Produttività in Italia e i (falsi) miti della propaganda liberista

Produttività in Italia e i (falsi) miti della propaganda liberista

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Tra i problemi che illustrano il decennale declino dell’economia italiana, uno dei più ricorrenti è quello della produttività.

Che la crescita della produttività italiana abbia subito un tracollo è fuori discussione.

Ma quando è successo? E perché?

Iniziamo col dire cosa si intende, di solito, quando si parla di produttività.

ISTAT per esempio ci dice che con “produttività del lavoro” si intende il rapporto fra il valore aggiunto e le ore lavorate o il lavoratore.

La produttività può essere calcolata dal lato della produzione o del consumo, cioè vista dal lato dell’offerta o della domanda.

Non solo, ci sono altri indici per misurarla.

Quando si parla di produttività, i liberisti usano sempre la produttività totale dei fattori (Total Factor Productivity o TFP), chiamata anche produttività multifattoriale (Multifactor productivity o MFP). Un indice di produzione che confronta la quantità di output con la quantità di input combinati utilizzati per produrre tale output. Le combinazioni di input possono includere lavoro, capitale, energia, materiali e servizi acquistati.

Non ci interessano adesso le criticità legate all’uso di questo indice. D’altronde anche gli altri indicatori hanno i loro limiti.

Quello che ci interessa è che i liberisti non usano un qualsiasi grafico della TFP. Ne usano, sempre e comunque, uno specifico.

E cioè quello preso dal sito Federal Reserve Economic Data (FRED), un database online gestito dalla divisione Ricerca della Federal Reserve Bank di St. Louis (grafico 1).




I dati sulla TFP utilizzati da questo database sono a loro volta presi dall’università di Groninga.

Perché usare un grafico elaborato su dati di una semisconosciuta università olandese anziché quelli ufficiali (ISTAT, AMECO, OCSE, Banca d’Italia)?

La risposta è semplice.

Perché è l’unico (sottolineo l’unico) in cui il declino della produttività italiana inizia negli anni 70. Cioè durante quella che gli auto-razzisti anti-italiani chiamano “l’Italietta della Liretta”.

Se usassero le fonti ufficiali, una qualsiasi delle numerose fonti ufficiali, la TFP inizia a calare nella seconda metà degli anni 90 (grafico 2 TFP su dati AMECO, grafico 3 TFP su dati ISTAT, grafico 4 TFP su dati OCSE, tabella 1 TFP su dati Bankitalia).








Esattamente come accade per tutti gli altri indici della produttività (grafico 5 valore aggiunto per ora lavorata, grafico 6 valore aggiunto per occupato, grafico 7 PIL per ora lavorata). Tutti.






Insomma, usando una qualsiasi delle numerose fonti ufficiali e uno qualsiasi degli indicatori esistenti, il declino della produttività italiana inizia sul finire degli anni 90.

Cioè quando con l'ingresso nella UE avevamo iniziato gli avanzi primari, eravamo rientrati nello SME per adottare l'euro e avevamo iniziato una lunga serie di riforme regressive del mercato del lavoro al grido di “ce lo chiede l’Europa!”.

Vale a dire da quando abbiamo iniziato a tagliare la spesa pubblica (grafico, ad adottare una valuta troppo forte per noi che penalizza le esportazioni (grafico 9) e avevamo iniziato a tagliare i salari (grafico 10) facendo conseguentemente calare i consumi.




Spesa pubblica, esportazioni e consumi. Cioè tre quarti delle voci che compongono il PIL e influiscono sulla sua crescita. E, conseguentemente, sulla crescita della produttività.

Gilberto Trombetta

Gilberto Trombetta

43 anni, giornalista politico economico e candidato Sindaco di Roma con la lista Riconquistare l'Italia del Fronte Sovranista Italiano

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