Verso la nuova Jalta?

665
Verso la nuova Jalta?


di Marco Bonsanto

Forse la “Guerra mondiale a pezzi” di cui parlava Bergoglio sta per terminare. È stata molto lunga, sanguinosa, per molti aspetti apertamente criminale e senza alcun crisma morale. E l’abbiamo scatenata noi, i “buoni”, contro il resto del mondo. I nostri leader politici, sindacali, intellettuali, per decenni ci hanno convinto con finte provette e continui discorsi emergenziali, che era necessaria e inevitabile, se non volevamo essere mangiati vivi dai cannibali che premevano oltre il “giardino” europeo (© Josep Borrell); e che loro, illuminata e disinteressata élite di filantropi e benefattori, ci avrebbero protetto – in cambio dell’anima.

La National Security Strategy of the United States of America (NSS) appena pubblicata dall’amministrazione Trump, è un documento che potenzialmente rappresenta l’inizio di un nuovo corso storico per il mondo intero. Un mondo che mai come in questi ultimissimi anni è stato così sconsideratamente scosso da venti di guerra atomica e, dunque, dalla catastrofe planetaria. Evitare questo scenario è il primo proposito dichiarato nel documento. Non è poco, crediamo, in un contesto che vede i leader politici accreditati dal nostro corrotto sistema mediatico come i più ponderati e responsabili in circolazione, berciare scompostamente di attacchi preventivi alla Russia e di forniture atomiche a Kiev!

L’importanza della NSS sta nel fatto che non si tratta di un programma elettorale, ma della pianificazione delle politiche estere americane per i prossimi lustri. Politiche che sono in corso già da circa un anno e che si spera saranno perseguite con la stessa energia anche da chi prenderà il posto di Trump nel prossimo futuro. In tal senso, essa costituisce non soltanto l’espressione della volontà presidenziale di ottemperare al mandato ricevuto dalla base MAGA e finanziariamente dai propri sostenitori; ma deve essere inteso come un messaggio rivolto alla comunità internazionale (in primis Russia e Cina), nonché ai popoli del mondo, per lo meno nell’asserita volontà di disimpegnarsi militarmente e politicamente da ampi quadranti dello scacchiere internazionale.

Se si volesse condensare in una sola frase il contenuto della NSS, bisognerebbe dire infatti che in essa è finalmente espressa la rinuncia al “Manifest Destiny” degli Usa, il suo imperialismo messianico; una sinistra ideologia che ha travagliato la storia del Paese fin dalla sua fondazione e che, coltivata in ristretti circoli di sedicenti illuminati, ha costituito la premessa di così tante tragedie più o meno recenti. La NSS riconosce come “l’unità politica fondamentale del mondo” i singoli Stati-nazione, apertamente legittimati a perseguire i propri interessi strategici in collaborazione con gli altri. Dichiara nello stesso tempo la rinuncia ad “imporre loro cambiamenti democratici o sociali che differiscono ampiamente dalle loro tradizioni e dalla loro storia”. È, di fatto, il ripudio della cosiddetta “dottrina Wolfowitz” ed un vero e proprio cambio di paradigma in politica estera. Conseguentemente, sono rifiutati tutti quegli organismi sovranazionali che, calando dall’alto una preconcetta e condizionata idea di “benessere” (FMI), di “salute” (OMS) e di “pace” (ONU), comprimono la sovranità degli Stati per favorire ristrettissime oligarchie di magnati apolidi, uniti tra loro da un ideale di supremazia globale.

Nel documento è chiaramente rinnegata la versione più recente e perniciosa di questo ideale, e apertamente criticati i due pilastri dell’azione statunitense nel mondo durante gli ultimi trentacinque anni: l’imperialismo neocon e l’economia globalista.

La strategia neocon – ma di applicazione bipartisan – di proiettare gli Usa al vertice militare e politico del mondo, è duramente sconfessata. Anzitutto, perché giudicata “impossibile”: una sorta di delirio di onnipotenza che avrebbe comportato una proiezione degli Usa su tutti gli scenari del mondo, con una sovraesposizione militare esorbitante rispetto alle sue reali possibilità (vedi Iraq, Siria e Afghanistan), ma soprattutto alle sue effettive necessità strategiche. È implicita in questa critica l’opinione di buon senso che un pur desiderabile riconoscimento della grandezza americana non debba passare per forza attraverso il tentativo di instaurare un inverosimile e, alla lunga dannoso, predominio militare sul resto del mondo. In secondo luogo, l’imperialismo neocon è definito nel documento un obiettivo “indesiderabile”, perché agente come un potente fattore di impoverimento economico e culturale della nazione, rimasta nei decenni del tutto estranea agli obiettivi di supremazia totalitaria perseguiti dalle proprie élite. Ogni potere comporta delle responsabilità, e quelle globali che la nazione è stata costretta a sobbarcarsi in questo quarto di secolo, recita il documento, sono state superiori alle sue forze (la metafora di Atlante) ed estranee ai suoi bisogni primari. Non solo. Sono state anche profondamente dannose, perché incardinate in istituzioni sovranazionali, che rappresentano interessi completamente avulsi da quelli del popolo e contigui invece a quelle ristrette élite che l’hanno trascinato in questa situazione. L’accusa contro le precedenti amministrazioni è chiara: le risorse dello Stato federale sono state usate per permettere a pochissimi di arricchirsi a dismisura mentre la nazione languiva sopportando sforzi inauditi e guerre non necessarie. È la visione da cui è nato il movimento MAGA e la vittoria elettorale di Trump.

