Cos’è la scienza? Chiesto a Carlo Rovelli
di Luca Busca
Non ha ormai più bisogno di presentazioni il professor Carlo Rovelli, assurto all’Olimpo della fisica teorica con la teoria della “gravità quantistica a loop”. Oltre agli articoli scientifici che gli hanno dato lustro in ambito accademico, il fisico ha scritto libri di divulgazione in grado di spiegare i complessi meccanismi della meccanica quantistica, e non solo, anche a chi è privo delle conoscenze necessarie.
Questa sua grande capacità esplicativa ha fatto sì che la rivista Foreign Policy lo inserisse tra i 100 «Global Thinkers» più influenti nel 2019. La sua vena “poetica” gli ha fatto valicare spesso le alte vette della scienza portandogli in dote innumerevoli premi letterari. Tra questi spiccano il Premio Galileo per la divulgazione scientifica vinto nel 2015 con il libro “La realtà non è come ci appare” e l’ultimo, nel 2024, il Premio Lewis Thomas per la “scrittura creativa”, istituto nel ‘93 dal Consiglio della Fondazione David Rockefeller.
L'INTERVISTA:
L.B. Una sfida quasi impossibile anche per te: in poche parole, cos’è la scienza?
C.R. La scienza…? Direi che è una cosa che fanno gli esseri umani, per cercare di capire meglio il mondo in cui sono. È una attività cresciuta lentamente, nei secoli, imparando una serie di metodi utili, come per esempio rimettere spesso in discussione le cose che crediamo di sapere, discutere, mettere le idee alla prova dei fatti, e altri.
L.B. Che rapporto hai con la fantascienza, ovviamente non mi riferisco a improbabili supereroi ma a scrittori come l’ultimo George Orwell, Isaac Asimov, Philip K. Dick, Ray Bradbury e J.B. Ballard?
C.R. Non leggo molta fantascienza. Mi annoia. La realtà è sempre più sorprendente della nostra limitata fantasia. Mi sono appassionato per la trilogia marziana di Kim Stanley Robinson. Forse perché è anche politica. Forse perché prevede che nel futuro ci si ricordi della mia fisica…
L.B. La fantascienza può costituire un valido strumento di divulgazione scientifica?
C.R. Difficilmente, perché mescola sempre il plausibile con l’implausibile. Tutto lo sforzo della scienza è distinguerli.
L.B. Nel tuo articolo “Il significato del tempo” apparso sul Financial Times il 20 aprile del 2018, fai riferimento al meraviglioso film di Christopher Nolan, Interstellar, realizzato con la collaborazione, come produttore esecutivo e consulente scientifico del fisico teorico del Caltech, Kip Thorne, premio Nobel ed esperto di relatività generale.
C.R. È un bel film, ma “meraviglioso” mi sembra eccessivo.
L.B. Il film parla di un viaggio attraverso un “wormhole”, una caduta oltre “l’orizzonte degli eventi” di un buco nero e l’attraversamento di un “tesseratto”. Non poche le questioni lasciate aperte dal film: Cos’è un wormhole? La sua esistenza è teoricamente possibile?
C.R. Non credo.
L.B. Entrare in un buco nero sembra essere molto semplice, è possibile, però sopravvivere alla schiacciante gravità?
C.R. No.
L.B. È possibile uscire da un buco nero?
C.R. In linea di principio forse sì. Ne parlo nel mio ultimo libro, Buchi Bianchi. Ma in pratica le forze interne schiaccerebbero noi umani.
L.B. Cos’è un tesseratto? È teoricamente possibile? Se costruito, avrebbe le proprietà descritte nel film come la comunicazione attraverso il tempo e le dimensioni?
C.R. È una fantasia, direi.
L.B. Quando ti immergi nelle tue ricerche tra buchi bianchi e fotoni blu la curiosità non ti conduce mai a improbabili fantasticherie? Se la risposta è positiva ne puoi illustrare brevemente una?
