La parata di Baku che umilia gli armeni

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La parata di Baku che umilia gli armeni


di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

Si è svolta sabato scorso a Baku una parata militare congiunta di Azerbaidžan, Turchia e Pakistan, dedicata all'anniversario della fine delle ostilità in Nagorno-Karabakh e considerata una «grave ingiustizia» nei confronti degli armeni da parte del deputato della Duma russa Konstantin Zatulin, che la giudica non solo come l'ambizione della leadership azera di «consolidare il proprio posto nella storia e prolungare l'euforia della vittoria», ma soprattutto la dimostrazione che tutti i discorsi di pace dei leader azeri, armeni e turchi non sminuiscono il fatto che «la nuova fase delle relazioni si basa su una grave ingiustizia».

La questione dei rifugiati del Nagorno-Karabakh e dei leader di Artsakh gettati in galera, ha detto Zatulin, conferma da sola che non si tratta di una nuova pace o di una nuova fase nelle relazioni: «é in gioco la rinuncia agli interessi dell'Armenia, perseguita dal governo Pašinjan a vantaggio di un percorso ben lontano dal rispetto della memoria delle persone che hanno perso la vita e di coloro che oggi soffrono».

D'altra parte, Igor Korotcenko, giornalista russo direttore della rivista “Difesa Nazionale”, ha definito la conquista dell'Artsakh da parte dell'Azerbaidžan «una guerra patriottica, che ha portato alla completa liberazione del territorio occupato dal nemico e al ripristino dell'integrità territoriale».

L'operazione “Pugno di ferro”, condotta sotto la guida del Presidente Il'ham Aliev, è «entrata nella storia dell'arte militare moderna come la prima guerra ad alta tecnologia con l'uso su larga scala di droni e l'attivo coinvolgimento di forze speciali» ha detto Korotcenko su “Baku TV”, aggiungendo che si è trattato di un «trionfo strategico sull'Armenia, che occupava il territorio azero da quasi 30 anni e aveva ignorato tutti i mezzi politici e diplomatici per risolvere il conflitto». A detta di Korotcenko, sarebbe stato proprio il «nazionalismo armeno e le sue rivendicazioni sull'integrità territoriale della RSS Azera a essere la causa principale del conflitto. È stata proprio questa politica miope e criminale dei nazionalisti armeni a innescare il crollo dell'Unione Sovietica, accompagnato da una serie di guerre che hanno portato dolore e sofferenza a molti popoli».

Da notare che Erevan è partner di Mosca nella Unione economica euroasiatica e nel Trattato di difesa collettiva (ODKB) ed è dunque quantomeno strano che tali affermazioni vengano da un giornalista russo, mentre lo scorso agosto, come ricorda Elena Ostrjakova su PolitNavigator, per dichiarazioni simili a quelle di Korotcenko, il politologo Serghej Markov era stato etichettato come “agente straniero”. Tra l'altro, nemmeno le relazioni fattesi “più calorose” tra Mosca e Baku, menzionate da Korotcenko, hanno significativamente mutato la retorica di Aliev che, intervenendo alla parata di sabato scorso, non ha menzionato direttamente la Russia, che si era impegnata per una risoluzione pacifica, ma vi ha alluso in modo piuttosto negativo. I risultati di lunghi negoziati sono stati pari a zero, ha detto; la ragione principale è che «l'Armenia non aveva alcuna intenzione di liberare volontariamente un solo palmo di terra. E alcuni stati che sostenevano l'Armenia le hanno fornito supporto politico, economico e militare. Volevano strappare la nostra terra ancestrale del Karabakh all'Azerbaidžan e annetterla all'Armenia», ha detto il presidente azero, che ha invece definito il presidente turco Recep Erdogan, presente alla parata, suo «caro fratello, il cui sostegno politico e morale ha dato forza e ispirazione al popolo azero».

