L'Ecuador dice "No": crolla il piano di Noboa (e di Washington)

Il "No" alle basi militari straniere e all'abolizione dei fondi ai partiti segna una sconfitta epocale per il governo e un freno all'influenza di Washington. Trionfa la Costituzione di Montecristi

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L'Ecuador dice "No": crolla il piano di Noboa (e di Washington)


di Fabrizio Verde

Il presidente neoliberista ecuadoriano Daniel Noboa ha subito una battuta d’arresto. Il verdetto delle urne, espresso nel referendum del 16 novembre 2025, è stato chiaro e netto: gli ecuadoriani hanno respinto a larga maggioranza le sue proposte di riforma. Una doppia sconfitta, non solo per l’agenda interna di Noboa, ma anche per i piani strategici che gli Stati Uniti avevano riservato per il Paese sudamericano.

Al centro della consulta c’erano due questioni cruciali. La prima, di carattere politico-istituzionale, riguardava l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, da Noboa bollato come “zanzare che ti ronzano intorno portandosi via i tuoi soldi”. Quasi il 60% degli elettori ha scelto di preservare il ‘Fondo Partidario Permanente’, un pilastro della politica ecuadoriana dal ritorno alla democrazia nel 1979. Un principio, quello della parità di accesso alla competizione politica non condizionata dalla disponibilità economica, che gli elettori hanno considerato non negoziabile.

La seconda sconfitta, di portata ancor più ampia, ha un nome preciso: sovranità nazionale. La proposta di modificare l’articolo 5 della Costituzione per permettere una presenza militare straniera più incisiva è stata sepolta da un “No” che ha superato il 60%. Questo risultato non rappresenta solo un freno alle ambizioni del presidente Noboa, ma affonda un progetto geopolitico accuratamente costruito da Washington. L’amministrazione Trump, con l’attiva complicità della Segretaria alla Sicurezza Interna Kristi Noem - recentemente in visita in Ecuador -, vedeva nel paese andino il candidato ideale per un esperimento di “sicurezza integrata”. L’obiettivo era trasformare l’Ecuador in un laboratorio, in un “alunno modello” da equipaggiare e finanziare, in cambio di una cessione della sovranità in materia di difesa.

Il popolo ecuadoriano, nonostante la gravissima crisi di sicurezza e l’avanzare del narcotraffico, ha deciso di rigettare questo schema. Ha detto no a operazioni congiunte, all’uso di porti e aeroporti da parte di forze straniere e, soprattutto, a qualsiasi forma di base militare esterna, esplicitamente bandita dalla Carta Costituzionale del 2008. Un messaggio diretto al Pentagono, che riecheggia potentemente nella città di Manta, dove per un decennio ha operato una base statunitense e dove il “No” è stato ancora più sonoro.

A fare le spese di questo risultato, oltre a Noboa e a Washington, c’è anche l’indotto delle compagnie militari private. L’ombra di Erik Prince, fondatore di Blackwater, si era già allungata sull’Ecuador, con annunci di partnership strategiche e presenza in presunte operazioni anti-gang. Il fallimento del referendum pone ora serie limitazioni giuridiche alla possibilità che queste aziende possano operare come “supporto tecnico” con ampia autonomia.

La lettura di Correa: una "batosta tremenda" e il trionfo della Costituzione di Montecristi

L’ex presidente Rafael Correa, architetto della Costituzione messa in discussione, ha commentato l’esito della consulta popolare con parole di fuoco, definendolo una "tremenda batosta" per Noboa. La sua analisi va oltre la sconfitta politica e la trasforma in una questione di legittimità. Correa sostiene che il risultato sia la prova provante che Noboa non ha mai goduto del reale consenso popolare che i risultati ufficiali delle elezioni del 2023 gli avevano attribuito. "Come ti puoi spiegare che dopo sette mesi da una vittoria 'schiacciante', perda in modo altrettanto schiacciante una consulta popolare? È evidente che non ha mai ottenuto la percentuale che gli è stata assegnata. Si è trattato di un broglio", ha affermato senza mezzi termini.

Secondo l’ex leader della ‘Revolucion Ciudadana’, il popolo ecuadoriano ha percepito il referendum come una "manovra disonesta" per convalidare un governo considerato illegittimo. In questa logica, il voto del "No" è stato un voto di protesta generalizzato, un rifiuto categorico dell’intera operazione politica.

Ma il cuore del commento di Correa è la celebrazione del trionfo della Costituzione da lui voluta. Per lui, il risultato equivale a una “ratifica dopo 17 anni di vigenza” e un “episodio storico”: è la prima volta che una Costituzione ecuadoriana viene sostenuta dal voto popolare per due volte, nel 2008 e ora nel 2025. Quel "Sì" alla Costituzione è, nella sua visione, un "Sì" alla sovranità, ai diritti sociali e al "buen vivir", i principi cardine iscritti a Montecristi (città dove fu firmata la Costituzione il 28 settembre 2008). La vittoria, sottolinea, non è di un leader o di un partito, ma del popolo che ha difeso un documento che “contiene diritti che ci danno orgoglio” e ha eretto una barriera contro chi “cerca una Costituzione su misura dei propri interessi per privatizzare e svendere il paese”.

In pratica, per Correa e per i settori che lo sostengono, il referendum ha avuto l’effetto di una 'revocatori'a di mandato. Ha smascherato, a loro dire, un "imbroglione, bugiardo, un disastro di Governo”, la cui permanenza al potere è garantita solo dall’appoggio "dell'oligarchia, certe cupole militari, certe cupole religiose e ovviamente gli Stati Uniti”. Il voto non è stato solo un "no" a Noboa e alle basi straniere, ma un potente "sì" a un'idea di Ecuador sovrano

Fabrizio Verde

Fabrizio Verde

Direttore de l'AntiDiplomatico. Napoletano classe '80

Giornalista di stretta osservanza maradoniana

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