Patriarcato o lotta di classe?

Dove ci sta portando la rivoluzione culturale per educare non uomini pensanti ma soggetti calcolanti esecutori della propaganda?

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Patriarcato o lotta di classe?


di Angela Fais per l'AntiDiplomatico

La morte di Martina Carbonaro, uccisa a soli 14 anni dal fidanzato di 5 anni più grande di lei, è stata subito ricondotta al bieco maschilismo della cultura patriarcale dal mainstream e dal mondo politico, ritenendo unanimemente la soluzione risieda nell’introduzione della educazione sentimentale nella scuola che dovrà diventare l’avamposto di una vera e propria ‘rivoluzione culturale’. Naturalmente non sono ammesse altre interpretazioni. Chi ha sottolineato l’assurdità di un fidanzamento a 12 anni è stato accusato addirittura di “colpevolizzare la vittima”. Sembra invece necessario ribadire a gran voce che a 12 anni si è ancora bambini, non adulti; al massimo si può essere considerati ragazzini.

Eppure oggi i bambini sono trattati da piccoli adulti. E’ curioso a tal proposito che si punti sempre il dito contro il patriarcato e persino contro ogni uomo, ritenuto colpevole per il solo fatto di appartenere al genere maschile per poi concedere ai bambini libero accesso a internet dove possono consumare contenuti di ogni genere, anche estremamente violenti o di natura pornografica. Eppure è risaputo che la pornografia offra una immagine della donna come mero oggetto. Tuttavia sul banco degli imputati troviamo sempre e solo la cultura tossica di un fantomatico patriarcato. Benché quindi si sia andati incontro a una inquietante adultizzazione dell’infanzia, nonostante l’età del primo rapporto si sia molto abbassata e per molti si attesti proprio attorno a 11/12 anni, non si corre ai ripari. La disfunzionalità però non li rende adulti, a meno che non si voglia sdoganare e normalizzare l’ipersessualizzazione dei bambini. Di conseguenza dovremmo normalizzare anche altre atrocità e smettere di scandalizzarci quando ad esempio si parla del fenomeno delle spose bambine. Invece lì si fa entrare in azione il doppio standard a sanare ogni incoerenza.

Trattare i bambini da adulti consentendogli di uscire senza orari, pernottare fuori casa, bere alcolici è uno stile educativo oggi largamente diffuso che non può essere avallato; non perché siamo bigotti ma perché si vuole perseguire una crescita sana e armonica del bambino secondo quanto previsto dalle tappe evolutive. Genitori incapaci di proteggerli stanno cancellando l’infanzia dalla vita dei figli che vengono gettati nel mondo degli adulti anzitempo. Acconsentire a tutte le richieste dei figli è deleterio. La libertà non è un dono, regalarla equivale a caricare i figli di pesi troppo gravi che dei bambini non sono in grado di gestire. La libertà non è il regno del capriccio in cui si può fare tutto ciò che si vuole, ma comporta delle responsabilità e dei precisi doveri. Tutto questo naturalmente non può essere gestito da bambine preadolescenti. Detto ciò comprendiamo che la soluzione non risiede nell’introduzione a scuola di nuove materie e che il problema è prima di tutto in seno alla famiglia.

Si badi bene: è in atto una manovra dai fini ben precisi che consiste nell’ esautorare e deresponsabilizzare i genitori per poi affidare il compito dell’educazione in toto alla scuola che mano a mano finirà per avere in carico l’esclusiva dell’educazione dei nostri figli e sempre meno la loro istruzione.

Ma oggi è persino diventato obsoleto parlare di istruzione a scuola. A prevalere quasi esclusivamente è oramai la dimensione educativa, con un’ educazione che a ben vedere si configura sempre di più nella divulgazione e nella promozione di una determinata ideologia, correndo il rischio di mutarsi in una propaganda nei confronti della quale si avrà sempre meno diritto di replica essendo oramai la scuola divenuta depositaria delle funzioni educative ed essendo i suoi programmi frutto del lavoro di esperti che in quanto tali godono della massima, incontestabile autorevolezza.

