Sara Reginella - "Nell'inferno dei quartieri di Donetsk"

Sara Reginella - "Nell'inferno dei quartieri di Donetsk"

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Al ritorno da un’esperienza di tre settimane nel Donbass, credo sia doveroso ritrarre lo scenario articolato con cui mi sono interfacciata.

Il primo aspetto sui cui vorrei porre l’attenzione riguarda la complessità. Non è possibile fare generalizzazioni su un quadro variegato come quello del conflitto ucraino, comprensibile solo nella misura in cui si evitano facili generalizzazioni.

Nel Donbass è in atto un conflitto dal 2014, i cui primi anni sono stati quasi totalmente censurati dai mass media occidentali. Non entrerò in merito alle cause che hanno portato al conflitto, a partire dal golpe di Kiev, durante l’Euromaidan, già oggetto di miei precedenti lavori e reportage, né disputerò sulle questioni geopolitiche legate al pericoloso espansionismo della NATO ai confini della Russia. Mi limiterò a riferire sulla situazione osservata nell’estate 2022 nei territori del Donbass, che ho personalmente visitato.

A Lugansk, capitale della LNR (Luganskaya Narodnaya Respublika – Repubblica Popolare di Lugansk), la popolazione vive in una condizione di pace relativa. Sono in molti a combattere al fronte, ma l’ultimo bombardamento risale a circa un mese e mezzo fa. Con l’arrivo dell’esercito russo, da febbraio 2022, il fronte si è spostato di oltre settanta chilometri in avanti, rispetto alla capitale. Nel territorio di Lugansk, ho potuto appurare come la popolazione sia grata all’esercito russo, in quanto le persone riferiscono come dal suo arrivo, nei territori dell’omonima Repubblica, dopo otto anni, l’esercito ucraino non può più colpire.

A Donetsk invece, capitale della DNR (Donetskaya Narodnaya Respublika – Repubblica Popolare di Donetsk), il fronte si sviluppa a partire dalle aree periferiche della città. Ho trascorso a Donetsk diversi giorni, durante i quali ho osservato come quotidianamente vengano colpite aree del centro cittadino e della periferia, dove non sono presenti installazioni militari. A Donetsk, i bombardamenti sono continui. Posso affermare, dopo tre precedenti viaggi in Donbass, che la situazione è gravemente peggiorata. A Donetsk, oltre alla morte causata dai colpi dell’artiglieria, la città vive una catastrofe umanitaria, anche a causa della perdurante assenza d’acqua. La popolazione riferisce della distruzione della rete idrica da parte dell’esercito ucraino, avvenuta con l’inizio dell’operazione militare speciale russa.

Nel periodo in cui ho soggiornato a Donetsk, l’acqua è uscita dal rubinetto una volta soltanto, per circa due ore. Pertanto, la popolazione è costretta a file per riempire taniche, mentre il prezzo dell’acqua minerale nei supermercati è alle stelle. In considerazione delle alte temperature estive, la situazione, nel periodo in cui ho soggiornato nella capitale, era assai seria.

Tornando ai bombardamenti, posso riferire che durante il mio soggiorno in Donbass è stato colpito l’albergo in cui pernottavo, il Central Hotel di Donetsk, oltre che il Park Inn, dove erano ospitati giornalisti e aree del centro cittadino di Donetsk come Piazza Lenin, in cui sono stati uccisi due civili e un ospedale al distretto Kuibyshevsky. Questi sono soltanto alcuni esempi su come vengano colpite le infrastrutture cittadine, ma la lista dei danni, dei morti e dei feriti che ci sono stati a Donetsk durante la mia permanenza, è molto più lunga.

Ho vissuto personalmente l’inferno di quartieri di Donetsk come il Petrovskoe, il Leninskij, il Kirovskij, dove gli appartamenti sono quotidianamente centrati. In più occasioni, ho visto cadere i colpi d’artiglieria a poche centinaia di metri da dove mi trovavo, ho visto il corpo di un uomo morto ammazzato, nel giardino di casa, da un colpo d’artiglieria, ho osservato gli effetti di bombardamenti in luoghi come supermercati e letto nelle agenzie del posto gli inviti continui a restare all’interno degli edifici, per via della situazione pericolosa. Ho filmato tutto questo con la mia videocamera.

