Citazioni di Lenin e la realtà di oggi

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Citazioni di Lenin e la realtà di oggi

 

di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

Nei giorni scorsi la portavoce del Ministero degli esteri russo, Marija Zakharova, ha rimbrottato l'ex presidente finlandese e attuale consigliere speciale del presidente della Commissione europea, Sauli Niinistö che, nel rapporto messo a punto per la UE - “Safer Together Strengthening Europe's Civilian and Military Preparedness and Readiness”: la relazione illustra come la UE possa migliorare preparazione ed efficienza civile e militare - ha citato una frase, attribuendola a Vladimir Lenin e riferendola all'odierna politica estera di Mosca.

In breve, la UE, tramite il signor Niinistö, imputa a Mosca una presunta “politica delle baionette” che, a detta di Bruxelles, sarebbe innata nei temperamenti “boreali”, transitando fluidamente, a quelle latitudini, da un ordine sociale all'altro, così che, dicono, si “dimostrerebbe” la necessità di adottare, nei confronti del grande nemico di oggi, la medesima condotta interventista che, nel 1918-1920, doveva “proteggere” l'Occidente dalla diffusione del “bolscevismo” e che, cent'anni dopo, dovrebbe isolare un pericoloso concorrente sui mercati mondiali.

Imputare al nemico una immaginifica “politica delle baionette” non è altro che un modo surrettizio di dare il via alla propria concreta politica del “meno burro e più cannoni” di cui oggi, alla NATO e alla UE, non ci si preoccupa più nemmeno di far mistero, proclamata a piena voce da quel bellimbusto di Mark Rutte e applicata pedissequamente dai governi europei al servizio del grande capitale finanziario.

Ad ogni modo, la frase in questione, risalente al settembre 1920, sarebbe stata proferita da Lenin nel suo rapporto alla IX Conferenza del RKP(b), la cui prima parte era dedicata alla guerra con la Polonia e suona più o meno come «Tastate il terreno con le baionette: se queste lo trapassano, continuate; se incontrate l'acciaio, fermatevi», prendendo a prestito la vecchia pratica degli sminatori che, prima dell'introduzione dei metal detector, bonificavano il terreno “tastandolo” con le baionette.

La citazione si è rivelata un perfetto falso, ha detto Zakharova, il che succede non di rado nei rapporti UE ed è stata riportata in più occasioni da diversi giornalisti americani, dopo essere stata pronunciata per la prima volta da Joe Elsop (https://provereno.media/wp-content/uploads/2022/06/image-6.png) nel 1970 e poi diffusa nel 1977 dall'ex presidente Richard Nixon. Dopo “l'eroe” del Watergate, in USA si è fatto ancora ricorso a quella “citazione”: Marc Thiessen su The Washington Post e Rebecca Grant su Fox News nel dicembre 2021, Adrian Wooldridge su Bloomberg nel marzo 2022, ecc.

Di fatto, la frase, così come riportata da Niinistö e da altri prima di lui, non si trova né nelle Opere di Lenin in lingua italiana e nemmeno nella V edizione russa, in cui è riportato il resoconto giornalistico della IX Conferenza. In altra parte si possono però leggere, come ha notato Zakharova, le parole «tastate con le baionette»: questo, in riferimento figurato alla possibilità se, arrivato l'Esercito Rosso fin sotto Varsavia, in seguito alla sua controffensiva vittoriosa, ciò non potesse risultare da stimolo a una rivoluzione proletaria in Polonia, a differenza di quanto avvenuto, ad esempio, in Lettonia e Georgia, dove i bolscevichi avevano rinunciato a “esportare la rivoluzione” con le armi, suscitando con ciò, tra l'altro, l'ira dei locali comunisti.