C.R. No, quando fantastico di solito fantastico cose come essere in una capanna in montagna con la mia compagna e di guardare un panorama sterminato…
L.B. Recentemente hai vinto il Premio Lewis Thomas 2024, assegnato al “raro individuo” che riesce a collegare il mondo della scienza con quello della scrittura, raccontando “le dimensioni estetiche e filosofiche della scienza”. Hai mai pensato di valicare definitivamente il confine tra i due mondi e scrivere un romanzo?
C.R. Sono totalmente incapace di inventare storie. Manco di quel tipo di fantasia lì. L’unica cosa che mi viene in mente è “Era una notte buia e tempestosa…”
L.B. Guardando indietro nel tempo, nell’antica Grecia, così come nel Rinascimento e, più raramente, nell’Illuminismo, la figura dello scienziato e quella del filosofo spesso coincidevano. A volte ancora oggi succede .... Cosa accomuna e cosa divide filosofia e scienza pura?
C.R. Le accomuna la curiosità, l’intelligenza, il desiderio di capire meglio la realtà, la serietà dell’impegno nella ricerca. Le dividono i metodi. La scienza utilizza metodi come osservazioni dettagliate della natura, misurazioni quantitative, esperimenti, matematica, predizioni quantitative, l’idea di testare ipotesi per mezzo di predizioni, e simili. La filosofia invece usa come indagine quasi solo la riflessione intelligente e la discussione.
L.B. Nel corso della storia si sono alternati periodi di grande fermento filosofico e scientifico ad altri di ristagno. Oggi le guerre, l’inquinamento e i problemi ambientali, le disuguaglianze, la povertà e i flussi migratori aumentano, mentre le grandi teorie filosofiche sembrano approdate sull’illusoria spiaggia della “Fine della storia” di Francis Fukuyama. Come va con le grandi scoperte scientifiche?
C.R. L’idea della fine della storia mi sembra una delle idee più stupide che io abbia mai ascoltato… La nostra storia finirà quando non ci saremo più. È un’idea che può venire solo a dei superficialoni che pensano che se hanno vinto la guerra ne segue che domineranno il mondo per l’eternità. Le grandi scoperte scientifiche, dal canto loro, sono rare oggi, come sono state rare sempre. Il problema del progresso è che è sempre più lento di quanto appaia.
L.B. Ogni grande teoria filosofica tende a creare una nuova “visione del mondo”, un nuovo modo di pensare l’uomo in relazione all’ambiente in cui vive. Allo stesso modo ogni scoperta scientifica importante genera una “visione del mondo fisico” diversa e spesso in contraddizione con la precedente. Le due “visioni del mondo” interagiscono tra loro. Sono madri e figlie allo stesso tempo dell’evoluzione del pensiero umano. Oggi gli studi umanistici in grado di stimolare questo processo evolutivo non riscuotono grande successo. Quelli scientifici tendono a una sempre maggiore specializzazione. Cosa si dovrebbe fare per ripristinare le condizioni ideali per stimolare l’evoluzione del pensiero umano?
C.R. Non penso ci sia nulla da ripristinare. Ogni scienza ci insegna qualcosa di nuovo, e ogni filosofia ci insegna qualcosa di nuovo. Spesso siamo confusi, qualche volta ci sembra di avere le idee più chiare. È sempre stato così … Impariamo, ma piano piano.
L.B. Tu sei l’ideatore, insieme a Lee Smolin, della “gravità quantistica a loop” e teorico della “rete di spin”, grazie anche all’aiuto di Roger Penrose. Hai descritto in maniera scientifica e divulgativa la teoria della relatività, la meccanica quantistica, il tempo, i buchi neri e l’ipotesi di quelli bianchi, la scienza della filosofia e la filosofia della scienza e tante altre cose. Il tuo lavoro evidenzia una chiara “visione del mondo fisico”, basata su una “meccanica relazionale”, rispettosa del principio di indeterminatezza e del lunghissimo cammino che la conoscenza deve ancora percorrere. Qual è la tua visione filosofica del mondo? Quali sono i punti di intersezione (gli “spin”) tra le due “visioni”? Hai mai pensato a quale sistema di organizzazione sociale sarebbe ideale per equilibrare le due “visioni”?