In sostanza, dice però l'editorialista Boris Rožin sul videoblog armeno “Alpha News”, la sconfitta nella guerra del Karabakh mette in discussione la sopravvivenza dell'Armenia entro i suoi attuali confini. L'Armenia sta perdendo non solo «territorio, ma anche le posizioni che deteneva in Transcaucasia prima di Pašinjan. Ha perso non solo il Karabakh, ma anche le regioni di confine. È stata di fatto «costretta ad aprire un corridoio transfrontaliero che rafforzerà Azerbaidžan e Turchia. L'Armenia ha poco da guadagnarci, perché l'obiettivo primario è il rafforzamento degli scambi commerciali tra la Turchia e i paesi che fanno parte dell'Unione degli Stati Turchi», dice Rožin, osservando come il termine "Azerbaidžan occidentale" continui a essere utilizzato da Baku in relazione ai territori armeni, il che rende l'Armenia «uno Stato debole con confini non garantiti... la debolezza della realtà attuale minaccia sia l'esistenza dell'Armenia entro i suoi attuali confini sia, di conseguenza, le prospettive del popolo armeno».

E, d'altronde, è proprio il regime di Nikol Pašinjan che cala un pugno repressivo sulle forze d'opposizione armene. Uccisioni e  arresti di sindaci e capi di comunità, come avvenuto a Parakar, Gyumri o Musis; arresti di rappresentanti dei movimenti d'opposizione, quale “Mer Dzev”. Le accuse, apertamente fabbricate, parlano di “critica della politica estera” armena e “dichiarazioni filo-russe”. Evidente, come in vista delle elezioni del 2026 e facendo da reggicoda ail tandem turco-azero, Pašinjan sia ora impegnato in una purga totale. Le elezioni a Gyumri e Parakar del marzo scorso avevano dimostrato come il partito al governo “Accordo civile" non sia più in grado di mantenere il potere a livello locale con metodi legali: da qui, arresti e omicidi, che fanno da battistrada al prossimo ritiro della 102ª base militare russa a Gyumri, finora unica garanzia, per quanto labile, di protezione per gli armeni da una possibile aggressione azera sostenuta dalla Turchia.

Una repressione interna che fa il paio, a detta dell'ex ambasciatore con incarichi speciali e leader del partito “Armenia Illuminata”, Edmon Marukjan, con gli sforzi di Erevan per insabbiare i crimini dell'Azerbaidžan nel Nagorno-Karabakh, cui Baku e Ankara rispondono con il comune auspicio a che alle elezioni del 2026 si conservi l'attuale leadership armena. Su questa linea, i parlamentari filogovernativi presenti alla sessione di “Euronest” a Erevan si erano espressi contro una risoluzione sui diritti del popolo del Karabakh e, secondo Artur Khachatrjan, parlamentare della fazione di opposizione “Armenia”, i membri del partito governativo “Accordo Civile” hanno invitato gli eurodeputati a non votare a favore della risoluzione in difesa del popolo del Karabakh.

Il sostegno armeno a Baku, a detta di Marukjan, consiste nel mettere a tacere i problemi, ignorare le massicce violazioni dei diritti umani da parte dell'Azerbaidžan nel Nagorno-Karabakh e affermare che "la questione dell'Artsakh è chiusa". L'ex diplomatico si dice sicuro che l'attuale leadership armena non solleverà più le questioni riguardanti gli armeni del Karabakh, rendendosi con ciò complice dei crimini dell'Azerbaidžan.


FONTI:

https://am.sputniknews.ru/20251031/vlasti-armenii-skryvayut-problemy-artsakhtsev-rasschityvaya-na-podderzhku-baku-i-ankary-marukyan-95289073.html

https://politnavigator.news/zatulin-parad-v-baku-izdevatelstvo-nad-armyanami.html

https://politnavigator.news/triumf-i-voennoe-iskusstvo-vskrylsya-eshhjo-odin-rossijjskijj-ehkspert-voskhishhjonnyjj-alievym-i-azerbajjdzhanom.html

https://politnavigator.news/armenii-grozit-dalnejjshee-territorialnoe-usykhanie.html

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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