Pensioni e documento programmatico della CGIL: limiti e vizi della concertazione

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Pensioni e documento programmatico della CGIL: limiti e vizi della concertazione



Riceviamo e molto volentieri rilanciamo  le riflessioni di Federico Giusti ed Emiliano Gentili pubblicate da Pungolo Rosso sull'approccio concertativo ai salari, alle pensioni e al fisco.


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di Federico Giusti e Emiliano Gentili*

 

Nello scrivere un testo ragionato sulle proposte della Cgil abbiamo tentato di porci sul piano di ragionamento di quel sindacato e dei lavoratori che ne siano influenzati, al fine di ridurre la dissonanza culturale con loro e provare ad esserne ascoltati. In diversi passaggi dell’articolo abbiamo assunto un tono interlocutorio e non giudicante proprio per rispetto nei confronti dei sentimenti di quelle persone, non per forza organiche alla Cgil, che con fatica mantengono un fondo etico di sinistra e una sottile volontà di anelare all’eguaglianza sociale. Limitare l’analisi permette a volte di operare quelle sospensioni del giudizio politico che servono per consentire una relazione con un interlocutore che, per varie ragioni, abbiamo pensato non essere particolarmente disposto all’ascolto. Per quale motivo? Una persona che si aggrappa a una rappresentazione non del tutto convincente (per non dire mistificatrice), quale è quella fornita dalla Cgil, a volte lo fa perché vuole mantenere una posizione critica nei confronti della società odierna ma non sa come fare. Questa persona merita un approccio comprensivo più che un attacco frontale, affinché in essa possano innescarsi quei processi di verifica delle proprie convinzioni che, diversamente, rimarrebbero soltanto processi di convalida (“ciò che leggo è compatibile con le mie convinzioni pregresse? Se sì, integro i nuovi contenuti; se no, li scarto”). Diciamo tutto ciò per presentarci e per comunicarvi che non siamo contrari a inquadrare le questioni sollevate nella nostra analisi all’interno di un contesto teorico più ampio: al contrario, apprezziamo i rilievi mossi da Pasquale Cordua e prima di tutto l’attenzione dimostrata. Attenzione che desideriamo ricambiare, provando a rispondere.

Concordiamo nel rilevare una reale inclinazione di questo Governo verso i settori di piccola e media imprenditoria. Anche qui, però, il discorso forse necessita di essere completato: la politica governativa si muove sullo sfondo del vecchio patto sociale fra grande e piccola borghesia, quello basato sulla detassazione (sgravi, condoni, finanziamenti) d’impresa, sulla riduzione del costo del lavoro, nonché su un certo grado di deregolamentazione normativa e tolleranza legale a protezione degli illeciti, che garantisce alle PMI (in particolare quelle di alcuni specifici settori) di mantenere tassi di profitto sufficienti per rimanere competitive sul mercato. Chiaramente, a scapito della forza-lavoro. Ma spesso a scapito anche della capacità, del sistema imprenditoriale italiano nel suo complesso, di rendere più integrate le filiere produttive e innescare dinamiche di efficientamento produttivo. A poco valgono le “reti d’impresa” o gli scarsi fondi statali per start-up e innovazione industriale, che hanno una funzione quasi prettamente ideologica nel dibattito interno imprenditoriale. Persino a livello fiscale il tessuto delle imprese italiane ha difficoltà a stabilire un efficace livello d’integrazione (l’IVA di gruppo consente il pagamento congiunto della tassa ma i diversi soggetti continuano a figurare singolarmente per il fisco; il Gruppo IVA, che al contrario rappresenta una vera e propria “integrazione fiscale” fra imprese, è molto limitato dalla legislazione italiana). Insomma, se vi è una coincidenza fra la matrice ideologica dei principali partiti di Governo e gli spazi di manovra in favore delle piccole e medie imprese, il quadro strategico entro il quale Meloni deve muoversi è differente. L’integrazione di filiera e l’efficientamento produttivo sono due processi fondamentali, individuati da tempo dalla classe dirigente, che devono andare avanti. Pena: un relativo (ma progressivo) indebolimento della posizione italiana sul mercato internazionale.