Lasciando perdere altre marginali osservazioni di Zakharova (si conoscono le sue perle su Stalin e URSS, e ciò basti), la quale ipotizza che le parole attribuite a Lenin su “terra” e “acciaio” siano state «aggiunte da ammiratori segreti delle trascrizioni del leader della rivoluzione mondiale», c'è comunque da dire che la citazione di Lenin è riscontrabile, in un paio di momenti, all'interno del lungo resoconto stenografico di quella stessa IX Conferenza, in cui è lo stesso Lenin a chiedere agli inviati di “Pravda” e “Izvestija” di non riportare il passaggio, perché «non destinato alla stampa».

Leggiamo: «Terminato il periodo difensivo della guerra con l'imperialismo mondiale, possiamo e dobbiamo usare la situazione bellica per lanciare una guerra offensiva. […] Ora cercheremo di avanzare su di loro per aiutare la sovietizzazione della Polonia. […] Se confrontiamo il nostro atteggiamento verso la Polonia con quello verso Georgia e Lettonia, la differenza diventa abbastanza chiara. Non abbiamo adottato una risoluzione per aiutare militarmente la sovietizzazione della Georgia o dell'Estonia. Abbiamo adottato una risoluzione che affermava il contrario, ovvero che non le avremmo aiutate. Su questo terreno ci furono diversi conflitti con i rivoluzionari e i comunisti di quei paesi. Essi pronunciarono discorsi infuocati contro di noi, dicendo: come potete fare pace con i boia della guardia bianca lettone, che hanno impiccato e torturato i migliori compagni lettoni, i quali hanno versato sangue per la Russia sovietica? Udimmo questi discorsi anche dai georgiani, ma non aiutammo la sovietizzazione della Georgia e della Lettonia. E ora non possiamo farlo, dobbiamo preoccuparci di altro: il compito impellente è quello della salvezza e del rafforzamento della repubblica.

Per quanto riguarda la Polonia, abbiamo cambiato questa politica. Abbiamo deciso di usare le nostre forze militari per aiutare la sovietizzazione della Polonia. Da qui l'ulteriore politica generale. Non l'abbiamo formulata in una risoluzione ufficiale […]  Ma tra di noi abbiamo detto che dovevamo sentire con le nostre baionette se non fosse matura la rivoluzione sociale del proletariato in Polonia.... In Polonia la popolazione proletaria è ben sviluppata e il proletariato rurale è più preparato, questi fatti ci dicono: dovete aiutarli a sovietizzarsi. E in che misura siamo riusciti a saggiare con la baionetta se la Polonia fosse pronta alla rivoluzione sociale? Dobbiamo dire che questa disponibilità è minima. Sondare con la baionetta significava avere accesso diretto al proletariato agricolo e industriale attivo in Polonia. C'era proletariato industriale a Varsavia, a Lodz, a Dabrowice, molto lontane dal confine. D'altra parte, per sondare realmente il grado di preparazione del proletariato polacco, in primo luogo quello industriale e in secondo luogo agricolo […] dovevamo sgomberare il campo dalle truppe borghesi polacche e occupare non solo l'area di Varsavia, ma anche quelle zone in cui è presente un proletariato industriale. E queste zone iniziano anche oltre Varsavia, che non siamo riusciti a occupare. È dunque stato stato possibile sondare la maturazione della Polonia alla rivoluzione socialista in misura estremamente ridotta. […] non siamo riusciti a saggiare il reale umore delle masse proletarie, né tra il bracciantato, né nelle file del proletariato industriale di Polonia».

Dunque, la frase attribuita a Lenin si trova effettivamente nel lungo resoconto stenografico, reperibile in russo su http://www.alexanderyakovlev.org/, nonostante tale fonte non possa ritenersi completamente attendibile, viste le prese di posizione di seri storici russi contemporanei, i quali più di una volta hanno denunciato come i “famosi” archivi dell'ex “architetto della perestrojka, Aleksandr Jakovlev, siano zeppi di “documenti storici” fabbricati di sana pianta negli anni '80 e '90, al solo scopo di gettar fango sulla storia sovietica.