La NSS sconfessa apertamente l’idea che la “sicurezza” e l’interesse degli Usa debbano coincidere con la loro onnipresenza militare nel resto del mondo, né con la diffusione ideologica di uno standard politico ad essi compiacente (“esportare la democrazia” con le bombe, per intenderci). Per tutti coloro che hanno vissuto lo strapotere yankee come un destino ineluttabile, queste asserzioni dovrebbero rappresentare già da sole un fatto enorme! Sì da rendere quasi irrilevante stabilire se questo nuovo corso debbasi attribuire all’encomiabile iniziativa di Trump o alla semplice presa d’atto del fallimento imperialista in corso… In ogni caso, il documento dichiara la volontà della nuova amministrazione di restringere il campo dell’egemonia statunitense principalmente al solo continente americano, rintuzzando con vari mezzi, non per forza militari, la penetrazione di altre potenze nell’area (corollario-Trump alla dottrina Monroe). Ne consegue il ridimensionamento della presenza statunitense nel resto del mondo, con dichiarazioni che mai ci saremmo aspettati fino a pochi anni fa.

Per esempio, che la NATO non deve più concepirsi “come un’alleanza militare in continua espansione”; la qual cosa, nel contesto attuale, significa il progressivo e rapido sfilarsi di Washington dall’Alleanza, lasciata in mano agli Stati europei (non all’UE), se mai siano in grado di ereditarla e riadattarla ad una politica strategica degna di questo nome. In tal senso vanno letti sia la richiesta di alzare il loro contributo militare al 5% del PIL, sia il ritiro di migliaia di uomini dal continente europeo intrapreso dopo l’insediamento di gennaio, sia le recenti dichiarazioni di Trump sulla gestione che gli Europei dovranno assumere della NATO a partire dal 2027.

Stesso discorso per quanto riguarda il progressivo ritiro militare dal quadrante mediorientale. L’esigenza di monopolizzare le fonti di energia fossile dell’area, cede il passo a quella di estrarre e vendere le proprie riserve in un’ottica non solo economica ma di soft power verso i paesi compratori. L’idea sembrerebbe essere quella di “neutralizzare” il Medioriente dalle mire delle grandi potenze, lasciando franchi i suoi passaggi strategici (Hormuz, Suez) e libere le sue alleanze, promuovendo così una sua compattezza di polo geopolitico autonomo. In tale veste, la regione diventerebbe destinataria alla pari di investimenti diversificati in vari settori (nucleare, AI, ecc.), e non più una terra di barbaro saccheggio, quale è stata finora. Ciò significherà probabilmente impedire la realizzazione della nuova Via della Seta cinese, in cambio forse della rinuncia alla Via del Cotone promossa dal governo israeliano col genocidio palestinese. Di là dello show che sono costretti a recitare per i media, è noto che tra Trump e Netanyahu non corra infatti buon sangue. Saldato con il Piano per Gaza il debito coi propri finanziatori sionisti (ma anche con le monarchie del Golfo), Trump potrebbe avere ora le mani libere per riposizionare e diversificare gli interessi americani nella regione senza doverli legare totalmente a quelli dello scomodo alleato. In tale direzione pare vadano lette le dichiarazioni rilasciate a settembre al Daily Caller sullo strapotere della lobby israeliana al Congresso. Se così fosse, non ci stupiremmo di vedere nei prossimi mesi un progressivo e cauto sganciamento degli Usa dalle politiche israeliane nella regione (e in Ucraina).

Stesso discorso la NSS sembra impostare per il quadrante dell’Indo-Pacifico, che ha nella Cina il suo dominus: mantenere aperto il passaggio del Mar Cinese meridionale e di quelli indocinesi, promuovendo negli alleati americani (Giappone, Corea del Sud) un’assunzione di maggiori responsabilità nella deterrenza militare. Taiwan resta strategica per le forniture di tecnologia competitiva e più in generale per il transito degli approvvigionamenti indispensabili all’innovazione.

