La sinistra, l'America, e l'Occidente

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La sinistra, l'America, e l'Occidente

 

di Giuseppe Giannini

Tutte le volte che sullo scenario politico appare una personalità degna di attenzione (per le qualità intrinseche, l'appartenenza o le promesse), puntualmente, assistiamo ad un eccesso di entusiasmo, che spesso poi verrà tradito dagli sviluppi successivi. E' innegabile che, accettare la competizione elettorale all'interno di un quadro predefinito (e borghese secondo Marx), voglia dire rispettarne anche le logiche sistemiche. Il nome nuovo è quello del neo sindaco di New York Mamdani.

La sinistra istituzionale, orfana di quegli ideali che ne hanno contraddistinto il cammino nei secoli scorsi è, salvo rare eccezioni, qualcosa di profondamente diverso oggi. Non parla più al suo popolo – la classe lavoratrice, gli emarginati, la lotta per l'emancipazione e i diritti – e, soprattutto, non osa. Ha deciso di accomodarsi all'interno di quelle stesse stanze che una volta voleva abbattere o riformare (il che equivale a sinonimo di inganno). Il modello competitivo americano, caratterizzato da una sfida, poco pluralista, a due, tra Democratici e Repubblicani, dopo la caduta delle esperienze orientali del socialismo reale è stato importato anche in quei Pasesi con una forte tradizione di sinistra.

Lo schema maggioritario - democratici o destre, laburisti o conservatori - ha imposto delle scelte alle varianti comunista e socialista, che cercavano, affannosamente, di rappresentare una coscienza di classe sparita all'interno di un verbo consumistico-individualista. I socialdemocratici della post-sinistra sono liberisti meno cattivi.

Ora, all'interno delle istituzioni rappresentative, e fuori, e dal basso, c'è bisogno di componenti in grado di farsi portavoce delle istanze conflittuali e, quindi, muovere per il cambiamento. E' l'unico modo per frenare lo strapotere del capitalismo, che permea e distrugge ogni angolo del vivente. Allo stesso tempo, urge un mutamento culturale. Una rivoluzione, che riporti al centro del discorso il concetto gramsciano di egemonia ( non a caso studiato anche dalle destre). Ben venga un radicale che non sia chic, ma viste le esperienze  passate di facce partite come destabilizzatrici e poi risucchiate dal sistema, non mi illudo.

Eppure, l'America del sindacalismo novecentesco, degli anarchici e dei comunisti ante litteram, molto prima dell'avvento del maccartismo e della caccia alle streghe, è stato un Paese nel quale queste pressioni sociali hanno inciso. Poi, all'indomani del secondo conflitto mondiale, e sino ai giorni nostri, è diventato l'impero delle libertà apparenti. Dove persone, economicamente influenti, ed entrambi i partiti sono stati gli artefici di guerre e del sostegno a dittature affini all'idea di supremazia americana. In base agli intenti la posizione di Mamdani appare diversa da Clinton, Obama, Biden. Più simile a Sanders ed Ocasio Cortez. Tuttavia, disturbare il manovratore, e cioè i molteplici gruppi di interesse che fanno la politica americana ( e non solo), le lobby, le multinazionali ed i centri di potere, più o meno occulti, non da ultima la pervicace "setta israeliana" potrà comportare, nella migliore delle ipotesi, danni di immagine.

Pensiamo a quanto accaduto qualche anno fa in Inghilterra al candidato laburista Jeremy Corbyn tacciato di antisemitismo (l'attualità di un accusa infamante che diventa l'arma di distrazione di massa per seppellire la verità). Anche in quegli Stati, storicamente abituati a componenti popolari, in grado di incidere sulle istituzioni come in America Latina, alla fine è successo che le pressioni esterne, i diktat commerciali (il ruolo del WTO, la rinegoziazione dei debiti in mano al FMI), gli attentati ed i golpe (i finanziamenti nordamericani agli oppositori dei governi democraticamente eletti ma a loro invisi, ed ai gruppi paramiltari) hanno impedito che si producessero delle vere e proprie svolte. Con l'unico obiettivo di accaparrare risorse e sacrificare i diritti delle popolazioni indigene.

Lì dove esiste ancora chi, ostinatamente, prova a resistere, pur con tutte le inevitabili ambiguità che scontano gli "osservati speciali" (Cuba, il Venezuela) ecco che la forza delle armi e dei golpe si affaccia alla porta. Ritornando al variegato e complesso mondo americano, che ha avuto ed ha persone di rilievo, innanzitutto in ambito culturale (Noam Chomsky, Angela Davis ecc.) e che conosce la forza dei movimenti (contro la guerra in Vietnam, quello altermondialista, Occupy Wall Street) la rivoluzione non sarà trasmessa in televisione (come recitava un brano di Gil Scott- Heron), ma iniziare a pensare e ad agire in modo diverso potrà incidere sul reale cambiamento. Amministrare, certo, è qualcosa di diverso, ma ci rimane, ancora una volta, solo la speranza.

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