Come gli Emirati Arabi Uniti rivendicano la propria neutralità e indipendenza
di Giacomo Gabellini per l'AntiDiplomatico
La recente tornata di viaggi diplomatici verso gli Emirati Arabi Uniti organizzata da funzionari e rappresentanti statunitensi ed europei non sarebbe affatto orientata al consolidamento delle relazioni politiche ed economiche con il piccolo ma rilevantissimo Stato affacciato sul Golfo Persico, come ipotizzabile a una prima, superficiale lettura. Stando alle rivelazioni rese da fonti anonime al «Financial Times», gli incontri di alto profilo tenutisi nel corso degli ultimi giorni tra esponenti del mondo politico occidentale e vertici emiratini verterebbero essenzialmente sull’accertamento della reale natura del rapporto commerciale intercorrente tra Abu Dhabi e Mosca.
Il sospetto avanzato dal governo di Washington è che gli Emirati Arabi Uniti abbiano colto l’opportunità presentatasi con l’irrogazione delle sanzioni nei confronti della Federazione Russa contestuale alla degenerazione del conflitto russo-ucraino per trasformarsi in un fondamentale centro di smistamento merci al servizio della Russia. Più specificamente, Stati Uniti, Unione Europea e Gran Bretagna temono che gli Emirati Arabi Uniti rappresentino attualmente una delle principali sponde di cui il Cremlino si avvale per approvvigionarsi di prodotti finiti o componentistica a doppio uso (civile e militare) funzionali allo sforzo bellico in Ucraina, aggirando le misure punitive imposte dallo schieramento atlantista.
La tesi si basa soprattutto sul contenuto dell’analisi dei dati doganali formulata dalla Free Russia Foundation, da cui emerge che l’export di componenti elettroniche emiratine verso la Russia avrebbe registrato una crescita superiore al 700% tra il 2021 e il 2022, raggiungendo quota 283 milioni di dollari. L’incremento riguarda soprattutto i microchip, aumentato di ben 15 volte su scala annuale (da 1,6 a 24,3 milioni di dollari). L’attenzione dei funzionari occidentali si è inoltre focalizzata sul commercio dei droni (gli Emirati ne avrebbero venduti alla Russia 158, per un controvalore di 600.000 dollari), oltre che sul ruolo cruciale svolto dagli intermediari finanziari emiratini. È indubbiamente il caso dalla Mashreq Bank di Dubai, di cui le principali raffinerie indiane si sono servite per inviare alla Gazprombank i pagamenti relativi alle forniture di greggio russo. Le transazioni in oggetto venivano espletate in dirham, la stessa valuta emiratina di cui la State Bank of India, il principale istituto di credito indiano, ha cominciato sistematicamente ad avvalersi per provvedere al pagamento delle importazioni di petrolio russo.
Sulla scorta di queste risultanze, James O’Brien, David O’Sullivan e David Reed, responsabili degli uffici (rispettivamente) statunitense, europeo e britannico deputati al coordinamento delle sanzioni, hanno recentemente dichiarato che «la nostra principale richiesta [presentata al governo di Abu Dhabi] riguarda il blocco delle riesportazioni [verso la Russia], e il riconoscimento della problematicità di queste riesportazioni» che transiterebbero soprattutto per il porto di Jebel Ali di Dubai, uno dei maggiori centri di trasbordo al mondo di cui la Russia si serve per espletare qualcosa come il 55% del proprio commercio complessivo con i Paesi del Golfo Persico.
I tre funzionari hanno quindi richiamato l’attenzione degli interlocutori emiratini sulle conseguenze potenzialmente devastanti in cui i soggetti coinvolti nell’aggiramento delle sanzioni occidentali rischiano di incorrere, facendo sostanzialmente eco alle precedenti osservazioni espresse in materia da Brian Nelson, sottosegretario al terrorismo e all’intelligence finanziaria del Dipartimento Tesoro. Durante una visita ad Abu Dhabi, Nelson avrebbe richiesto alle controparti la profusione di sforzi maggiori per smantellare i meccanismi di aggiramento delle sanzioni che agevolano non soltanto la Russia, ma anche l’Iran, in specie per quanto riguarda l’elusione delle misure punitive che colpiscono l’export di petrolio iraniano.
È però altamente improbabile che gli emissari statunitensi ed europei si aspettassero di ricevere una risposta laconica come quella formulata da Abi Dhabi. «Gli Emirati Arabi Uniti – ha tagliato corto un alto funzionario locale – riconoscono il loro ruolo fondamentale per quanto concerne la salvaguardia dell’integrità del sistema finanziario globale […], si assumono per intero questa responsabilità e osservano procedure chiare e collaudate per trattare con le entità sottoposte a sanzioni». Dichiarazioni assai poco concilianti, ma perfettamente coerenti con la linea della neutralità sposata rispetto a tutta una serie di contenziosi internazionali dagli Emirati Arabi Uniti. Per i quali, specialmente a seguito del decisivo intervento militare russo a sostegno del governo siriano di Bashar al-Assad, la Federazione Russa rappresenta un attore cruciale e inaggirabile non soltanto per quanto concerne il ristretto teatro mediorientale.
A tutt’oggi, a riprova della crucialità tributata da Abu Dhabi alla Russia, l’Emirato ospita oltre 4.000 società russe, rappresenta una meta privilegiata per gran parte dei cosiddetti “oligarchi”, dialoga costantemente con il Cremlino nel quadro dell’organismo Opec+ ed è coinvolta in attive negoziazioni con Mosca per l’instaurazione di un trattato di libero scambio con l’Unione Economica Eurasiatica. Lo scorso novembre, per di più, il ministro degli Esteri emiratino Abdullah bin Zayed al-Nahyan aveva ricevuto il suo omologo russo Sergeij Lavrov per discutere «dei legami di cooperazione e della partnership strategica tra gli Emirati Arabi Uniti e la Russia e degli sforzi dei due Paesi per migliorare le prospettive di maggiore collaborazione su tutti i fronti. Lo sceicco Abdullah […] ha espresso il suo orgoglio per l’esito dell’incontro del presidente Sua Altezza lo sceicco Mohamed bin Zayed al-Nahyan e il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, a San Pietroburgo, durante la visita di Sua Altezza in Russia il mese scorso».
Più recentemente, Abu Dhabi ha ufficializzato la propria astensione in merito alla risoluzione di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina presentata alle Nazioni Unite da Stati Uniti e Albania. A margine della votazione, l’ambasciatrice emiratina Lana Nusseibeh ha risposto a quanti le chiedevano conto della mancata condanna dell’attacco russo limitandosi a dichiarare che «gli Emirati Arabi Uniti riaffermano il loro impegno per la preservazione dell’integrità territoriale, della sovranità e dell’indipendenza di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite. Chiediamo un’immediata riduzione dell’escalation e la cessazione delle ostilità».