Riassumendo, la posizione sulla politica militare della nuova amministrazione, è la seguente: pace attraverso la forza (cioè deterrenza) e predisposizione al non interventismo militare. “Poiché gli Stati Uniti rifiutano il concetto fallimentare di dominio globale per sé stessi, dobbiamo impedire il dominio globale, e in alcuni casi anche regionale, di altri”. Politica dell’equilibrio tra blocchi regionali, insomma, e cooperazioni a geometria variabile secondo l’interesse americano (specie nelle supply chain).

 

Per quanto riguarda invece il globalismo, il documento rigetta esplicitamente l’ideologia neoliberista del “libero scambio”, inteso come strategia economica estera considerata sempre “buona” a prescindere dai risultati. Risultati che invece hanno visto per gli Usa (e l’Europa), dapprima la diffusione di politiche energetiche restrittive (stop alle centrali atomiche, blocco delle trivellazioni, diffusione di tecnologie green rivelatesi insostenibili), poi un rapido e imponente processo di delocalizzazione della produzione, dunque di deindustrializzazione e, infine, di precarizzazione e impoverimento dei lavoratori, specie della classe media. Un quadro di desolante e voluta decadenza, economica e sociale, funzionale all’ascesa delle corporation sovranazionali di matrice finanziaria e tecnologica.

Nella volontà di invertire questa tendenza, il documento afferma esplicitamente dei voler considerare i lavoratori americani come i principali destinatari di una nuova politica economica volta principalmente al benessere della nazione (pro-worker economics). È la direzione intrapresa da Trump con le politiche dei dazi, che sta obbligando i colossi Hightech a ritornare ad investire in patria, ostacolando così il processo di delocalizzazione in Asia delle aziende strategiche. Ma anche con l’attacco diretto alle politiche green, woke e immigrazioniste, tre puntelli ideologici del globalismo economico, che se ne giova per diminuire la resistenza alla propria penetrazione negli Stati-nazione grazie ai conflitti sociali e istituzionali che innescano.

È in questa cornice che va letta la presa di posizione dell’amministrazione Trump nei confronti dell’UE, che viene citata soltanto una volta nel documento come il nemico principale dei popoli europei: “Le questioni più importanti che l'Europa deve affrontare includono le attività dell'Unione Europea e di altri organismi transnazionali che minano la libertà politica e la sovranità”. È il de pronfundis di un’istituzione economico-finanziaria, che è nata grazie al globalismo, per il globalismo e che col globalismo è destinata dunque a cadere. La tenaglia russo-statunitense ha denudato il vero volto, dispotico e guerrafondaio dell’UE; la fine della guerra ucraina trascinerà i suoi leader verso l’irrilevanza politica, licenziati dagli stessi circoli globalisti, per i cui interessi hanno sempre operato. L’implosione dell’UE costituisce così per la NSS la premessa indispensabile perché il continente europeo ritrovi la strada della propria grandezza economica ma anche storico-culturale.

 

Putin ha fatto sapere a stretto giro di posta che la NSS è in accordo con la visione multipolare elaborata e promossa dalla Russia almeno dal 2015 in poi, e in modo accelerato col gruppo BRICS dallo scoppio della guerra ucraina. Ciò non stupisce: è una convergenza con Trump che nasce dal contrasto intrapreso dal 2017 contro il comune nemico globalista.

La Cina, invece, si è mostrata più cauta nelle sue valutazioni, parlando di retorica. E ne ha ben donde. La dichiarata strategia statunitense è – onde evitare la guerra – di riequilibrare il commercio con la superpotenza asiatica, obbligandola ad assorbire attraverso le famiglie cinesi il proprio eccesso di produzione. Ciò si realizzerebbe inducendo gli alleati americani nei vari quadranti (Giappone, Europa, Canada) a politiche commerciali concertate di investimenti e penetrazione nei mercati a medio reddito, nei quali oggi la Cina spadroneggia coi suoi prodotti. Qualora la cosa funzionasse, obbligherebbe Pechino o a rallentare la sua corsa produttiva o a intraprendere una politica espansiva dei redditi, tale da permettere l’assorbimento di una parte della produzione interna. Opzioni entrambe impraticabili per chi, come l’attuale leadership cinese, ha consolidato il proprio potere partecipando attivamente alle politiche globaliste degli ultimi trent’anni attraverso un capitalismo di Stato, che ha contenuto i salari e dunque i costi per le aziende (sia cinesi che straniere), schiacciando il dissenso popolare con un sistema distopico di controllo poliziesco. La politica trumpiana dei dazi e del rifiuto del green deal, ha innescato nei vertici dello Stato cinese una resa dei conti, che per il momento Xi Jinping è riuscito soltanto a scongiurare, ma non a risolvere. Senza la solida sponda delle élite globaliste che l’hanno cooptato e proiettato ai vertici del suo Paese, ma che oggi sono in ritirata, il potere di Xi Jinping resta precario come quello di tutti i leader vassalli del WEF, e potrà proseguire solo grazie ad equilibrismi di corto respiro nel nuovo scenario mondiale.

