Chiara Ferragni e il New York Times
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di Francesco Erspamer
Il vuoto assoluto della società mediatica, ossia Chiara Ferragni, approda sul New York Times di oggi: mezzo paginone nella sezione sulla moda e con tanto di foto sexy, con la scusa di rivelarne i guai giudiziari ma in effetti per farle pubblicità e ribadire che i nuovi dèi sono loro, gli «influencer» (che almeno in un discorso in inglese sono coloro che influenzano i loro seguaci, mentre in un contesto italiano sono solo il nuovo che avanza, come ogni cosa definita da un anglicismo).
Così funziona il sistema delle «celebrity», pilastro del neoliberismo: il successo viene considerato merito e porta alla visibilità, che è denaro; ma se poi falliscono, lo stesso si assicura loro la visibilità, che è denaro e che per questo diventa merito. L’essenziale è che a nessuno venga in mente di parlare di valori, di virtù, neppure quelle un tempo ovvie, tipo occuparsi solo di ciò che si sa, non essere avidi, rispettare la legge: per l’utilitarismo americano e sempre più italico l’unica cosa che conta è vincere, in qualunque modo e a qualunque costo.
Non se ne esce se non si riesce neppure a smetterla di dare importanza ai personaggi imposti dai media («campioni» sportivi inclusi) e in quanto tali, a tutti gli effetti, virtuali; come del resto le informazioni che distraggono decine di milioni di italiani dalla loro vita vera, che non accade sugli schermi ma nelle case, nelle strade, nelle città, in comunità minacciate dalla sinistra liberal quanto dalla destra libertaria. Tutto ciò che è mediatico è una falsificazione, come la pornografia. Se vi dà piacere, masturbatevi pure; però non confondetela con la realtà.