“Perché bombardano le aree civili?” ho chiesto ai cittadini di Donetsk.

“Perché vogliono costringerci ad andarcene” è stata la risposta univoca.

“E perché non ve ne andate?”.

“Perché questa è la nostra terra” hanno risposto i più giovani, che hanno scelto di restare.

Tutte le persone con cui ho parlato, che ho intervistato e che ho filmato a Donetsk sono concordi nell’affermare che i colpi di artiglieria che cadono contro le aree civili partono dal fronte ucraino, da otto anni.

Tutte le persone con cui ho parlato auspicano che l’esercito russo intervenga rapidamente nei territori della DNR, affinché il massacro abbia fine, così come accaduto nel Lugansk.

Da quando l’Occidente ha fornito nuove armi, mi ha riferito la popolazione, se prima i colpi si fermavano alla periferia, ora raggiungono anche il centro, che viene colpito quotidianamente.

Ogni volta in cui ho comunicato ai cittadini di Donetsk che in Occidente si pensa che a bombardare la città sia l’esercito russo e non quello ucraino, le persone hanno mostrato rabbia e indignazione.

Aggiungo che le persone non hanno piacere nel parlare con reporter occidentali, in quanto temono che le notizie siano manipolate. Ho faticato, in alcuni casi, a ottenere la fiducia della gente del posto. Il fatto di riferire che dal 2015 il mio nome è su Myrotvorets, la lista pubblicata online su idea del consigliere dell’allora Ministro degli Interni ucraino, dove sono raccolti i nomi di coloro che sono considerati criminali, per aver riportato i fatti sul conflitto in Donbass, ha fatto sì che più persone, a Donetsk e a Gorlovka, accettassero di parlare con me.

In DNR, sono stata anche nella città di Gorlovka dove la situazione è analoga e sovrapponibile a quella di Donetsk. Anche a Gorlovka la popolazione non ha dubbi: a colpire le aree civili, da otto anni, è l’esercito ucraino. A confermarlo, tra gli altri, la madre di Masha, una donna la cui figlia è stata uccisa mentre giocava nel giardino sotto casa, in un’area dove, va ribadito, non vi erano postazioni militari.

Prima di proseguire, va fatta una precisazione. I territori del Donbass sono aree abitate da cittadini di lingua e tradizione russa. Nei territori delle autoproclamate Repubbliche Popolari, inoltre, molti cittadini, dal 2014, per non diventare apolidi, hanno ottenuto il passaporto russo, quindi i bombardamenti ucraini, in questi anni, hanno colpito cittadini russi.

Uscendo dai territori sotto il controllo delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk, sono entrata nelle aree che sono state teatro di scontro, successivamente al 24 febbraio 2022, tra esercito russo (unito alle milizie della DNR o della LNR) ed esercito ucraino.

A Shchastia (regione di Lugansk), ho osservato danni alle infrastrutture minimi: mi riferiscono che l’esercito ucraino ha lasciato rapidamente le posizioni, preferendo organizzare la difesa di città strategiche come Mariupol.

Ho visitato Mariupol (regione di Donetsk), Lisichansk e Severodonetsk (regione di Lugansk). La situazione in queste città è analoga. Le diverse persone con cui ho parlato hanno affermato che all’arrivo dell’esercito russo, l’esercito ucraino si è barricato nelle abitazioni civili, mentre la gente ha cercato riparo negli scantinati, dove è rimasta per settimane.

Alcune persone non hanno accettato di rispondere alle mie domande. In alcune di loro ho percepito rabbia e disappunto, in altre paura.

Numerosi palazzi e quartieri sono stati danneggiati, ma non si percepisce la volontà deliberata di distruggere infrastrutture civili. È possibile osservare l’effetto dei colpi contro i palazzi, dai quali si sono sviluppati incendi. Gli edifici sono stati danneggiati ma, complessivamente, non si può parlare di edifici rasi al suolo. Alcuni quartieri non hanno subito danni.

Le persone hanno riferito che l’esercito russo, al suo arrivo, ha portato aiuti umanitari alla popolazione rimasta bloccata negli scantinati.

Nessuno ha riferito di tentativi da parte dell’esercito russo di uccidere intenzionalmente civili.

