L’ONU contrario alla volontà popolare libica
Lo scorso settembre 2022, dopo quasi un anno di carica vacante, è stato eletto il nuovo inviato speciale per la missione delle Nazioni Unite in Libia UNSMIL: Abdoulaye Bathily, diplomatico senegalese.
Questo lungo periodo di mancata convergenza a livello internazionale su chi avesse dovuto guidare la missione è coinciso con le mancate elezioni del dicembre 2021, preparate da lungo tempo ed infine annullate ad una settimana dal voto per impedire a Saif Gheddafi, figlio del colonnello, dato abbondantemente oltre il 50% in tutti i sondaggi, di diventare presidente della Libia.
Da quando il diplomatico senegalese si è dunque insediato, ormai 7 mesi fa, a livello internazionale si sono riaccese le speranze di una “soluzione” della faccenda libica.
I Libici non hanno posto grade fiducia, avendo individuato da tempo proprio nelle Nazioni Unite, che riconoscono il governo illegittimo di Dabaiba a Tripoli, la causa dei loro mali.
Infatti, unico caso al mondo, in Libia il governo riconosciuto a livello internazionale (quello di Dabaiba, a Tripoli) non ha la fiducia del Parlamento votato dai Libici, mentre il governo che ha la fiducia del parlamento (il governo Bashagha) non è riconosciuto dalla comunità internazionale.
IL TOPOPLINO DI BATHILY
Dopo lunghi mesi di colloqui con le parti, in questi ultimi giorni il volitivo e serioso diplomatico africano ha presentato la sua “road map” per giungere, secondo le sue intenzioni, alle elezioni già nel 2023.
"Abbiamo presentato una serie di raccomandazioni che porteranno a una tabella di marcia per lo svolgimento delle elezioni nel 2023”, ha dichiarato. “Le istituzioni legittime elette sono ciò che porterà alla stabilità in Libia. Abbiamo aspirato a raggiungere questo obiettivo e ci sono molte aspettative sul processo elettorale attraverso il dialogo politico”.
Questa frase, tuttavia, ha fatto insorgere la maggioranza dei Libici.
Gli ha infatti risposto il deputato Jibril Awhaida, membro di quella Casa dei Rappresentanti che è l’unica camera del Parlamento votata dal popolo libico, di stanza a Bengasi perché mai in grado di insediarsi a Tripoli sin dal 2014 per l’opposizione delle milizie irregolari che controllano la capitale.
Nelle dichiarazioni alla stampa, Awhaida ha sottolineato che "Bathily cerca di controllare la sovranità nazionale in modo che la Libia rimanga ostaggio delle fasi di transizione. L’iniziativa di Bathily rientra nel quadro del dirottamento della soluzione a guida libica e dell'aggiramento dei poteri del Parlamento del Paese. La stesura della legislazione per il processo elettorale è di esclusiva competenza del Parlamento”.
L’atteggiamento di Bathily insomma, che non si discosta dai suoi predecessori, presume che siano le Nazioni Unite (o meglio le grandi potenze occidentali) a decidere le sorti del Paese.
Non solo. L’inviato speciale delle Nazioni Unite, con quella dichiarazione in cui afferma che le “istituzioni legittime” (prossime elette) condurranno il Paese alla stabilità, di fatto delegittima le attuali istituzioni, votate dai Libici, esautorando il volere del popolo libico.
La critica di fatto del diplomatico senegalese si rivolge all’enorme lasso di tempo intercorso tra le ultime elezioni (2014) e il momento presente. Dunque, secondo il suo parere, ormai la legittimità dei deputati della Casa dei Rappresentanti, per quanto gli unici votati dal popolo, sarebbe scaduta.
Sempre Awhaida ha però così risposto: “Se Bathily dice che le istituzioni hanno perso la loro legittimità, allora che ci porti alle elezioni oggi prima di domani e lo accettiamo”.
Già, sennonché le regole per le nuove elezioni le vuole scrivere Bathily, che dopo profonde riflessioni lunghe diverse mesi ha partorito il topolino della medesima agenda americana di sempre: Saif Gheddafi e Khalifa Haftar devono essere esclusi dalla corsa.
“Chi risolve la questione della candidatura militare o della doppia nazionalità è la gente nelle urne”, gli ha risposto sempre il deputato Awhaida. “C'è un tentativo sostenuto da forze esterne che non vuole elezioni presidenziali, ponendosi contro il desiderio di 2,8 milioni di libici iscritti alle elezioni”.