C.R. Non mi sento di avere due visioni. Mi sembra di avere una visione del mondo abbastanza coerente, anche se ci sono tante cose che non so e non capisco. Il mondo può essere fatto di reti di spin e quanti di spazio, e anche di amori, conflitti politici e ideali etici e sociali. Non c’è contraddizione, per lo stesso motivo per cui non c’è contraddizione tra vedere una foresta da lontano come un velluto verde, e vederla da vicino piena di alberi, tronchi, insetti muschio e formiche. Anzi, gli stessi principi di relazione che ci aiutano a meglio comprendere un livello ci possono aiutare a meglio comprendere gli altri, e le articolazioni fra i vari livelli di descrizione del mondo, che in fondo sono ciascuno un modo per noi di essere in relazione con la realtà.
L.B. Ancora un paio di curiosità sul tuo lavoro: una delle tue doti più riconosciute è quella di riuscire a spiegare le cose per immagini, facendo credere anche al più ignorante dei tuoi lettori (a cominciare dal sottoscritto) di aver capito i complessi meccanismi che regolano l’universo che ci contiene, così come le incerte regole del mondo quantico. Nel tuo libro “Buchi Bianchi”, ad esempio, scrivi: “Il formarsi di un buco nero è una caduta ... cosa fanno gli oggetti quando cadono? Arrivano in fondo, e poi ... rimbalzano. Se lascio cadere un pallone da basket sul pavimento, rimbalza e sale verso l’alto.” L’immagine è molto esplicativa, ma nelle menti semplici (sempre cominciando dalla mia) entra in conflitto con quella seguente dell’imbuto, lunghissimo e completamente privo di qualsiasi parquet in grado di restituire al buco nero l’energia necessaria a risalire. Puoi sanare, per favore, questo dubbio amletico? L’immagine dell’imbuto non ti sembra suggerire un “passaggio” da un “contenitore” ad un altro?
C.R. L’imbuto non è statico. Si muove. Si sta stringendo sempre di più: diventando sempre più sottile. Le pareti si avvicinano, si avvicinano, ma quando stanno per toccarsi, una forza le respinge e le fa rimbalzare all’indietro… e l’imbuto si riallarga. Ora siamo in un buco bianco…
L.B. Quindi, il “lungo tubo” è un “fuori” “permeabile” agli oggetti circostanti o è uno spazio chiuso?
C.R. È quello che c’è dentro alla sfera che da fuori appare come il buco nero.
L.B. Cosa succede agli oggetti che occupavano lo “spazio” dove si è sviluppato il “lungo tubo”?
C.R. Sono dentro al tubo.
L.B. Un buco bianco è la trasformazione di un buco nero o si può formare anche indipendentemente?
C.R. Per quello che ne capisco (che potrebbe essere sbagliato), non ci sono altri modi di formarlo.
L.B. Nel dicembre del 2023 il Center for Astrophysics Harvard & Smithsonian annunciava: “Mai visto prima: buco nero espelle materia anni dopo aver inghiottito una stella”. Nel 2018 una piccola stella fu inghiottita da un buco nero in una galassia che si trova a 665 milioni di anni luce dalla Terra. Ma tre anni dopo lo stesso buco nero ha cominciato ad espellere materia a metà della velocità della luce. Il fenomeno di “deflusso”, generato da un TDE, (Tidal Disruption Event evento di interruzione delle maree), in sostanza lo sbriciolamento di una stella che si è avvicinata troppo a un buco nero, solitamente avviene molto più rapidamente e ad una velocità di circa il 10% di quella della luce. Pensi che il fenomeno sia in relazione con la teoria dei buchi bianchi? Se può esserlo in che modo?
C.R. No, assolutamente. La materia emessa che è stata osservata non è davvero entrata dentro il buco nero. Stava li vicino.