Ho inoltre domandato ai cittadini delle città di Shchastia, Mariupol, Lisichansk e Severodonetsk di descrivermi gli anni sotto il controllo dei battaglioni Azov o Aidar, a seconda del territorio. Le persone che hanno accettato di rispondere alle mie domande hanno affermato all’unanimità che i membri dell’Azov e dell’Aidar erano nazisti.

“In base a cosa dite che erano nazisti?” ho domandato.

“Lei ce li ha tatuaggi con le svastiche o con simboli nazisti sul corpo?” è stata la contro-domanda che mi hanno posto in molti.

“No” era la mia risposta.

“Beh, loro sì” aggiungevano.

In numerosi mi hanno riportato delle difficoltà che avevano persone di lingua e tradizione russa sotto il controllo delle forze di Azov e Aidar: dal divieto di parlare pubblicamente la lingua russa, a meno che non si fosse nella propria abitazione, ai modi aggressivi nei confronti dei russofoni.

Ho raccolto ulteriori testimonianze sui rapporti della popolazione russofona con i battaglioni Azov e Aidar, che però meritano ulteriori indagini e approfondimenti, pertanto al momento preferisco non pubblicarle.

A Stanitsa Luganskaya, vicino a Shchastia, sempre nell’oblast di Lugansk, ho visitato quelle che mi sono state presentate come prigioni gestite dal battaglione Aidar. Anche in questo caso, le informazioni raccolte meritano ulteriori indagini e approfondimenti di verifica, pertanto eviterò di condividerle in questa fase.

Rispetto ai riferiti da parte dei cittadini, ho chiesto come mai la polizia del posto non intervenisse nei confronti dei battaglioni. Mi è stato risposto che la polizia locale aveva paura dei membri dell’Azov e dell’Aidar.

A Mariupol e a Severodonetsk, non è stato semplice trovare persone disposte a comunicare davanti a una videocamera. In alcuni casi, le persone hanno accettato di farsi riprendere, in altri se ne sono andate senza dir nulla, in altri casi ancora hanno accettato di parlare con me, ma a videocamera spenta. I resoconti ascoltati a videocamera spenta sono comunque importanti. Di fronte a un filmato con un testimone che racconta la propria esperienza, si potrebbe comunque accusare il reporter di aver utilizzato un attore a fini propagandistici. Il mio lavoro è stato quello di raccogliere documenti video dove possibile ma, prima ancora, ho provato a capire, cercando di guadagnare, in tempi brevi, la fiducia dell’interlocutore, anche accettando di non filmare, per rispetto a quanto richiesto.

Dalle testimonianze raccolte, posso affermare che un numero considerevole di persone è assai sollevato per l’arrivo dell’esercito russo, in quanto tale arrivo ha rappresentato la fine di quella che è stata vissuta, da molti, come un’occupazione da parte dei battaglioni Azov o Aidar, inviati dal governo ucraino per il controllo di aree in cui alcuni cittadini, dopo il golpe del 2014, si erano ribellati (si veda, ad esempio, la rivolta popolare di Mariupol, che a maggio 2014 era stata repressa nel sangue).

Ho ascoltato anche alcune testimonianze di persone che hanno riferito come durante gli anni sotto il controllo dei battaglioni Azov e Aidar, non avessero riscontrato alcun problema e avrebbero preferito continuare a vivere in quel tipo di realtà, rispetto a quella odierna successiva agli scontri.

Ho chiesto ad alcuni come sia possibile che in uno stesso luogo, le percezioni siano così differenti.

Riporto in sintesi la risposta datami da una madre di Shchastia, che ha perso entrambi i figli arruolati nelle milizie popolari della LNR. Le sue parole rappresentano la prospettiva di diversi cittadini che hanno accettato di rispondere alle mie domande. Il punto di vista di questa donna è stato filmato in una lunga intervista, qui ne riporto il pensiero sintetizzandolo nei suoi aspetti chiave: “Se ti sottomettevi ai dettami dei battaglioni nazisti, non avevi alcun problema. I problemi iniziavano quando ti rifiutavi di parlare ucraino, perché non è la tua lingua madre, la capisci, ma la parli male, o quando rifiutavi di accettare come eroi, criminali nazisti come Bandera. Molte persone vivono nel proprio piccolo mondo, si accontentano di una pensione, del cibo e di un posto in cui dormire. Queste persone stanno bene ovunque, anche sotto il battaglione Azov, perché queste persone non sanno cosa sia la libertà. Ora sono arrabbiate perché hanno perso la propria casa. Beh, io posso dire che la casa la possiamo ricostruire, ma la libertà, quella che ci era stata tolta, non l’avremmo ricostruita”.