Ma il punto da mettere in rilievo è un altro e, comunque, lo scopo di questo breve intervento è quello di proporre un veloce paragone tra la situazione bellica della Russia sovietica nel 1920, nei suoi intrecci con l'accerchiamento delle potenze dell'Intesa e dei generali bianchi, e quella della Russia capitalista di oggi, cui si contrappongono le “potenze” occidentali agli ordini delle gerarchie dell'impero americano in declino.

Russia sovietica e Russia borghese sono lontane l'una dall'altra non solo temporalmente, ma innanzitutto, superfluo ripeterlo, per l'ordine sociale dominante, allora e oggi. Detto ciò, pare però che l'atteggiamento di quanti si contrappongono alla Mosca di oggi, non si distacchi di molto da quello dei leader borghesi di cento anni fa, che prendevano per debolezza i nuovi metodi della giovane diplomazia sovietica, insistendo dunque nei piani interventisti, “sicuri” che i bolscevichi non sarebbero stati in grado di respingerli. Nel 1918 la giovanissima Russia sovietica era davvero alla fame.

Ma, oggi, è forse la fragilità dei soggetti interessati, l'incerta presa di coscienza della fine che li aspetta, nonostante tutti i piani per “isolare” e “affamare” il nemico, che li porta a interpretare la politica di coloro cui hanno deciso di dare battaglia alla stregua della propria stessa debolezza? Quante volte, negli ultimi anni, ci hanno subissato di «la Russia è agli sgoccioli», «li abbiamo messi in ginocchio», «se mandiamo altre armi dovranno cedere», e via dicendo; il tutto condito con “impegni di pace” che, di soppiatto parlano invece di “efficienza civile e militare”, alla maniera del signor Sauli Niinistö, mentre nascondono la rovina delle proprie economie ignorando volutamente i volumi produttivi e finanziari del nemico.

Proviamo dunque a cambiare il soggetto “Polonia”, di cui parla Lenin, con un altro nome; i bolscevichi con altre “maggioranze”, non certo “bolsceviche”; il nome di Versailles con trattati capestro a noi più vicini; l'offerta di pace sovietica, con le proposte di accordo di pochi anni fa; la constatazione fatta dai “polacchi” della prospettiva di uscire dalla guerra completamente rovinati; l'esigenza di pace delle industrie occidentali, rovinate da guerra e sanzioni; la nuova composizione dell'esercito “polacco”, costretto oggi ad arruolare con la forza invalidi e vecchi, mandando al macello diciottenni terrorizzati.

Caliamo ovviamente il silenzio sull'avanzata dell'Esercito Rosso che, cent'anni fa, riusciva a sollevare il livello del proletariato mondiale: non è questo l'obiettivo con cui si muovono oggi le forze armate russe in territorio “polacco” e anche lo slancio, di per se stesso, del proletariato mondiale, non è oggi purtroppo quello di allora...

Per parte nostra, non aggiungiamo altri commenti. Ci sembra però che il paragone possa quantomeno suscitare “curiosità”.

Il passo di Vladimir Lenin, riportato sotto con brevi tagli, è tratto dal volume 41 della V edizione russa delle Opere (GIPL, Moskva 1963; pagg. 281-285) comparato con il volume 31 delle Opere in lingua italiana (Ed. Riuniti, 1967; pagg. 261-265).

 

Buona lettura

 

  1. I. Lenin – Rapporto politico del CC del RKP(b); 22 settembre – Resoconto giornalistico

 

«La guerra con la Polonia, o più esattamente la campagna di luglio-agosto, ha mutato in modo radicale la situazione politica internazionale.

