"Mal di Scuola": perché il ministro Valditara ha poco di cui rallegrarsi

Secondo un ultimo studio indipendente oltre la metà degli studenti italiani sperimenta nervosismo e malessere mentre studia. E sui dati della "dispersione" il ministro Valditara dimentica la questione più importante

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"Mal di Scuola": perché il ministro Valditara ha poco di cui rallegrarsi

 

di Angela Fais per l'AntiDiplomatico 
 
 
In molte regioni d’Italia la scuola è già iniziata mentre per altre restano gli ultimi giorni di vacanza. Stando al Rapporto 2025 diffuso dall'Istituto di Ricerca Invalsi la dispersione scolastica è in calo ed è passata dal 12,7 del 2021 all'8,3 – 8,5% del 2025. Dati confermati anche dal rapporto Ocse 2025 reso pubblico il 9 settembre e esposto dal Ministro Valditara che orgoglioso magnifica i progressi dell’Italia nella lotta alla dispersione, progressi che anticiperebbero persino gli obiettivi fissati dal’Unione Europea. 

Peccato però che i dati si riferiscano alla dispersione scolastica esplicita, quella relativa all’abbandono del corso di studi. Cresce di contro la dispersione implicita ossia la percentuale di studenti che concludono il percorso senza raggiungere gli obiettivi minimi caratterizzandosi in molti casi come veri e propri analfabeti funzionali. La crescita di quest’ultima è però particolarmente indicativa giacché è essa a fotografare la salute del nostro sistema educativo e a dirci che si tratta ancora una volta di una questione di classe. A restare indietro infatti sono coloro che hanno genitori con basso livello di istruzione, fattore che rispecchia e cementa le disuguaglianze sociali. I figli di genitori con bassi livelli di istruzione hanno molte meno probabilità di laurearsi: appena il 26% rispetto al 70% dei coetanei con almeno un genitore laureato. Dati estremamente significativi e per i quali non c’è molto da esultare soprattutto se consideriamo che il fenomeno del mal di scuola che oggi è stato ribattezzato “ school avoidance ”, adoperando ancora una volta lo spregevole gergo, è in spaventoso aumento.

Stando al report dell’organizzazione italiana indipendente “WEWORLD” la scuola italiana vanta il sistema scolastico tra i più stressanti al mondo. Emerge infatti che oltre la metà degli studenti sperimenta nervosismo e malessere mentre studia. Si va dal mal di pancia, nausea e mal di testa sino agli attacchi di panico e agli atti autolesionistici. Dobbiamo fermarci e considerare che il calo della dispersione esplicita è davvero una magra consolazione se poi di contro la scuola diventa luogo di malessere, disagio e sofferenza profonda per gli studenti, grandi e piccoli. E’ evidente che il nostro è un sistema educativo fallimentare. Sempre più spesso la modalità attraverso cui oggi si esprime il disagio in adolescenza non passa attraverso la contestazione ma attraverso la sparizione, l’abbandono, gli attacchi al corpo, il ritiro sociale. Non trovando senso nella scuola i ragazzi si sottraggono a essa facendo salire la percentuale di assenteismo che negli USA, il nostro modello di riferimento, raggiunge il 26%. La scuola non viene vissuta come utile alla crescita in quanto troppo incentrata su un sistema di apprendimenti che di fatto è letteralmente antievolutivo. Riscontro di quanto appena detto lo troviamo nelle parole della Dott.ssa Elena della Rocca, pedagogista Clinica, pedagogista curativa e socioterapeuta che lavora come libera professionista in collaborazione con scuole, famiglie, servizi sociali, medici e logopedisti.

