Lavoro povero, anzi poverissimo
di Federico Giusti
Il monito del presidente Mattarella arriva con anni di ritardo, diremmo fuori tempo massimo e soprattutto in funzione di un intervento parlamentare per il quale è palese la indisponibilità della maggioranza e di ampi settori del mondo sindacale.
Il “lavoro povero” esiste da lustri, è stato rafforzato dal moltiplicarsi di appalti e subappalti, la logica della rappresentanza ha accresciuto a dismisura il numero dei contratti nazionali di riferimento ai quali poi si aggiungono i doppioni pirata siglati da sindacati della galassia autonoma. Ci sono milioni di dipendenti con una paga oraria inferiore a un ipotetico salario minimo e beneficiano non di contratti nazionali di comodo ma parliamo di quelli siglati da Cgil Cisl Uil.
Possiamo quindi asserire che il lavoro povero sia anche figlio della concertazione tra Governi e sindacati?
Ovviamente si pensando a quel variegato mondo di appalti e subappalti nei quali non solo la paga oraria è decisamente bassa ma nei quali il contratto di riferimento è ormai quello part time. Mai come in questi anni lavoratori full time hanno lamentato la perdita del potere di acquisto dei salari non arrivando alla terza settimana del mese, indebitandosi solo per fare la spesa.
E le conseguenze sociali sono sotto i nostri occhi con 5,6 milioni di cittadini che rinunciano a curarsi giudicando un lusso insostenibile la semplice salvaguardia della propria salute.
Qualche illustre giuslavorista ritiene il nostro ordinamento in possesso dei necessari anticorpi e dei presupposti necessari per affermare il salario minimo, si fa riferimento all’articolo 36 della Costituzione, alla retribuzione adeguata per “un’esistenza libera e dignitosa”.
Ma i principi costituzionali sono stati sufficienti fino ad ora per arrestare o perfino limitare il lavoro povero?
Risposta negativa, il richiamo alla Carta può servire per vincere qualche causa ma poi la soluzione viene demandata al legislatore che a sua volta rinvia alla contrattazione nazionale, i salari minimi in ogni settore vengono infatti stabiliti dai contratti collettivi sottoscritti dai sindacati rappresentativi che poi sono gli stessi ad avere avallato le basse paghe. E in nome della contrattazione nazionale molti sindacati hanno ostacolato perfino il dibattito attorno al salario minimo evitando di rimettere in discussione il loro stesso operato all’insegna della mera subalternità rispetto agli interessi datoriali e dei Governi di turno
Se le retribuzioni hanno perso per strada ogni aggancio al reale costo della vita, se per 25 anni sono stati siglati contratti con aumenti inferiori alla inflazione, se lo stesso meccanismo di calcolo degli aumenti si dimostra del tutto inadeguato possiamo quindi meravigliarci del lavoro povero che poi si accompagna al nero e alla precarietà?
Ci sono stati effetti reali dopo le sentenze della Cassazione di due anni or sono che sancivano la prevalenza dell’art. 36 Cost. rispetto alle tabelle salariali del Ccnl? A noi francamente sembra di no.
E in assenza di una reale presa sulla realtà gli esperti di diritto preferiscono concentrarsi sui testi sacri visto che dal mondo sindacale, quello rappresentativo almeno, la collaborazione non arriva, continuano a sottoscrivere accordi al ribasso con aumenti inferiori perfino alla inflazione calcolata con quel codice Ipca che non prende in esame l’aumento delle tariffe energetiche. Il vero problema è legato al mondo del lavoro, alla gestione degli appalti e dei subappalti che hanno oggettivamente favorito il lavoro povero al quale hanno contribuito a loro volta le dinamiche proprie della contrattazione, i meccanismi che allontanano i salari da ogni adeguamento al reale costo della vita.
In una società dove il sindacato ritiene da tempo inutile la lotta di classe sarà quindi possibile avanzare rivendicazioni per un salario equo e dignitoso? Noi pensiamo che ancora una volta si debba ripartire da lontano, almeno da quando un imperfetto Statuto dei lavoratori arrivava dopo due anni di mobilitazioni e scioperi, risultato della lotta di classe dei salariati contro i padroni. E. come allora. se vogliamo dignità salariale non resta che il conflitto sociale e nei luoghi di lavoro.