In realtà il denominatore comune di questi delitti spesso è un contesto culturale ed economico povero e negare e occultare il tema di classe con l’urgenza di una rivoluzione culturale risulta funzionale a diversi obiettivi. Innanzitutto innescare una guerra tra i sessi tramite il vecchio ma efficace ‘divide et impera’. Cancellare il tema di classe con l’urgenza della introduzione della educazione sessuale nelle scuole, come peraltro previsto dalle linee guida dell’OMS, consente poi di ignorare che queste tragedie sono anche il portato di situazioni sociali estremamente problematiche e difficilmente risolvibili con i provvedimenti auspicati sinora. Quando inoltre si parla di educazione al consenso- già la denominazione suona sinistra- emerge immediato un cortocircuito. Appare un controsenso educare al libero arbitrio tramite l’insegnamento di una materia specifica. Difatti il prestare consenso scaturisce dall’aver maturato riguardo i temi in questione una sensibilità e responsabilità che si costruiscono nel tempo e nel rispetto di un sano percorso di crescita grazie alla graduale acquisizione di una maturità che ha potuto fare affidamento su figure autorevoli e riferimenti saldi che oggi mancano e non potranno certo essere sostituite dalla educazione sessuale a scuola. La capacità di dire no è legata inestricabilmente alla libertà che matura nella responsabilità e nella presa in carico di precisi doveri. Se però sleghiamo il consenso da questo contesto rischiamo di appiattire il suo esercizio nel rispetto di un vademecum eteronomo facendolo scadere a mero lavaggio del cervello e appiattimento del senso critico, altro obiettivo centrale della ‘rivoluzione culturale’ annunciata. Non a caso e proprio contestualmente alla lotta al patriarcato e al pregiudizio di genere si inserisce la delirante riforma della scuola che vede la promozione e l’ascesa delle materie STEM da preferire a quelle umanistiche sulla scorta di una serie di motivazioni ridicole oltre che prive di fondamento.

Nonostante in Italia il numero di donne laureate sia superiore agli uomini si sostiene follemente che per raggiungere la parità di genere bisogna abbattere il divario tra maschi e femmine nelle materie stem. Sui siti Invalsi e Save the Children, si afferma che il divario di genere sarebbe maggiore al sud Italia in cui queste materie sono meno scelte. Questo dato territoriale viene capziosamente legato a uno stereotipo di genere. Riconnettere il perché di questa scelta a fattori pregiudiziali legati a degli stereotipi di genere e alla arretratezza culturale sembra quantomai azzardato tanto più che al sud il liceo più scelto è il classico. Strumentalizzando il presunto patriarcato si cela l’ennesimo attacco alla cultura classica e a quello studio che “istruendo educava”, per dirla con Gramsci, consentendo la costruzione di un senso critico e di uno sguardo autonomo nei confronti del mondo. Nelle materie scientifiche prevale il calcolo. Calcolare è pensare con le pietre, diceva qualcuno forse esagerando ma non mentendo. Se la scuola si spinge sempre più in fondo a un orizzonte calcolante, puntando sull’informatica e sulla intelligenza artificiale a scapito di insegnamenti umanistici come la filosofia o il latino o il greco lasciando da parte il versante umano, chi sarà incaricato a dare le risposte che gli adolescenti cercano? L’intelligenza artificiale? 

E’ chiaro che l’obiettivo non è educare uomini pensanti ma soggetti calcolanti. Il monito di Dante: “nati non fummo per viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza” oggi viene cestinato a favore degli algoritmi della intelligenza artificiale. Le materie umanistiche messe ai margini, dichiarate inutili e addirittura connesse ai pregiudizi di genere. Delirante e folle. Rigettare la cultura umanistica e scoraggiare gli studenti a sceglierla oltre che criminale è funzionale a tirar su generazioni di esecutori. Ma a salvare questi ragazzi non saranno le discipline Stem, né l’Intelligenza Artificiale, né corsi di educazione sessuale o una educazione al consenso che fa perno su un decalogo ideologico.

Angela Fais

Angela Fais

Laureata in filosofia del linguaggio alla Sapienza di Roma e Dottoressa in psicologia scrive per varie riviste e collabora con l'Antidiplomatico

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