Steve Witkoff e la tregua a Gaza

Dopo l'illusione che Trump aveva dato luce verde a Israele su Gaza, il repentino ritorno alla realtà. Il forcing di Witkoff su Netanyahu per chiudere il conflitto

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Steve Witkoff e la tregua a Gaza

 

 
di Davide Malacaria - Piccole Note

 

Se la fragile tregua di Gaza non è collassata e si è evitato che il genocidio palestinese giungesse a compimento si deve all’inviato Usa per il Medio oriente Steve Witkoff, cioè a Trump. Può apparire surreale a quanti vedono nel presidente Usa un brutale imperialista, data anche la legittima diffidenza nei confronti della politica estera dispiegata dagli Stati Uniti negli anni e l’assertività propria del nuovo presidente, ma così è.

Dalla euforia alla realtà

Un retroscena raccontato da Chaim Levinson che, su Haaretz, descrive l’euforia dilagata a Tel Aviv dopo la surreale proposta di Trump sulla “riviera” di Gaza con annessa deportazione dei palestinesi, interpretata da tanti israeliani, in primis Netanyahu, come un via libera alla ripresa della guerra, inevitabile dal momento che tale prospettiva, risultando inaccettabile da Hamas, sembrava chiudere ogni possibilità alla pace (o tregua duratura).

Blindsided by Trump's Mideast Envoy, Netanyahu Rushes to Announce Stage 2 Talks

Invece, tale esaltazione “è finita domenica pomeriggio. Siamo tornati alla realtà, a dove eravamo un mese fa”, scrive Levinson. “Il ‘piano Trump’, sempre che ne esista uno, si è concluso con una laconica dichiarazione della Casa Bianca che comunicava che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump avrebbe sostenuto Netanyahu in ogni tentativo di riportare a casa gli ostaggi”. Quindi, un chiaro invito a far proseguire la tregua.

Poi l’attenzione di Trump si è diretta altrove, continua Levinson, con i colloqui tra russi e americani a Riad. “Dopo il festival di Netanyahu e il festival dell’emigrazione dei gazawi in Egitto, questa settimana abbiamo il festival della pace tra Russia e Ucraina. Quindi ora Witkoff è qui per mettere tutti in riga”.

“Witkoff, secondo le persone coinvolte nei negoziati, è l’unica persona nell’amministrazione statunitense immune al fascino di Netanyahu”. Ed è a lui che è stato dato l’incarico di risolvere la drammatica querelle mediorientale.

L’intervista di Witkoff a Fox News

Così, spiega Levinson, per capire quanto sta accadendo occorre stare a quanto ha dichiarato domenica Witkoff a Fox news. Anzitutto, dopo aver affermato che la fase due della tregua, in cui le parti devono negoziare sulla chiusura del conflitto, è più difficoltosa della fase uno, ha concluso che “la fase 2 inizierà sicuramente“.

“Ha poi aggiunto di aver parlato al telefono quella mattina con Netanyahu, con il primo ministro del Qatar e il direttore dell’intelligence egiziana, spiegando che ‘ci sono state conversazioni molto produttive e costruttive questa mattina sulla sequenza della [Fase] 2, conversazioni in cui sono state esposte le posizioni di entrambe le parti, così da poter capire… la situazione attuale per poi continuare i colloqui questa settimana in una località da stabilire per capire come arrivare alla fine della [Fase] 2 con successo“.

Nel dettaglio, ha spiegato: “La Fase 2 contempla la fine della guerra, ma contempla anche il fatto che Hamas non sia coinvolta nel governo e che se ne vada da Gaza. Quindi dobbiamo far quadrare queste due cose”.

Più che interessante, inoltre, quanto ha riferito sul piano di Trump. Di fatto, senza sconfessarlo (né poteva farlo), ha detto che in pratica si trattava di una provocazione per dare una smossa al mondo arabo. Infatti, ha affermato che la sparata di Trump ha suscitato un dibattito vivace. “E ora abbiamo gli egiziani che dicono di avere un piano, i giordani che dicono di avere un piano. E tutti sono effettivamente impegnati in un dialogo davvero significativo e convincente su ciò che dovrebbe avvenire” a Gaza (il neretto è nostro).

“I leader arabi – commenta Levinson – si sentono sotto pressione, quindi stanno iniziando a muoversi. Gli ulteriori colloqui di cui ha parlato Witkoff continueranno in un summit convocato a Riyadh per il 27 febbraio”.

“Il piano è quello di cui si è discusso per mesi, ma con maggiori dettagli: far sì che i sauditi e gli emiratini ricostruiscano la Striscia di Gaza con i soldi degli Stati del Golfo, un accordo di pace tra Israele e Arabia Saudita, seri sforzi egiziani per fermare il contrabbando di armi verso Gaza, un comitato arabo-musulmano per gestire Gaza e l’annuncio che Hamas, per il bene dell’unità palestinese, rinuncerà al controllo di Gaza. Con costernazione di Smotrich, questo è l’unico piano che è stato e sarà sul tavolo”. Il leader dell’ultradestra Bezalel Smotrich, per inciso, era il fan più sfegatato del piano di Trump…

Il forcing di Witkoff su Netanyahu 

Per quanto riguarda, invece, Netanyahu, la fase due, cioè la fine della guerra, non rientra semplicemente nel suo orizzonte. Così, domenica si era azzardato a dire che lui e Trump si stavano muovendo di comune accordo, senza però dire nulla sui negoziati. Ma, dopo l’intervista di Witkoff alla Fox, in cui l’inviato Usa per il Medio oriente annunciava il passaggio alla fase due, “si è affrettato a rilasciare due comunicati stampa a 40 minuti di distanza”.

“Nel primo – notava Levinson – comunicava che il gabinetto di sicurezza si sarebbe riunito per confrontarsi sulla seconda fase dell’accordo prima però che inizino ulteriori trattative. Ma qualcuno negli Stati Uniti evidentemente legge l’ebraico, perché una dichiarazione corretta è arrivata dopo soli 40 minuti”.

Su richiesta di Witkoff, ha detto, il team per i negoziati si recherà al Cairo per trattare la prosecuzione della prima fase dell’accordo. Allo stesso tempo, il gabinetto di sicurezza valuterà le istruzioni del team per i negoziati sulla seconda fase. Ci sono progressi”.

In un mondo ideale, la Palestina dovrebbe avere un proprio Stato. Né tale prospettiva può essere abbandonata. Non lo faranno certo i palestinesi. Ma ora, e prima di tutto, va fermato lo sterminio di Gaza e il parallelo stillicidio della Cisgiordania. Le pressioni Usa, benché ancora esposte al rischio sabotaggio, vanno in quella direzione (probabilmente con il parallelo supporto di Mosca, vedi Piccolenote).

Tunisia debates possibility of 'hosting' exiled Hamas figures amid further Gaza ceasefire negotiations

Quanto ad Hamas, è ovvio che né Israele né l’America potranno mai accettare che la milizia controlli ancora Gaza. Un compromesso che rientra nell’orizzonte delle opzioni che potrebbero essere accettate è il disarmo della milizia e l’esilio dei suoi dirigenti. In questi giorni la notizia, non ufficiale, che Hamas è disposto a cedere all’Autorità palestinese il controllo di Gaza. E di ieri l’annuncio che la Tunisia sta valutando la possibilità di ospitare i leader della milizia. Le trattative procedono.

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