Resta il fatto che, senza la Cina, la nuova Jalta non potrà essere ratificata, né l’equilibrio delle potenze definitivamente assicurato. La pace mondiale dovrà attendere che il Dragone insorga ancora e trovi un nuovo Timoniere.

Marco Bonsanto

Marco Bonsanto

Marco Bonsanto è un filosofo magnogreco che a causa della Modernità deve lavorare per vivere. Ha studiato a Torino, dove è nato e da cui è evaso ancor giovane, e poi a Napoli, “un paradiso abitato da diavoli” che ha felicemente dato un senso al suo cognome. Ha scritto molto e di molte cose, occultando il proprio nome per non essere scoperto. Per aver a lungo bighellonato al sud è stato infine deportato a Padova; dove da dieci anni, per vendicarsi, infetta col dubbio i liceali. Da bambino tifava Milan; ma adesso, sul precipizio dei cinquant’anni, è il diavolo che fa il tifo per lui.

ATTENZIONE!

Abbiamo poco tempo per reagire alla dittatura degli algoritmi.
La censura imposta a l'AntiDiplomatico lede un tuo diritto fondamentale.
Rivendica una vera informazione pluralista.
Partecipa alla nostra Lunga Marcia.

oppure effettua una donazione

Potrebbe anche interessarti

La mini NATO del Pacifico e la "prossima grande crisi internazionale" di Fabio Massimo Paernti La mini NATO del Pacifico e la "prossima grande crisi internazionale"

La mini NATO del Pacifico e la "prossima grande crisi internazionale"

"I nuovi mostri" - Pino Arlacchi "I nuovi mostri" - Pino Arlacchi

"I nuovi mostri" - Pino Arlacchi

Trump e il "corollario Monroe" Trump e il "corollario Monroe"

Trump e il "corollario Monroe"

Loretta Napoleoni - Perché falliscono i negoziati per l'Ucraina di Loretta Napoleoni Loretta Napoleoni - Perché falliscono i negoziati per l'Ucraina

Loretta Napoleoni - Perché falliscono i negoziati per l'Ucraina

Dark Winds, il noir Navajo che ribalta lo sguardo sul West di Raffaella Milandri Dark Winds, il noir Navajo che ribalta lo sguardo sul West

Dark Winds, il noir Navajo che ribalta lo sguardo sul West

Halloween e il fascismo di Francesco Erspamer  Halloween e il fascismo

Halloween e il fascismo

Repubblica, la Stampa e il mondo del lavoro di Paolo Desogus Repubblica, la Stampa e il mondo del lavoro

Repubblica, la Stampa e il mondo del lavoro

La Dottrina Monroe nell'era della pirateria di Geraldina Colotti La Dottrina Monroe nell'era della pirateria

La Dottrina Monroe nell'era della pirateria

Le Kessler, l’astensionismo e i cuochi di bordo di Alessandro Mariani Le Kessler, l’astensionismo e i cuochi di bordo

Le Kessler, l’astensionismo e i cuochi di bordo

In Polonia arrestano gli storici russi di Marinella Mondaini In Polonia arrestano gli storici russi

In Polonia arrestano gli storici russi

Tecnodistopia di Giuseppe Giannini Tecnodistopia

Tecnodistopia

A chi giova l'overtourism? di Antonio Di Siena A chi giova l'overtourism?

A chi giova l'overtourism?

DELENDA EST di Gilberto Trombetta DELENDA EST

DELENDA EST

Paradossi della società italiana di Michele Blanco Paradossi della società italiana

Paradossi della società italiana

Lavrov e le proposte di tregua del regime ucraino di Paolo Pioppi Lavrov e le proposte di tregua del regime ucraino

Lavrov e le proposte di tregua del regime ucraino

John Elkann e la vera minaccia alla libertà di stampa in Italia di Giorgio Cremaschi John Elkann e la vera minaccia alla libertà di stampa in Italia

John Elkann e la vera minaccia alla libertà di stampa in Italia

Registrati alla nostra newsletter

Iscriviti alla newsletter per ricevere tutti i nostri aggiornamenti