Per ora i Governi degli ultimi decenni hanno sostanzialmente portato avanti una politica di compromesso, o per meglio dire di “armonizzazione” delle contraddizioni esistenti fra grande e piccola imprenditoria. Nel caso di Meloni gli esempi sono meno che in altri, tuttavia ci sono. Possiamo ad esempio considerare l’atteggiamento tenuto nei confronti del settore agroalimentare.

Con la Finanziaria per il 2023 (L. 197/2022, Art. 1), infatti, da un lato si è cercato di aumentare il livello di regolamentazione e ridurre l’evasione del costo del lavoro, ma dall’altro di salvaguardare parte della situazione preesistente. Se, per esempio: il salario minimo del settore è stato innalzato a 9€ (comma 343, lettera a); gli imprenditori agricoli sono stati formalmente obbligati a comunicare all’Inps l’orario lavorativo giornaliero anche per le collaborazioni di durata breve (comma 343, lettera b); il numero di ore lavorate oltre le quali il rapporto di lavoro va obbligatoriamente essere regolato da un contratto a tempo indeterminato è stato ridotto (comma 343, lettera c), così come il numero massimo di giornate lavorative (45) per un rapporto lavorativo occasionale agricolo, comunque ammissibile solo e soltanto se motivato dal carattere stagionale della mansione e se il soggetto non ha avuto un impiego regolare nel medesimo settore economico negli ultimi tre anni (comma 344); è fatto obbligo all’imprenditore di fornire la dichiarazione preventiva delle giornate che, da contratto, il dipendente andrà a lavorare (mentre prima, tramite il modulo Dmag, le dichiarazioni potevano avvenire anche con tre mesi di ritardo, consentendo agli imprenditori di dichiarare agevolmente il falso) (comma 346)…

Se tutto ciò è vero, d’altro canto:

- le sanzioni per gli imprenditori che al superamento del numero massimo consentito di giornate lavorative non trasformano il contratto in indeterminato (sanzioni che vanno da 500 a 2.500€ per ogni giornata eccedente) sono nulle nel caso la violazione derivi dal fatto che il lavoratore abbia fornito informazioni incomplete o false in fase di assunzione (comma 354). In parole semplici, se il lavoratore immigrato non dichiara spontaneamente di aver già lavorato altre giornate in campagna negli ultimi tre anni (e magari ha appena finito tre mesi di intenso lavoro estivo), l’imprenditore viene sollevato da qualsiasi colpa e può dichiarare di non aver mai assunto prima quella persona. È chiaro, di conseguenza, che la maggior regolamentazione istituita da Meloni lasci aperta una scappatoia e comporti con ciò un incentivo all’utilizzo del lavoro nero (invece che grigio) che, al contrario, negli anni passati era diminuito (-43,8% nel periodo 2012-2019[1]);

- a ben vedere sono comunque permesse rettifiche al Dmag, in quanto il calcolo dei contributi continua ad essere fatto trimestralmente. Inoltre se la rettifica è “in diminuzione”, ossia corregge per difetto il vecchio ammontare delle ore dichiarate, è anche possibile evitare le sanzioni amministrative previste per non aver rispettato la scadenza. Basta solo che la pratica sia rettificata prima della scadenza per il pagamento dei contributi, che appunto continuano ad essere lavorati dall’Inps dopo la chiusura del trimestre. (In realtà poi le scadenze sono più che trimestrali: per il 2022 cadevano il 18 luglio, il 16 settembre, con tanto di mini-proroga al 30 settembre, il 16 novembre e il 16 gennaio 2023). Per cui in sostanza non è cambiato molto rispetto a prima e si incentiva l’utilizzo di lavoro a nero;

- il Governo caldeggia «forme semplificate di utilizzo delle prestazioni di lavoro occasionale a tempo determinato» (comma 343), ossia i voucher agricoli (che nella versione di bozza della Legge non incontravano nemmeno limiti di applicazione), già aboliti nel 2017. Questa forma di “contratto” permette ai datori di riconoscere al dipendente solamente quattro ore lavorative per ogni giornata (nella bozza di Finanziaria se ne prevedevano tre[2]), laddove con altre forme contrattuali “meno agili” probabilmente non sarebbe stato così facile riuscirci. Un incentivo al lavoro grigio, dunque.