Proprio relativamente al mal di scuola, dice la Dott.ssa Della Rocca “è fondamentale accendere la motivazione negli animi dei bambini e dei ragazzi, entusiasmarli. Per riuscire in questo intento è importante muoversi in relazione a due punti nodali: portare incontro dei contenuti adeguati alla loro età e farlo nella modalità più opportuna”. Seguendo questi due piani può innescarsi quell’interesse, quel fuoco sacro del sapere che poi in qualità di educatori bisogna essere abili a conservare nel tempo. “Relativamente all’età - continua la Dott.ssa Della Rocca- spesso accade che i contenuti che si portano incontro ai bambini non siano adeguati. In prima elementare spesso la maggioranza dei bambini hanno solo 5anni, non arrivano a 6. Moltissimi di loro non hanno ancora avuto la possibilità di terminare quello sviluppo corporeo che si compie entro il primo settennio, tappa fondamentale che consentirà in futuro una completa capacità di apprendimento che non presenti difficoltà e soprattutto consenta di contenere intelligenza emotiva e cognitiva. Il corpo va preparato e rispettato. Quando però un bambino va a scuola precocemente non ha il tempo di sviluppare i sensi né la sua propriocezione e il suo equilibrio. Se spesso vediamo che in prima classe non sono capaci di star seduti, completare un compito e non hanno sufficiente capacità di concentrazione non è perché “non sono scolarizzati”, come si sente ancora dire, ma perché son bambini precocizzati che poi trascinano i loro problemi sino alle scuole superiori. Bisogna chiedersi di cosa ha bisogno ancora questo bambino? Se invece si impongono apprendimenti standard si conferma l’idea di voler ‘formare’ un piccolo adulto e il bambino resta schiacciato. Insisto sul fatto che tutta l’impostazione scolastica e non, anche dei corsi sportivi e musicali delle attività extra-scolastiche pomeridiane, spesso è improntata non su quel che porta il bambino ma su quello che l’adulto si aspetta da lui. Questo innesca una richiesta di prestazione che il bambino recepisce come urgente e alla quale aderisce pienamente per non deludere le aspettative. Tutto ruota attorno alla prestazione, ai voti, al risultato. Da qui l’ansia di prestazione e la conseguente chiusura qualora non sia in grado di sostenere la prova con esito positivo. Il bambino si chiude perché il mondo gli è venuto incontro troppo presto e ha paura. Da qui appunto il rifiuto oppure prestazioni dai livelli elevatissimi che però poi alla lunga creano scompensi emotivi e sociali importanti”. 

Ci riporta la sua esperienza la Dott.ssa Della Rocca: “Ho seguito e seguo molti adolescenti che hanno vissuto questo non ‘esser visti’ da bambini, che non hanno sperimentato la loro fanciullezza col corpo e col gioco, il luogo per eccellenza dell’ apprendimento emotivo, cognitivo, sociale, relazionale. Quello sul mal di scuola è un argomento vastissimo: anche l’enorme mole di lavoro rappresentata dai compiti a casa genera mal di scuola che quindi non va affrontato solo dal punto di vista di una pedagogista come me- dice la Dott.ssa- ma anche da altre prospettive, bisogna votarsi ad un approccio interdisciplinare. Coinvolgere diversi punti di vista: medico, psicologico, didattico. La carta vincente oggi, quello che può davvero cambiare qualcosa è la sinergia tra gli educatori, famiglia inclusa. Le professioni devono interfacciarsi per accogliere il bambino e la sua fanciullezza. E’ difficile fare scuola oggi senza far venire il mal di scuola ai bambini. Lavorando con l’interdisciplinarietà bisogna mettere al centro il bambino osservando in lui sia l’essere umano nel rispetto delle sue tappe fisiologiche evolutive sia il singolo bambino nella sua individualità, nel suo qui ed ora. Quell’essere umano che ho di fronte va soprattutto visto e considerato in base al fatto che oggi operiamo in contesti culturali molto variegati e multietnici”, conclude la Dott.ssa Della Rocca.

Il fulcro di tutti gli interventi deve quindi sempre ruotare attorno alle esigenze autentiche del bambino. Ma questo lavoro di equipe viene realmente fatto? e se si in quale modalità?

Sorge forte il dubbio infatti che gli interventi canonici che di norma pure promuovono la collaborazione tra gli esperti mirino però ad affrontare la questione come se il problema fosse ‘il problema del’ bambino o del ragazzo, senza mettere in discussione e senza contestare il sistema profondamente disfunzionale che di fatto ha prodotto quel disagio. Così l’intervento si configura diversamente ed è volto produrre un semplice adattamento al sistema da parte del bambino. Ma in tal caso qualsiasi forma di intervento diventa iatrogeno e mai risolutivo e autenticamente terapeutico.

Angela Fais

Angela Fais

Laureata in filosofia del linguaggio alla Sapienza di Roma e Dottoressa in psicologia scrive per varie riviste e collabora con l'Antidiplomatico

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