L'attacco dei polacchi era stato preceduto da un episodio caratteristico delle relazioni internazionali allora instauratesi. Quando a gennaio offrimmo alla Polonia una pace straordinariamente a lei favorevole e molto sfavorevole per noi, i diplomatici di tutti i Paesi capirono la cosa a modo loro: «i bolscevichi fanno concessioni smisurate; ciò significa che sono eccezionalmente deboli». Una volta di più si è confermata la verità per cui la diplomazia borghese non è in grado di comprendere i metodi della nostra nuova diplomazia delle dichiarazioni aperte e dirette. Pertanto, le nostre proposte hanno solo provocato un'esplosione di furioso sciovinismo in Polonia, Francia e altri paesi, spingendo la Polonia ad attaccare. La Polonia si è prima impadronita di Kiev, ma poi le nostre truppe hanno contrattaccato, avvicinandosi a Varsavia; quindi, c'è stata una svolta e noi siamo arretrati di oltre cento verste.

La situazione indubbiamente difficile che ne è derivata, tuttavia, non costituisce affatto una secca sconfitta per noi. Abbiamo brutalmente raggirato i calcoli dei diplomatici sulla nostra debolezza e abbiamo dimostrato che la Polonia non può sconfiggerci, mentre noi non siamo lontani dallo sconfiggere la Polonia: non lo eravamo e non lo siamo. Dopotutto, teniamo ancora un centinaio di verste di territorio conquistato. Infine, la nostra avanzata verso Varsavia ha avuto un effetto così potente sull'Europa occidentale e sull'intera situazione mondiale, da sconvolgere completamente il rapporto delle forze politiche in lotta, interne ed esterne.

L'avvicinamento del nostro esercito a Varsavia ha indiscutibilmente dimostrato che, da qualche parte, nelle sue vicinanze, si trova il centro dell'intero sistema dell'imperialismo mondiale basato sul Trattato di Versailles. La Polonia, ultimo baluardo contro i bolscevichi, interamente nelle mani dell'Intesa, è un fattore così potente in questo sistema che quando l'Esercito Rosso ha minacciato questo baluardo, l'intero sistema ha traballato. La Repubblica Sovietica è diventata un fattore di primaria importanza nella politica internazionale. […] Già prima avevamo visto come i piccoli stati, afflitti per il giogo dell'Intesa (Estonia, Georgia, ecc.) e che impiccano i loro bolscevichi, si riappacifichino ora con noi contro la volontà di quella. Ora questo è avvertito con particolare forza in ogni angolo del mondo. Con l'avvicinarsi delle nostre truppe a Varsavia, l'intera Germania ha preso a ribollire. Vi si è delineato un quadro, quale poteva osservarsi qui da noi nel 1905, quando i centoneri sollevarono e chiamarono alla vita politica vasti strati, i più arretrati, dei contadini, che oggi erano contro i bolscevichi e domani pretendevano tutta la terra dei proprietari terrieri. In Germania abbiamo assistito a un simile blocco innaturale di centoneri e bolscevichi. È apparso uno strano tipo di rivoluzionario dei centoneri, come quell'immaturo campagnolo della Prussia orientale che, come ho letto in questi giorni in un giornale tedesco non bolscevico, dice che si dovrà riportare Guglielmo, perché non c'è ordine, ma che bisogna seguire le orme dei bolscevichi.

Un'altra conseguenza della nostra vicinanza a Varsavia, è stata il potente effetto sul movimento rivoluzionario in Europa, soprattutto in Inghilterra. Se non siamo riusciti a raggiungere il proletariato industriale della Polonia (e questa è stata una delle ragioni principali della nostra sconfitta), che è al di là della Vistola e a Varsavia, abbiamo però raggiunto il proletariato inglese, sollevando il suo movimento a un'altezza senza precedenti, a uno stadio completamente nuovo della rivoluzione. Quando il governo inglese ci ha imposto l'ultimatum, è venuto fuori che avrebbe dovuto per prima cosa chiederlo agli operai inglesi. E questi operai, i cui capi erano, per nove decimi, degli incalliti menscevichi, hanno risposto dando vita a un “Comitato d'azione”.

[…] Questi sono i risultati nella politica internazionale e nelle relazioni che ora emergono in Europa occidentale, derivanti dalla nostra ultima campagna polacca.

