La occultata austerità salariale
Perché non si parla della erosione del potere di acquisto?
di Federico Giusti
Non solo il Governo ma anche autorevoli giuslavoristi ed economisti hanno, con troppa fretta, celebrato la uscita dalla crisi occupazionale e la ripresa del potere di acquisto dei salari.
Forse il desiderio di compiacere i dominanti salendo sul carro dei vincenti spinge a guardare solo ai dati recenti e assai parziali disattendendo quel principio scientifico che induce a verificare le previsioni facendo riferimento a un lasso di tempo decisamente maggiore.
Se nel 2024, le retribuzioni contrattuali nel settore privato sono aumentate del 4%, mentre l’inflazione si è attestata all’1%, non è tuttavia ipotizzabile ritenere l’incremento reale delle buste paga pari al 3 per cento. E non occorre grande acume o competenze per ricordare che i contratti nazionali fanno riferimento di solito a un triennio in cui il costo della vita, e la inflazione, sono cresciuti speditamente senza dimenticare i ritardi nei rinnovi contrattuali mai compensati da quella miseria denominata indennità di vacanza contrattuale, ritardi che acuiscono la perdita di potere di acquisto.
E a supporto del nostro ragionamento la tacita ammissione che alla fine la perdita del potere di acquisto c’è stata e il recupero è stato a dir poco parziale se pensiamo agli anni che vanno dal 2019 al 2024 con aumenti salariali, sempre nel privato, inferiori di 89 punti rispetto alla inflazione: nel migliore dei casi i salari crescono di circa l’8 per cento ma la inflazione arriva almeno al 17,4%.
Per il 2025 è previsto un aumento salariale medio del 2,3%, solo leggermente superiore alla crescita dei prezzi, in sostanza di parla di pochi euro, forse addirittura di centesimi stando alle previsioni migliori.
Questa premessa per ripetere in sostanza quanto abbiamo già asserito e scritto ossia che per 40 anni i nostri salari hanno subito una lunga e costante erosione per superare la quale sarebbero necessari aumenti superiori al 10 per cento annuo e almeno 3 tornate elettorali per recuperare almeno il terreno perduto rispetto ai lavoratori di altri paesi Ue.
Ma se una ipotesi del genere fosse praticabile l’economia italiana avrebbe dei margini di crescita oggi impensabili, saremmo tra i paesi più attivi nella deposizione di brevetti (e invece nel 2024 non siamo riusciti a realizzarne uno), una crescita di ogni settore dell’economia, capacità di innovazione tecnologica e una Pubblica amministrazione al passo con i tempi. E visto che sognare non ha un costo vanteremmo anche un sistema fiscale efficace con una quarantina di aliquote e aziende capaci di collaborare con lo Stato nella realizzazione di un nuovo piano casa.
La fantasia non ha prezzo ma ha il difetto di portarci lontano dalla realtà e quindi torniamo alle nostre considerazioni non prima di una piccola incursione nel sistema pensionistico: tra alcuni anni l’assegno previdenziale inizierà a calare pur innalzandosi gli anni di contributi, l’assenza di anni calcolati con il sistema retributivo, i periodi di precariato avranno effetti negativi. E pensiamo alle migliaia di lavoratrici e lavoratori per lustri con contratti part time che avranno una pensione a livello di quella sociale, presto lo Stato dovrà intervenire direttamente per scongiurare la discesa agli inferi degli anziani incrementando l’assegno pensionistico.
Nel biennio 2023–2024 sono stati rinnovati diversi contratti nel settore dell’industria, mentre in Italia i metalmeccanici portavano a casa un 5% di aumenti in Germania si chiudevano le trattative con percentuali assai maggiori (nell’anno di maggiore crisi, il 2024 eravamo all’8%, meno di quanto erano riusciti a strappare per il 2023. Se pensiamo ai settori di gas e acqua o alla estrazione dei minerali siamo attorno al 3,4 per cento per poi scendere a poco più dell’1% per edilizia ed igiene ambientale. Guardatevi l’aumento dei costi di tutti i prodotti energetici, dei trasporti e anche dei generi di prima necessità e potrete verificare quanti rinnovi siano avvenuti al ribasso, solo la servile miopia di qualche ricercatore asservito ai poteri datoriali potrà parlare di incremento retributivo superiore al tasso di inflazione con la conseguente crescita del salario reale.
Anche in questi ultimi anni non abbiamo arrestato la erosione del potere di acquisto, in alcuni casi, assai sparuti, l’abbiamo resa solo meno drammatica del passato.
E quindi agli economisti da strapazzo rispondiamo solo con qualche calcolo matematico realizzabile da studenti della scuola dell’obbligo.
Michele nel 2019 aveva un salario di 1.500 euro, se prendiamo i dati della inflazione oggi la sua busta paga, a fine 2024, avrebbe dovuto essere almeno di 1.761 euro a cui sommare eventuali accordi di secondo livello o incrementi derivanti da scatti di carriera.
Michele ha avuto il rinnovo contrattuale e gli aumenti percepiti includono alcuni benefit e il premio di secondo livello per arrivare complessivamente a un più 5 per cento visto che nella sua azienda si applica il Ccnl metalmeccanico.
Se invece avesse avuto un aumento del 9 per cento, il salario di Michele sarebbe nel migliore dei casi attorno a 1635 euro ossia quasi 130 euro in meno della cifra necessaria per conservare il potere di acquisto del 2019.
La sorte toccata al meccanico Michele è decisamente migliore di quella dei suoi amici di calcetto che lavorano nell’edilizia o nell’igiene ambientale con aumenti inferiori e quindi tutte le buste paga di questa comitiva hanno subito, chi più chi meno, una feroce erosione nel potere di acquisto.
Un semplice ed elementare calcolo matematico a cui vanno aggiunte le spese familiari in aumento, per una tac o una risonanza magnetica il servizio pubblico offre un posto tra 56 mesi quando forse sarà troppo tardi per ricevere cure efficaci salva vita. Tra visite e prestazioni in intramoenia Michele ha speso oltre 700 euro in meno di due mesi a cui aggiungiamo l’apparecchio odontoiatrico del figlio di circa 3000 che solo in piccola parte viene compensato dalla sanità integrativa.
Fatti due conti non solo il potere di acquisto è in erosione ma pesano sui bilanci familiari la non gratuità di servizi un tempo invece disponibili ed accessibili.
Le previsioni per l’anno corrente saranno invece migliori?
Per il 2025 l’inflazione dovrebbe attestarsi attorno 2% ma i dati sono passibili di essere smentiti visto che tutte le statistiche previsionali sono state letteralmente smentite. Ma se questa cifra volessimo assumerla come punto di riferimento come sarà possibile prevedere in un triennio aumenti contrattuali attorno al 4 o 5% quando solo in un anno la inflazione sta al 2?
L’opinione pubblica crede ciecamente ai suoi imbonitori televisivi, incapace ormai di prendere carta e penna, l’analfabetismo di ritorno è più diffuso di quanto si pensi, per effettuare qualche calcolo matematico alla portata dei nostri genitori che per quanto meno scolarizzati, negli anni della lotta di classe, sapevano almeno tutelare i loro interessi materiali.