Le spese militari europee veleggiano verso il 5%

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Le spese militari europee veleggiano verso il 5%

 

di Federico Giusti

Il nodo politico all’orizzonte è stato esplicitato in queste ultime ore: la volontà del Governo è esplicitata ossia accrescere, già nel 2025 con la Legge di Bilancio per il 2026 da approvare entro il prossimo Natale, le spese militari, sarebbe solo l’inizio di un lungo percorso di continuo incremento degli investimenti bellici dentro quella economia di guerra che ormai sta prendendo corpo.

E davanti a questa tragica realtà il movimento contro la guerra, mai così debole, si divide scegliendo differenti piazze e cartelli organizzatori. Se da una parte è innegabile che il tema della guerra si presti a radicalizzare alcune posizioni in campo sindacale e politico presentando qualche area come egemone e radicale, i dati sulla adesione agli scioperi andrebbero pur sciorinati giusto per capire le irrisorie percentuali delle adesioni. Il problema non è organizzare scioperi ma farli riuscire, non saranno le fughe in avanti e le continue spaccature a restituire maggiore forza e credibilità ad una realtà sindacale e politica. Se davanti a una Finanziaria di guerra gran parte del mondo del lavoro è in silenzio e spettatore disinteressato la radicalità di alcune sigle sarà sufficiente?

Al contempo assistiamo nel campo opposto a percorsi altrettanto asfittici anche se debitamente mascherati da iniziative larghe ed inclusive, percorsi contraddittori e gestiti in chiave elettorale, iniziative destinate a clamorosi insuccessi  o a vendere l’immagine degli enti e delle comunità locali contrarie al riarmo quando invece sono direttamente coinvolti tra opere di compensazione (recupero edifici abbandonati o rifacimento di strade in cambio del sostegno alla costruzione di nuove basi militari) supporto tecnico alle infrastrutture militari.

Intanto il Governo potrebbe lavorare a un sostanziale divieto di sciopero nei porti e negli aeroporti e in ferrovia per motivi legati direttamente al trasporto della logistica militare facendo valere quel principio di segretezza che accompagna la sicurezza nazionale ed internazionale. A quel punto chi da decenni si nasconde dietro la Costituzione e l’articolo 11 dovrebbe almeno prendere atto di avere condotto migliaia di persone in buona fede in un vicolo cieco. Ma ove non dovesse arrivare un intervento legislativo ci saranno la Commissione di garanzia e il decreto sicurezza alcune norme del quale sono specificamente pensate per i movimenti contro la guerra nonostante quei movimenti abbiano spesso girato la testa dall’altra parte quando era il momento giusto per mobilitarsi.

La prossima Legge di Bilancio sarà una Finanziaria a supporto dell’economia di guerra, iniziare a ragionare su cosa fare nel prossimo autunno è più che mai necessario. E  parliamo non solo dell’Italia ma anche di altri paesi europei. E date simboliche come quelle del 4 Novembre potrebbero essere l’occasione propizia per contrapporsi all’economia di guerra, alla cultura giustificatrice dei processi di riarmo che poi andranno a circoscrivere anche gli spazi di libertà e di democrazia come si evince dal Pacchetto sicurezza e dalle minacce di intervento contro gli scioperi e i loro promotori.

Prima ancora di procedere con gli atti, con un testo di Legge ad opera del Governo, arrivano le solite narrazioni sul mondo  sempre «più brutale» a giustificare ingenti investimenti in difesa. Sono le parole di Macron in occasione dell’anniversario della presa della Bastiglia (14 Luglio 1789) , la classica vetrina per esaltare la potenza di fuoco francese e l’aumento della spesa militare di 6 miliardi di euro solo tra il 2026 e il 2027.

Dopo l’annuncio arriva il difficile, l’investimento non dovrà determinare nuovo debito per una economia francese già alle prese con innumerevoli problemi.

Il copione non è certo nuovo, basta esasperare il senso di pericolo per la Francia e la Ue derivante dalla Russia che fino a prova contraria storicamente venne aggredita dalla Francia due secoli e passa fa.

La spesa militare complessiva dovrebbe arrivare a 64 miliardi di euro aumentando di circa il 65 per cento solo tra il 2017 e il 2025, nell’arco di un decennio o poco meno sarà raddoppiata giusto per ricordare che le altre voci a Bilancio statale, le misure di sostegno ai salari alle pensioni e al welfare fino agli aiuti alle comunità locali, saranno ben poca cosa rispetto agli investimenti nel settore militari ai quali aggiungere tutti gli interventi atti ad ammodernare e potenziare l’industria di produzione militare, la tecnologia duale, la riforma del sistema militare per accrescere il numero delle truppe.

E quando Macron parla di indipendenza militare insieme all’indipendenza finanziaria la possibilità di tagli alla spesa sociale diventa sempre più forte.

Quanto avviene in Francia è già accaduto in Gran Bretagna (la attuale spesa militare pari al 2,5% dovrebbe salire a oltre il 3 solo a inizio 2029) e l’obiettivo del  3,5% del Pil per spese militare è tra gli obiettivi da perseguire già nel 2026 anche in Germania.

L’Italia arriva quindi a ruota di altri paesi europei dovendo fare i conti con i piani di risanamento del debito già concordati con la Finanziaria dello scorso anno, sorvegliata speciale della Ue nei prossimi sei anni

Alcuni analisti ipotizzano tuttavia l’aumento del debito con il beneplacito di Bruxelles pronta a rivedere tutti i suoi principi in nome della economia di guerra, prevedendo deroghe ai tetti di spesa e di fatto puntando, dopo anni di austerità, sull’indebitamento come strumento per la ripresa dell’economia, a fini di guerra, europea.

Il governo italiano  questo anno spende poco più del 2 per cento ma già con la prossima Legge di Bilancio accrescerà gli stanziamenti non solo dei capitoli propri del Ministero della difesa  includendo progetti che paradossalmente sono a carico di altri Ministeri come parte delle missioni militari all’estero e la cybersecurity.

Sono innumerevoli, da sempre, le spese militari non direttamente afferenti al Bilancio della difesa ossia gli  investimenti in armamenti, infrastrutture, cosiddette operazioni di peacekeeping, l’addestramento del  personale militare, il finanziamento di progetti di ricerca e sviluppo di nuovi sistemi di arma, quello che sappiamo è la necessità di trovare non meno di 7 miliardi di euro all’anno per il prossimo decennio portando la spesa dagli attuali 35 miliardi di euro a oltre 100. Ma alla fine le spese effettive in ambito militare saranno sempre maggiori di quelle ufficiali e dichiarate, l’esatto contrario di quanto avverrà invece con le risorse destinate a scuola, sanità e welfare che saranno le vittime sacrificali dei tagli indispensabili per abbattere i cosiddetti sprechi. Quello che fu un tempo la spending review presto sarà rappresentato dai tagli alle spese inutili e per giustificare la scure sulle spese sociali sarà indispensabile il supporto dei media, delle istituzioni alla propaganda di guerra.

 

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