Pasolini e il genocidio culturale: il fil rouge che ci affratella alla Palestina

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Pasolini e il genocidio culturale: il fil rouge che ci affratella alla Palestina


di Angela Fais

Era il 1974 quando Pasolini parlava di genocidio culturale e di distruzione e sostituzione di valori attuata nella società italiana ‘senza carneficine e fucilazioni di massa’, mirante alla soppressione di larghe zone della società stessa; genocidio a opera della borghesia nei confronti del sottoproletariato. Una sostituzione di valori che avveniva per mezzo di una persuasione occulta esercitata in primis dai mezzi di comunicazione, in testa la televisione. I modelli erano quelli proposti dalla pubblicità che promuoveva il modo di vita piccolo-borghese. Pasolini nei suoi Scritti Corsari oltre alla omologazione prodotta dal totalitarismo consumistico scrive della “tragedia della perdita del dialetto”, della ricchezza viva dei dialetti a favore della lingua nazionale. Ci parla di una lingua defraudata della propria capacità linguistica sino all’afasia, una vera e propria ‘nevrosi afasica’ che dice tutto come se tutto fosse ‘parlabile’. 

Oggi questo stato di cose purtroppo è massimamente in auge, totalmente accettato, consolidato, aggravato dalla subalternità agli Usa che irrevocabile ci inchioda alla nostra condizione coloniale in cui a perdersi è via via la nostra cultura. Una condizione che nel corso di decenni ha prodotto un mutamento antropologico drastico, radicale e trasversale perché riguarda tutte le classi e non solo le masse contadine o il sottoproletariato. Questa colonizzazione grazie a un’omologazione totale porta avanti un vero e proprio genocidio culturale senza dover ricorrere alla plateale efferatezza, alla brutalità disumana adottata in Palestina sistematicamente da oltre 70 anni. In entrambi i casi però si mira alla cancellazione, alla sparizione della cultura e della identità dei popoli. Non dimentichiamo che anche noi, seppur diversamente,  subiamo un’occupazione militare che in alcuni luoghi nevralgici del Paese compromette nettamente la qualità della vita di chi li abita, ne è un esempio l’isola di Lampedusa ridotta a frontiera militarizzata. Certo è un genocidio ‘limitato’ il nostro, genocidio culturale appunto giacché noi non viviamo bombardati nelle tende ma viviamo in una gabbia ideologica alla quale oggi siamo quasi del tutto assuefatti grazie a un’operazione strategica attuata nell’arco di decenni e decenni. E’ sufficiente una semplice passeggiata limitandosi a guardare le insegne pubblicitarie per constatare che almeno otto su dieci sono in inglese. A questo corrisponde un’americanizzazione totale della nostra società che penetra e sostituisce gli archetipi che animano la nostra cultura, stravolgendo in toto il nostro stile di vita. Dalla tavola alla scuola a ogni ambito della nostra vita e del nostro pensiero il nostro immaginario è colonizzato da luoghi comuni, omologati e omologanti: noi conosciamo il sapore di una colonizzazione che se pure è vero che si declina diversamente dura ormai da oltre 50 anni.

C’è quindi un fil rouge che unisce la barbarie, la crudeltà e la ferocia del genocidio in Palestina con la nostra vita che si svolge appiattita nella banalità e nella noia dell’ omologazione in questa piccola fetta di mondo che gode di ogni comfort. Tenere l’attenzione su questo filo non è negare l’abominio del genocidio palestinese ma portarlo in evidenza mostrando come altrove, anche in casa nostra seppur in modalità molto diverse, si attuino progetti egemonici della stessa natura.

Per questo è importante che a tutti coloro che sostengono l’insensatezza di una protesta contro il genocidio in Palestina e contro l’occupazione sionista sia mostrata l’esistenza di questo filo rosso che ci affratella profondamente alla Palestina. Se la Palestina sembra loro lontana gli si ricordi che Israele invece è vicinissimo. L’Italia infatti negli ultimi tre anni ha dato il via a un’accelerazione senza precedenti nella cooperazione con Israele firmando anche l’accordo per un partenariato che gli concede di fatto l’appalto della nostra cybersicurezza.  

La Flottilla e la  solidarietà alla Flottilla sono state l’ innesco di una grande protesta che ha rapidamente infiammato gli animi e riempito le piazze di tutta Italia come non accadeva da tempo immemore. Oltre cinquecentomila persone a Milano e più di due milioni in tutta Italia. Sono questi i numeri delle manifestazioni che si stanno tuttora svolgendo nelle principali città. Da Milano a Roma dove erano almeno 300mila, sino a Palermo dove la manifestazione ha visto la presenza di più di 30mila persone, cifra record per una città che di solito resta molto tiepida rispetto ai cortei.

La protesta infuoca le piazze e dalla solidarietà alla Flottilla divampa infuocata sull’efferatezza dell’occupazione israeliana sino alla dura contestazione al nostro governo, alle sue politiche e alla sua complicità con Israele. Divampa in fretta, di piazza in piazza, di città in città e con gli scioperi nazionali che stavolta non si fermano semplicemente alla rivendicazione dei diritti dei lavoratori o degli studenti, diviene pervasiva. Pervasiva anche sotto un profilo tematico. Sull’onda della solidarietà alla Flottilla si è costituita infatti una soggettività politica di più ampio respiro per cui ciò che più rileva rispetto alle manifestazioni oceaniche non è soltanto il dato numerico molto alto ma proprio il fatto che questa protesta riscriva il piano della contestazione in un campo più largo, non limitato al semplice orizzonte lavorativo o alle condizioni degli studenti ma dia vita appunto a una soggettività politica che si declina nei grandi temi dell’umanità diventando coscienza collettiva. 

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