Corruzione in Italia (e nell'UE): i dati Istat e la "sindrome del Botswana"
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di Gilberto Trombetta
I dati appena pubblicati dall’ISTAT sulla corruzione¹ confermano una cosa: la percezione della corruzione in Italia è clamorosamente più alta rispetto all'entità reale del fenomeno. Quando leggete che secondo alcune classifiche l'Italia è uno dei Paesi più corrotti al mondo, state sicuri che quelle classifiche si basano sulla percezione e non sui numeri reali.
Secondo il rapporto dell’ISTAT, si riscontra una diminuzione dal 2,7% all’1,3% delle richieste ricevute dalle famiglie nel triennio precedente l’intervista rispetto all’edizione del 2015-2016.
Percentuale che sale al 5,4% delle famiglie abbia ricevuto richieste di denaro, favori, regali o altro in cambio di agevolazioni, beni o servizi nel corso di tutta la vita e non solo nell’ultimo triennio.
In diminuzione anche la quota di chi conosce persone che hanno avuto esperienze di corruzione: dal 13,1% (2015-2016) all’8,3% (2022-2023).
Dati in linea di massima confermati anche dall’ultimo report della Commissione Europea sulla corruzione (luglio 2023)² in cui viene fuori come solo il 6% degli italiani conoscano qualcuno che accetta o ha accettato tangenti contro una media UE dell'11% e contro il 10% della Francia, l'8% della Germania, il 10% dell'Olanda e il 12% dell'Austria.
Per quanto riguarda le persone che hanno vissuto direttamente o sono state testimoni di episodi di corruzione negli ultimi 12 mesi, in Italia la percentuale è del 6%, perfettamente in linea con la media UE e lontanissimo dai Paesi che occupano i primi posti (Ungheria, Bulgaria e Grecia rispettivamente col 18%, il 15% e il 13%).
Niente di nuovo, in teoria. Come già precedentemente certificato dall'Eurispes nel libro "La corruzione tra realtà e rappresentazione. Ovvero: come si può alterare la reputazione di un Paese". Nonostante l'85% delle persone sia convinto di vivere in un Paese estremamente corrotto, pochissimi hanno poi realmente vissuto un episodio di corruzione, sia direttamente che indirettamente.
Dopo anni di propaganda auto-razzista e anti-italiana, siamo vittime della cosiddetta "sindrome del Botswana". La tendenza cioè ad accostarci a Stati difficilmente (eufemismo) assimilabili al nostro.
Sindrome a cui si aggiunge poi il "paradosso di Trocadero". Vale a dire che più si perseguono i fenomeni corruttivi sul piano della prevenzione e le fattispecie di reato sul piano della repressione, maggiore è la percezione del fenomeno stesso. Alimentando così un effetto percettivo fortemente distorsivo.
Non è un caso se il popolo italiano sia l’unico a percepirsi e quindi a descriversi costantemente peggio, molto peggio, di quello che è. Un fenomeno largamente provocato da una propaganda che ci propala costantemente narrazioni basate sul nulla solo per agire sul senso di colpa della popolazione.
Di modo che accetti passivamente - convinta di meritarselo - tutto quello che, chi da questa situazione ha tratto e sta traendo indebito vantaggio economico, ci sta facendo.
Un fenomeno di cui non a caso si lamentava già nel 1961 Enrico Mattei.
«Quando ci siamo messi al lavoro siamo stati derisi, perché dicevano che noi italiani non avevamo né le capacità né le qualità per conseguire il successo. Eravamo quasi disposti a crederlo perché, da ragazzi, ci avevano insegnato queste cose.
[…]
Erano tanto accettate queste false conoscenze che avevano diffuso sugli italiani: sul dolce far niente, su questa razza pigra che non è pigra, che ancora oggi ce le sentiamo ripetere come verità».
FONTI