Una politica del genere non è smaccatamente piccolo-borghese ma punta piuttosto a ritardare lo scoppio della contraddizione con i grandi attori delle filiere agroalimentari, preparando al contempo un contesto più adeguato, regolamentato e uniforme che, almeno sulla carta, in futuro sarà più appetibile per imprese leader nel settore che vogliano controllarlo direttamente tramite politiche di appalto ed esternalizzazione, per concentrare ancor di più i profitti nelle fasi a maggior valore aggiunto della filiera e per massimizzare il tasso di valorizzazione dei capitali e la velocità di rotazione, perseguendo obiettivi di sincronizzazione e implementazione di filiera.

Dunque, se è vero (come dice Pasquale) che con la sua politica fiscale il Governo accorre in aiuto dei piccoli e medi imprenditori, è vero altresì che il quadro generale e gli sforzi di bilancio più importanti sono comunque tesi a sostenere la grande imprenditoria e i progetti imprenditoriali strategici, com’è ovvio che sia per ogni capitalismo “maturo”. Dal punto di vista strettamente politico, infatti, il tentativo è di estromettere il PD e gli altri partiti e accreditarsi come Governo della nazione, Governo in grado di garantire l’unità del fronte imprenditoriale anche alle soglie di un periodo che si preannuncia potenzialmente critico e pieno di pericoli. Le iniziative spot di sostegno al reddito familiare, le azioni congiunte fra istituzioni e imprese, l’idea dell’unità nazionale nei confronti delle “comuni” difficoltà… in poche parole: l‘ostentata capacità (sia pur fittizia) di tutelare il potere d’acquisto dei ceti popolari tramite la collaborazione col tessuto imprenditoriale… Ebbene, questo ingrediente consente alle forze di governo di accreditarsi simbolicamente come garanti della tutela di tutti i componenti della nazione. Ciò, unito a un approccio comunicativo che punta sulla sincerità (più che sull’onestà) e su un controllo mediatico e delle istituzioni che purtroppo pare tendere verso livelli inediti per gli ultimi decenni, consente al Governo di apparire intuitivamente “nuovo” e degno di fiducia, e alle politiche messe in atto di sembrare efficaci. Quando invece, anche evitando giudizi di merito, quello attuale è sembrato finora un Governo poco produttivo, relativamente “paralizzato” nell’azione legislativa e, soprattutto, assecondante nei confronti delle più generali dinamiche di pauperizzazione della popolazione lavoratrice.

Nel concludere ringraziamo il compagno per tutti gli spunti interessanti forniti, come anche quelli, che non abbiamo citato, sul reddito imponibile e la patrimoniale.

Rimaniamo disponibili e ben disposti al dialogo, su questo o altri argomenti.

 

[1] A fronte del +28,5% di fenomeni interpositori illeciti, alias caporalato, e del +11,8% di violazioni dell’orario lavorativo. Dati Cgil, op. cit., 2021.

[2] L’informatore agrario: Nel 2023 tornano I voucher in agricoltura, 6/12/2022.


 

* Emiliano Gentili e Federico Giusti sono intervenuti a più riprese su svariati argomenti; ne menzioniamo due: il documento programmatico della cgil inviato al Governo Meloni (https://www.lacittafutura.it/editoriali/le-proposte-della-cgil-per-un-accordo-col-governo-meritano-di-essere-analizzate- e-contestate-con-rigore-analitico) e un’analisi dettagliata sulle pensioni (https://www.lacittafutura.it/video/pensioni-di-chi-%c3%a8-la-responsabilit%c3%a0-del-buco-di-bilancio).

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