L.B. Werner Heisenberg nel suo libro “Fisica e Filosofia” del 1958, per spiegare “la teoria dei quanta” mette in parallelo la meccanica cosmica dei sistemi planetari con quella quantica dell’atomo. Nel secondo caso, però, il principio di indeterminatezza rende impossibili misurazioni precise e apre, così, la strada al concetto di “probabilità” che pervade la teoria. Nel tuo libro “Buchi Bianchi” teorizzi che oltre l’orizzonte di un buco nero il tempo assuma comportamenti quantici. A noi profani viene istintivo pensare che i due universi, cosmico e quantico, abbiano dinamiche e caratteristiche molto simili, con la discriminante del tempo a sparigliare le cose. Puoi spiegare meglio le differenze tra i due universi?
C.R. La fisica a cui obbediscono è la stessa. Per questo si vedono analogie e somiglianze.
L.B. I tuoi studi spaziano dal macrocosmo con buchi neri e bianchi al microcosmo quantico. Qual è la relazione tra i due universi che sembrano vivere vite parallele. Sono soggetti alle stesse “leggi”? Si evolvono insieme o indipendentemente uno dall’altro?
C.R. Io mi occupo del comportamento quantistico dello spazio e del tempo, e questo si manifesta a scale diverse, ma sono fenomeni simili.
L.B. Tornando alla fisica della relazione, come spieghi che l’unica entità del nostro pianeta in grado di avere coscienza della realtà in quanto rete di relazioni, l’essere umano, sia anche la sola a minacciare l’esistenza di buona parte di questi rapporti, a cominciare dai propri con l’ambiente in cui vive?
C.R. Non abbiamo molto di unico, noi umani. Molte specie nel passato hanno distrutto l’ambiente in cui vivevano e si sono così suicidate o quasi. Se lo facciamo, non siamo certo i primi. L’intera biosfera, in una fase antica della sua evoluzione, ha cominciato a produrre ossigeno e in questo modo si è auto avvelenata e si è quasi autodistrutta. Non siamo solo noi a essere cretini.
L.B. Alla fine degli anni ’70 partecipasti attivamente alle proteste studentesche a Bologna collaborando con Radio Alice e alla stesura del libro “Bologna marzo 1977... Fatti nostri”. Nel frastagliato panorama politico dell’estrema sinistra dell’epoca (PDUP, DP, Lotta Continua, Autonomia Operaia, FAI e altri gruppi anarchici) a quale formazione ti sentivi più vicino?
A nessuna di queste. Come per molti amici di allora, la mia sensazione era piuttosto di essere parte di un movimento molto più vasto, che portava valori nuovi, era diffuso in tutto il pianeta, e sognava un mondo diverso e migliore. Dalle proteste contro la guerra nel Vietnam alle comuni hippie, dai guerriglieri che lottavano contro l’imperialismo in Sudamerica a chi cercava esperienza spirituali in oriente, era comunque un grande sogno condiviso di un mondo molto diverso dal presente: senza oppressione, senza ingiustizie, senza eserciti, senza miseria…
L.B. Col senno di poi come valuti, personalmente e socialmente, le esperienze di quegli anni?
Personalmente sono state molto belle. La giovinezza è spesso molto bella. Per me è stato un terreno molto ricco di idee ed esperienze, su cui se è costruita la mia vita. Socialmente in gran parte il sogno di cambiamento è stato un grande insuccesso. Il mondo attuale è dominato dall’arroganza del potere, da una crescente ingiustizia sociale, da una crescente belligeranza. Esattamente in contrario di quanto sperassimo. Ma c’è anche un’eredità di quel periodo che invece ha avuto successo nel cambiare il mondo. Per esempio, nel modificare i rapporti fra uomini e donne, o nella normalizzazione dell’omosessualità.
L.B. Ti domandi mai che fine abbiano fatto l’entusiasmo, l’empatia, l’attitudine all’aggregazione giovanile di quel periodo?
L’entusiasmo nella storia va e viene. Prima o poi ritornerà. Le idee spesso sembrano perdere, ma lavorano sotterraneamente e riemergono.
L.B. A confronto con le proteste degli anni ‘70, ma anche con il Movimento New Global attivo a cavallo del millennio, l’attuale area del dissenso appare persa tra improbabili fantasie di complotto e l’asservimento al neoliberismo di stampo Occidentale. Nessuna proposta politica alternativa strutturata sembra poter emergere da questo letargo ideologico, la partecipazione alle elezioni si fa sempre più scarna e anche le legittime proteste contro le guerre cadono nel vuoto.