UN APPELLO POPOLARE CONTRO I COLONIZZATORI
E così il popolo libico si è mosso. E’ stato immediatamente steso un appello alle Nazioni Unite e ai governi europei, americano e a quelli di Turchia, Emirati Arabi e Qatar (insomma tutti i migliori nemici del popolo libico), in cui si afferma un principio elementare: se a Tripoli vige un governo illegittimo e gli interlocutori politici sono milizie armate dai Paesi stranieri per il controllo della Libia e il saccheggio del petrolio, precisamente, che tipo di convergenza è possibile in nome del popolo libico?
In altre parole: se i gruppi armati di Tripoli richiedono l’esclusione di Saif Gheddafi dalla corsa elettorale, che autorità hanno per far valere la loro richiesta di fronte alle Nazioni Unite, quando questa richiesta va contro la volontà del popolo libico?
Che il messaggio dunque giunga chiaro anche ai molti commentatori distratti e complici europei che si ostinano a parlare di sforzi per il dialogo tra i Libici: i Libici sono già d’accordo da molto tempo, nessun altro dialogo è necessario e certamente le milizie di Tripoli non possono mai essere un interlocutore.
Certo, difficile fare digerire questa posizione ai governi europei che incessantemente sostengono e finanziano quei gruppi armati e quelle istituzioni fantoccio che li rappresentano, quel governo Dabaiba con il quale, giusto qualche settimana fa, la premier Meloni ha firmato un contratto da 8 miliardi, in realtà soldi freschi per le milizie.
POZZI CHIUSI E TRIVELLAZIONI IN MARE APERTO
A proposito di petrolio e gas libico. Nessuno si è chiesto come mai la Meloni abbia portato tutti questi soldi per andare a trivellare il mare davanti a Tripoli quando il gas libico già in produzione da decenni viene estratto nel cuore sahariano del Paese?
Semplice. Quella parte di Libia è sotto il controllo delle legittime autorità libiche, che ormai controllano l’80% del territorio, e per incrementare l’approvvigionamento di gas libico la Meloni avrebbe dovuto rivolgersi al governo Bashagha, quello non riconosciuto dalla comunità internazionale.
Siccome la totalità dei pozzi libici dunque ora non sono controllati dal governo usurpatore di Tripoli, l’unico modo è andare a cercare altro gas in mare aperto davanti a Tripoli.
E così la Petroleum Facilities Guard (PFG) libica ha minacciato di chiudere i giacimenti e i porti del Paese se le autorità non risponderanno alle loro "richieste legali”.
I membri della PFG hanno organizzato proteste in diverse regioni dell'ovest del Paese giovedì sera. Chiedono il pagamento degli stipendi arretrati (che dovrebbero essere pagati da Tripoli) e l'attivazione del sistema di assicurazione sanitaria.
IL DISCO ROTTO DEI DIRITTOUMANISTI
Come un disco rotto, con la pertinenza dei cavoli a merenda, si è fatta sentire Human Rights Watch (HRW).
La dichiarazione congiunta è stata firmata anche da Amnesty International, dall'Istituto del Cairo per gli studi sui diritti umani (CIHRS), dall'Istituto danese contro la tortura (DIGNITY), dal Defender Center for Human Rights (DCHR), dalla Commissione internazionale dei giuristi (ICJ), da Lawyers for Justice in Libya (LFJL), dalla Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà (WILPF) e dall'Organizzazione mondiale contro la tortura (OMCT).
I gruppi per i diritti hanno esortato l’HRC (il Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU) a "intraprendere un'azione credibile per garantire l'istituzione di un meccanismo indipendente che segua la situazione dei diritti umani in Libia, con un mandato e risorse sufficienti. Tale meccanismo dovrà monitorare, valutare, fornire sostegno e riferire sull'attuazione delle raccomandazioni della Missione d'inchiesta (FFM), in particolare per quanto riguarda la responsabilità delle gravi violazioni dei diritti umani nel Paese”.
Insomma, interferire sempre e comunque, con la scusa dei diritti umani.
Già. Peccato che le violazioni di cui parlano questi alfieri della globalizzazione siano compiute soltanto in Tripolitania, soltanto da quelle milizie sostenute dall’Occidente, soltanto da quei gruppi armati considerati interlocutori dall’inviato speciale dell’Onu Abdoulaye Bathily, soltanto da quei criminali le cui richieste vengono prese in considerazione dagli analisti europei in nome del dialogo tra i Libici.
La verità dunque è un’altra. I Libici, ancora una volta, vorrebbero votare già oggi. I governi europei, la Turchia, gli Emirati, il Qatar e gli Stati Uniti, vorrebbero prima che Saif Gheddafi venga estromesso dalle elezioni, insieme ad Haftar.
Insomma, la democrazia è un lusso che i Libici non si possono permettere.
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