Assange, proiezione di “Hacking Justice” alla presenza di Virginia Raggi: quando la cittadinanza onoraria di Roma?

Assange, proiezione di “Hacking Justice” alla presenza di Virginia Raggi: quando la cittadinanza onoraria di Roma?

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di Giulia Bertotto per l'AntiDiplomatico


La proiezione del docufilm “Hacking Justice”, nella Casa del Municipio, nel cuore del quartiere multietnico della Capitale, viene introdotta -nel giorno del 52esimo compleanno di Julian Assange- da Vincenzo Vita, Angelo Raffio (Anpi), Marco Veruggio (ReteNoBavaglio), Gianni Barbacetto (Il fatto Quotidiano) e Tina Marinari (Amnesty Inyternational).


Tredici anni di Assange, dalla candidatura al Nobel alla detenzione arbitraria

Ad aprire l’evento Angelo Raffio (ANPI) che ha ripercorso la vicenda giudiziaria e la persecuzione politica di Julian Assange: “Tredici anni fa Assange inizia a svelare al mondo i crimini di guerra compiuti dal governo americano e da alti stati in zone di guerra. All’inizio media e stampa accolsero con entusiasmo le inchieste, ma subito dopo quando venne candidato all’assegnazione di un premio Nobel, le cose cambiarono perchè diventò forte l’interesse del dipartimento americano sulla sua vicenda. Da quel momento l’appoggio dei grandi giornali internazionali viene a mancare e inizia la diffamazione giudiziaria con una prima accusa di violenza sessuale in Svezia. Le accuse cadono perché le due donne coinvolte affermano di non aver mai subito tale stupro. Allo stesso tempo però arriva la richiesta di trasferimento negli Usa. Assange si rifugia nell’ambasciata dell’Ecuador nel 2012. Per circa sette anni la situazione resta questa e le sofferenze psico-fisiche di Julian si aggravano, con la convivenza forzata, l’impossibilità di fare movimento e stare all’aria aperta.

Il governo ecuadoriano cambia e il sostegno di rifugiato cede. Nel 2019 agenti di polizia londinese entrano nell’ambasciata di Londra e lo trasferiscono con la forza nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh. Nel frattempo le accuse di stupro sono cadute e prescritte. Segue l’alternanza di vicende giudiziarie, una a favore: un primo appello era presentabile e stabiliva che non fosse possibile estradarlo negli Usa, il secondo appello è stato invece accettato e quindi dichiarato suscettibile di estradizione. Nel 2021 viene firmata l’estradizione di Assange. Nel 2022 l’Alta Corte decide di nuovo per l’estradizione e il 7 giugno del 2023 un giudice dell’Alta Corte respinge gli otto capi di richiesta utili a cancellare l’estradizione.

Attualmente c’è la possibilità di un nuovo appello, che è già stato presentato, e in tal caso un nuovo verdetto. Se tale appello non dovesse andare a buon fine l’unica possibilità rimarrebbe la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, tuttavia la giurisdizione inglese potrebbe non riconoscerla in quanto fuori dall’Ue. Di positivo c’è il segnale dato dal pontefice due giorni fa, quando Bergoglio ha ricevuto la famiglia, la moglie Stella e i figli di Assange”.

Julian Assange e la Cittadinanza Onoraria di Roma

Presente all’evento il consigliere ed ex sindaca di Roma Virginia Raggi, la quale riferisce che la data per consegnare all’editore e giornalista la cittadinanza onoraria di Roma non è stata ancora calendarizzata, nonostante fosse prevista per il 2 maggio 2023.  Seguono applausi per l’impegno assunto da Raggi per fornire supporto a questo importante atto istituzionale.

La lista delle associaizoni e organizzazioni richiedenti è ricca: Free Assange Italia, ReteNoBavaglio, ANPI Roma, Arci di Roma, Acli Roma Lazio, l’Ordine dei Giornalisti del Lazio, Legambiente FNSI, CGIL Roma e Lazio, Amnesty Italia, Uisp, Giuristi Democratici, Forum del Terzo Settore, Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, Il Fatto Quotidiano, (che ha lanciato una petizione per la liberazione del giornalista australiano) si sono infatti uniti ad Articolo 21, Italiani per Assange e La mia voce per Assange e hanno chiesto di conferire all’editore la cittadinanza onoraria di Roma: “un gesto simbolico che potrebbe avere grande effetto”.


La detenzione punitiva prima del processo di condanna

Inizia così la proiezione di “Hacking Justice”, (Prodotto da Canal Sur Spagna, WDR Germania, 2017) per la regia di Clara López Rubio e Juan Pancorbo.

