge e stravolge interviste, recensioni di film e libri, cronache da eventi e proteste. Articoli per sopportare il mondo, versi e rime per evaderlo.

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