Si, penso che tu abbia ragione. C’è un vuoto di idee politiche serie. Ma non un vuoto totale. Qualcuno si interroga sempre sui destini comuni, per fortuna.
Come vedi il futuro politico dell’Occidente?
Mi sembra essere a un bivio storico maggiore. L’Occidente ha perso la supremazia economica che ha avuto per qualche secolo. La sua economia è scesa dal 90% dell’economia del mondo a meno della metà.: non perché si sia impoverito, ma perché il resto del mondo è cresciuto. Oggi l’Occidente non è più dominante economicamente. Però resta dominante militarmente. Questa è una situazione instabile, perché il mondo fa sempre più fatica ad accettare il giogo, e ora ha le risorse per resistere. La scelta davanti alla quale si trova l’Occidente è combattere militarmente per mantenere il dominio, come sta facendo, oppure accettare un mondo condiviso. La seconda è la scelta saggia, la prima è una ricetta per una nuova guerra mondiale. Invece di essere fedele ai propri valori, come democrazia, tolleranza, illuminismo, invece di lavorare per un mondo tollerante condiviso, l’Occidente oggi usa questi stessi valori come copertura ideologica per giustificare l’imposizione del suo predominio con la violenza delle armi. Un po’ come il primo colonialismo usava il Cristianesimo per giustificare lo sterminio o l’assoggettamento di interi popoli. Mi sembra una china pericolosa.
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Questa intervista era concepita in modo molto articolato e prevedeva anche una lunga serie di domande in materia di “percorso intrapreso negli ultimi anni per vie opposte dalla ricerca applicata da un lato, non sempre trasparente e ricca di finanziamenti privati, e dall’altro di quella pura, spesso penalizzata dal de-finanziamento delle università. Fattore questo responsabile del forte calo di fiducia che le scienze nella loro complessità hanno subito nell’opinione pubblica”. Tema questo lasciato in sospeso nella precedente intervista con il Professor Rovelli dal titolo Guerra e Pace.
Anche in questa occasione il professor Carlo Rovelli ha preferito non entrare nel merito di questa polemica, che ho ampiamente sviluppato nel mio libro “La scienza negata”, in vendita da oggi sul sito di LAD EDIZIONI.
Le motivazioni addotte ruotano intorno a tre diversi fattori. Il primo è dato dallo stretto collegamento tra le domande e il mio libro che, nonostante il format dell’intervista, ha indotto Rovelli a giudicare il colloquio come una partecipazione al libro. In secondo luogo, ha influito sulla scelta la mancata condivisione di molte idee espresse nel libro e di alcuni toni utilizzati per farlo. Infine, certe “stregonerie” da me analizzate escono dalle competenze specifiche del professore.
In realtà, l’intento del mio libro è quello di suscitare un dibattito in merito alla drammatica perdita di fiducia nella scienza, indotta nell’opinione pubblica dai comportamenti, quanto meno discutibili, adottati da istituzioni pubbliche e private negli ultimi anni. Credevo, e continuo a credere, che quella del professor Rovelli sia una delle voci più autorevoli al mondo in merito. La sua opinione, ancor di più se diversa dalla mia, avrebbe fornito un contributo fondamentale per individuare una via d’uscita dal tunnel in cui la scienza è stata relegata.
Al fine di alimentare il dibattito in merito ho deciso, così, di pubblicare le domande rimaste inevase in appendice al libro “La scienza negata”, mettendole a disposizione dei lettori. Chi vorrà potrà, rispondendo ad esse, esprimere il proprio parere. Le risposte verranno raccolte e riordinate per tematica in modo da dare corpo a una seconda pubblicazione in cui verrà approfondito il dibattito in merito allo stato delle scienze, alla necessità o meno di recuperare la fiducia in esse e su quello che si può fare in merito.
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P.S. "LA SCIENZA NEGATA" - PRESENTAZIONE AL TEATRO MARCONI IN ROMA SABATO 19 OTTOBRE ALLE ORE 17.00