Scene di quotidianità all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador ci offrono immagini inedite di Assange che abbraccia, ride, legge e lavora con la sua squadra di difesa. Sotto la sua finestra presidiano gruppi di pochi attivisti, di volta in volta folle cospicue o manciate di persone che si riuniscono sotto il cielo plumbeo inglese. Il sole sembra così lontano da quel rifugio che è al contempo prigione.

Proprio Assange che in una scena del film afferma che per fare giustizia occorre "Trasparenza per i potenti e privacy per chi non ha potere", si trova a dover rinunciare alla sua intimità, seguito in ogni stanza dalle telecamere di un panopticon personale che lo sorveglia, e punisce, ogni giorno.

"Il processo è un castigo" spiega Assange e lo ribadisce il regista Juan Pancorbo, il quale ha dichiarato in un’intervista a Investigation.net riportata da Contropiano: “La trasformazione dei personaggi nel tempo può essere riflessa solo in progetti lunghi come questo. Julian Assange è stato sottoposto a una punizione esemplare per un decennio. Il metodo utilizzato è classico: consiste nell'”uccidere il messaggero” e dissuadere coloro che potrebbero essere tentati di seguire le sue orme. E il peso di questa punizione si riflette nell’aspetto fisico di Julian durante tutto il film. Finché è stato in grado di rimanere attivo e lavorare, non ha mai mostrato segni di debolezza, il suo aspetto fisico riflette la reclusione prolungata in uno spazio molto ristretto e senza aria fresca”.


Assange, un astronauta che non riesce a tornare a casa

In una scena Assange esibisce giocoso una lampada a raggi ultravioletti che ha fatto acquistare per assorbire vitamina D, ma mostra scherzando una spalla scottata e l’altro lato della schiena pallidissimo.

Dice di pensarsi “Come i ricercatori al Polo Nord o gli astronauti tra le stelle” nell’ambasciata dell’Ecuador che diventa suo riparo e carcere, base di lancio e luogo d’asilo nello spazio. Assange è rinchiuso nella sua navicella spaziale in un universo ostile, come un cosmonauta che non riesce a tornare a casa, un esploratore che ha mostrato alla comunità umana i segreti di un pianeta violento, e ora invece di essere accolto come un liberatore è condannato a girare su se stesso intorno a un’orbita soffocante. Arrestato prima del processo perché sospettato inizialmente di stupro, poi di spionaggio e cospirazione, abita una condizione limbica in un purgatorio burocratico claustrofobico. Eppure l'attesa per il processo è già un inferno in terra.

Assange è una figura del paradosso, un uomo che senza accuse, e senza mai essere stato interrogato, finisce nella lista dei ricercati più pericolosi del mondo. E in questo paradosso è tutto al rovescio: il messaggero ha tentato di dare luce alla verità e fare giustizia, e ora i tribunali si accaniscono contro di lui.

Gli avvocati spagnoli Baltasar Garzón e Aitor Martínez premono sul Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria e puntano sull’emergenza di intervenire per tutelare l’integrità personale di Julian Assange. Non c’è più in gioco la libertà di informazione, ma la stabilita psicologica e l’incolumità fisica del fondatore di Wikileaks, contro la lesione della dignità umana e la tortura. Premono perché Ecuador e Svezia firmino una collaborazione giudiziaria. Il team di difesa chiede insistentemente al congresso delle Nazioni Unite cosa prevede la Corte dei diritti umani in merito ai limiti di tempo nei quali si possa trattenere in carcere un sospettato senza mandarlo a processo. Non ottiene alcuna risposta; ma possibile che nessuno abbia pensato a questa fattispecie giuridica così ovvia e lampante?

Assange è detenuto nel labirinto dell’amministrazione internazionale, attanagliato dai cavilli legali usati e abusati da poteri troppo forti che chiedono il suo silenzio. Assange è vivo eppure è come fosse morto, perché impedito nelle più elementari funzioni psicofisiche, invalidato negli affetti e nelle attività umane di base.

La questione Assange è un caso universale perché è la rivendicazione delle libertà fondamentali di informazione, coscienza civile e arbitrio etico che rendono gli esseri umani cittadini e non sudditi o schiavi.

La causa Assange deve diventare una questione personale per l’opinione pubblica, la lotta di tutti i lavoratori che svolgono come ha fatto lui il loro mestiere, la denuncia di tutti i giornali: deve essere all’ordine del giorno ogni pressione mediatica e politica possibile per liberare Assange da quel buco nero di omertà, perchè questa ingiustizia è già alla luce del Sole.

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