Ipotizzo che le persone che si sono rifiutate di rispondere alle mie domande appartengano alla categoria di quelle irate per aver la casa danneggiata o siano tra coloro che sostengono la politica di Kiev.

Tra le persone che benedicono l’arrivo dell’esercito russo, vi sono anche soggetti che hanno la propria abitazione danneggiata. Alcuni di questi hanno accettato che io filmassi la loro testimonianza.

Credo che per comprendere il vissuto di queste persone che sono grate all’esercito russo, nonostante gli scontri abbiano portato anche distruzione, sia utile pensare a quanto accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale. Gli Italiani accoglievano gli alleati come liberatori, nonostante i bombardamenti sulle città, conseguenti l’intervento militare.

A Mariupol e Severodonetsk, alcuni cittadini se ne sono andati, altri sono rimasti e vengono sostenuti dagli aiuti umanitari portati dalla Federazione Russa.

In città come Mariupol è già partita la ricostruzione sostenuta sempre dalla Federazione Russa.

In sintesi, problematiche conseguenti al conflitto sono presenti nelle diverse città, ma con una sostanziale differenza: in città come Donetsk e Gorlovka, nella DNR, l’attacco è contro i civili e contro le infrastrutture della città, aree dove, posso testimoniare, non erano presenti postazioni militari russe o delle milizie popolari. Qui i civili riferiscono che a sparare contro di loro è solo ed esclusivamente l’esercito ucraino, da otto anni.

In città come Mariupol o Severodonetsk, teatro degli scontri tra esercito ucraino ed esercito russo (unito alle milizie delle repubbliche popolari), le persone del posto che ho interpellato concordano sul fatto che l’esercito ucraino abbia occupato gli appartamenti dei civili, rifugiatisi negli scantinati, e che questa sia stata la strategia utilizzata per portare avanti lo scontro con l’esercito russo. Anche le persone che hanno chiesto di non essere filmate sono state concordi su questo aspetto.

A detta delle persone, il governo ucraino non ha dato indicazioni per l’evacuazione, per mettere in sicurezza i cittadini attraverso la creazione di corridoi umanitari.

La maggior parte delle testimonianze sono state raccolte in assenza di soggetti terzi al mio fianco: fixer, militari o altri reporter.

Quanto raccolto e filmato durante il mio viaggio è frutto di un progetto autoprodotto.

Auspico che le informazioni che condivido contribuiscano a creare consapevolezza su come vengono utilizzate le armi fornite all’Ucraina dall’Occidente.

Auspico altresì che gli italiani chiedano con forza al governo di uscire dalla politica aggressiva intrapresa dal nostro paese.

Occorre ripartire da un dialogo con la Federazione Russa, un paese da cui l’Italia e l’Europa dipendono economicamente ed energeticamente e opporsi alla logica sacrificale da cui trarranno profitto soltanto coloro che otto anni fa hanno ordito il golpe di Euromaidan, famiglia Biden in primis, i cui interessi nei territori del Donbass, connessi allo sfruttamento del gas di scisto, non devono passare inosservati. Non è un caso che nel 2014 Hunter Biden, figlio dell’attuale presidente statunitense, fosse entrato nel consiglio della Burisma Holdings, tra le compagnie di gas ucraine interessate all’estrazione del gas di scisto nei territori del Donbass.

Non è un caso, inoltre, che il conflitto sia nuovamente degenerato dopo l’elezione di Joe Biden.

Vi invito a condividere queste informazioni per contribuire a frenare l’onda di odio che porterà alla morte di altri civili e al suicidio del nostro paese.

Ringrazio tutti coloro che in queste settimane hanno avuto fiducia nella mia persona e nelle mie testimonianze.

Sara Reginella – 9 settembre 2022

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sara Reginella

Sara Reginella

Psicologa a indirizzo clinico e giuridico, psicoterapeuta, regista e autrice di reportage di guerra. I suoi lavori integrano l’interesse per le dinamiche psicologiche con l’attenzione per l’attualità e uno sguardo che mai dimentica le frange socialmente più vulnerabili.

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