Ora abbiamo di fronte a noi la questione della guerra e della pace con la Polonia. Vogliamo evitare una campagna invernale, per noi dura, e proporre nuovamente alla Polonia una pace per essa vantaggiosa e svantaggiosa per noi. Ma è possibile che i diplomatici borghesi, per vecchia abitudine, considerino di nuovo la nostra dichiarazione aperta come un segno di debolezza. Con ogni probabilità, hanno predeterminato la campagna invernale. Ed è quindi necessario chiarire le condizioni in cui ci toccherà impegnarci in un verosimile nuovo periodo di guerra.

[…] Abbiamo contro di noi un blocco composto da Polonia, Francia e da Vrangel, sul quale punta la Francia. Tuttavia, questo blocco soffre di una vecchia malattia: l'inconciliabilità dei suoi elementi, la paura che la piccola borghesia polacca nutre nei confronti della Russia dei centoneri e del suo tipico rappresentante, Vrangel. La Polonia piccolo-borghese, patriottica, il Partito Socialista Polacco, quello popolare, quello dei contadini facoltosi, vogliono la pace. I rappresentanti di questi partiti hanno detto a Minsk: «Sappiamo che non è stata l'Intesa a salvare Varsavia e la Polonia – essa non poteva salvarci - ma le ha salvate l'impeto patriottico». Queste lezioni non si dimenticano. I polacchi vedono chiaramente che usciranno dalla guerra completamente rovinati nelle finanze. Del resto, per la guerra si deve pagare e la Francia riconosce la “sacra proprietà privata”. I rappresentanti dei partiti piccolo-borghesi sanno che già prima della guerra la situazione in Polonia era alla vigilia della crisi, che la guerra porterà ulteriore rovina e quindi preferiscono la pace. È questa la possibilità che vogliamo sfruttare proponendo la pace alla Polonia.

È comparso anche un nuovo fattore estremamente importante: il cambiamento della composizione sociale dell'esercito polacco. Abbiamo sconfitto Kolchak e Denikin solo dopo che era cambiata la composizione sociale dei loro eserciti, quando i principali solidi quadri si erano dissolti in mezzo alla massa contadina mobilitata. Questo processo si sta ora verificando nell'esercito polacco, in cui il governo è stato costretto ad arruolare le classi anziane di contadini e operai, passati per la ben più brutale guerra imperialista. Questo esercito non è più composto da ragazzi, che si possono facilmente “affinare”, bensì da adulti, a cui non si può impartire ciò che si vuole. La Polonia ha già superato la soglia, oltre la quale le era assicurata dapprima la massima vittoria e, dopo, la massima sconfitta.

Se siamo destinati a una campagna invernale, vinceremo, non c'è dubbio, nonostante l'esaurimento e la fatica. A garanzia, c'è anche la nostra situazione economica. È migliorata significativamente. Abbiamo acquisito, rispetto al passato, una solida base economica. Se nel 1917-1918 avevamo raccolto 30 milioni di pud di grano, nel 1918-1919 110 milioni di pud, nel 1919-1920 260 milioni di pud, l'anno prossimo prevediamo di raccoglierne fino a 400 milioni. Queste, non sono già più le cifre con cui abbiamo lottato durante gli anni della fame. Non guarderemo più con tanto terrore i biglietti multicolori che volano a miliardi e che ora indicano chiaramente di essere solo frammenti, brandelli del vecchio abito borghese.

Disponiamo di oltre cento milioni di pud di petrolio. Il bacino del Donets ci fornisce già 20-30 milioni di pud di carbone al mese. È migliorata significativamente la situazione del legname. Lo scorso anno non avevamo che legna, senza petrolio né carbone.

Tutto questo ci dà diritto di affermare che se raccoglieremo le forze e le tenderemo, la vittoria sarà nostra».

“Pravda” N. 216, “Izvestija VTsIK” N. 216

29 settembre 1920

 

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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