Privatizzazioni e "patria". La frase di Giorgia Meloni a cui non avete dato la giusta attenzione
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di Alessandro Volpi
"Lo Stato deve controllare cio’ che è strategico ma ciò comporta aprirsi anche al mercato”.
Queste sono le parole pronunciate da Giorgia Meloni nella conferenza stampa. Con una simile premessa, in realtà alquanto confusa, la presidente del Consiglio ha annunciato nuove privatizzazioni, a cominciare da Poste e Ferrovie, due delle ormai pochissime realtà dove lo Stato ha una partecipazione di chiara maggioranza.
A questo riguardo, ha anche sostenuto che lo Stato non perderà il controllo di tali società. Ora, mi permetto di dire che siamo al surreale. L'Italia non ha più da tempo il controllo dei settori strategici, a cominciare dall'energia e dalle telecomunicazioni, ma ciò che sta facendo questo governo è la dismissione definitiva persino del minimo indispensabile per una gestione che non sia totalmente finanziarizzata.
E' evidente, infatti, che cedere quote rilevanti di Poste e Ferrovie significa far entrare nella loro proprietà grandi fondi interessati solo ai rendimenti finanziari e non certo alla qualità dei servizi. Peraltro, cedere quote di proprietà di società così essenziali comporta per gli acquirenti privati il beneficio di poter disporre di un socio pubblico che certo non varerà provvedimenti in contrasto con la stessa distribuzione di dividendi azionari perché interessato a riscuoterli. Il sovranismo della destra di governo si trasforma così in un liberismo protetto dove lo Stato è garante dei dividendi dei privati. Forse la speranza del governo Meloni è riposta nel fatto che, spalancando le porte alla grande finanza, gli effetti sul debito del disgraziato Patto di stabilità siano meno pesanti: un doppio errore perché, così facendo, viene meno ogni dimensione pubblica e cessa qualsiasi spazio di politica economica, delegata in toto ai poteri finanziari che saranno i veri gestori dell'economia nazionale e gli arbitri del nostro debito. Verrebbe da dire la fine dell'indipendenza della tanto sbandierata "patria".
Queste sono le parole pronunciate da Giorgia Meloni nella conferenza stampa. Con una simile premessa, in realtà alquanto confusa, la presidente del Consiglio ha annunciato nuove privatizzazioni, a cominciare da Poste e Ferrovie, due delle ormai pochissime realtà dove lo Stato ha una partecipazione di chiara maggioranza.
A questo riguardo, ha anche sostenuto che lo Stato non perderà il controllo di tali società. Ora, mi permetto di dire che siamo al surreale. L'Italia non ha più da tempo il controllo dei settori strategici, a cominciare dall'energia e dalle telecomunicazioni, ma ciò che sta facendo questo governo è la dismissione definitiva persino del minimo indispensabile per una gestione che non sia totalmente finanziarizzata.
E' evidente, infatti, che cedere quote rilevanti di Poste e Ferrovie significa far entrare nella loro proprietà grandi fondi interessati solo ai rendimenti finanziari e non certo alla qualità dei servizi. Peraltro, cedere quote di proprietà di società così essenziali comporta per gli acquirenti privati il beneficio di poter disporre di un socio pubblico che certo non varerà provvedimenti in contrasto con la stessa distribuzione di dividendi azionari perché interessato a riscuoterli. Il sovranismo della destra di governo si trasforma così in un liberismo protetto dove lo Stato è garante dei dividendi dei privati. Forse la speranza del governo Meloni è riposta nel fatto che, spalancando le porte alla grande finanza, gli effetti sul debito del disgraziato Patto di stabilità siano meno pesanti: un doppio errore perché, così facendo, viene meno ogni dimensione pubblica e cessa qualsiasi spazio di politica economica, delegata in toto ai poteri finanziari che saranno i veri gestori dell'economia nazionale e gli arbitri del nostro debito. Verrebbe da dire la fine dell'indipendenza della tanto sbandierata "patria".