La “normalizzazione”
I crimini israeliani depoliticizzati di chi è riuscito a ridurre l'immensa partecipazione popolare a critica alla “destra” e non all'imperialismo
di Leonardo Sinigaglia
La recente grande ondata di sostegno al popolo palestinese aggredito dal terrorismo sionista riprova come una parte crescente della popolazione italiana sia perlomeno scettica rispetto alla “superiorità morale” dell’Occidente e al ruolo salvifico che istituzioni quali la NATO e l’UE si attribuiscono a livello internazionale. Manifestazioni oceaniche hanno attraversato il paese, composte per la maggior parte di cittadini comuni mossi dallo sdegno per le azioni dell’entità sionista e per il complice atteggiameto della autorità politiche italiane.
Si tratta indubbiamente di un dato positivo che testimonia come il popolo italiano, lungi dall’essere passivamente inerte come molti lo dipingono, disponga di crescenti risorse morali e pratiche per opporsi a quell’umiliante e vergognoso destino di guerra, privazioni e sottomissione verso il quale vorrebbero trascinarlo i collaborazionisti dell’egemonia statunitense.
Non si può però non rilevare come la direzione di queste grandi mobilitazioni sia stata immediatamente presa in mano da chi aveva intenzione di sopprimerne la radicalità a favore di una “normalizzazione” favorevole agli interessi di Washington e Bruxelles nel nostro paese e relative clientele. La cosiddetta “estrema sinistra” e il “centrosinistra” hanno collaborato affinché la denuncia dei crimini israeliani fosse depoliticizzata attraverso le strategie parallele dell’umanitarismo e del terzomondismo, entrambe tendenti a ridurla alla critica alla “destra”, vista come vera e unica responsabile dei massacri di Gaza.
La visione “umanitarista” è stata quella promossa dal Partito Democratico e dalla galassia ad esso collegata, dai giornali al terzo settore, passando per il mondo sindacale confederale. Essa si basa sull’idea che quella in corso a Gaza non sia altro che una “catastrofe umanitaria” frutto della follia di un individuo, Benjamin Netanyahu, sostenuto da estremisti di destra. La violenza, l’appropriazione dei territori arabi e il genocidio non sarebbero elementi costitutivi della politica israeliana, ma “eccessi” la cui origine sarebbe più psicologica che politica. La collaborazione con i progressisti israeliani contro la “destra” globale rappresentata dall’asse Netanyahu-Trump-Meloni sarebbe quindi l’unico modo per “salvare i palestinesi” e far cessare la crisi in atto.
L’estrema sinistra “terzomondista”, pur retoricamente più conseguente nel suo antisionismo, non giunge a conclusioni sostanzialmente differenti . Se essa individua correttamente la natura terroristica dell’entità sionista e il suo essere espressione regionale dell’imperialismo statunitense, non è però in grado di ricavarne le giuste conclusioni a livello nazionale. Partendo dal presupposto errato dell’Italia come “paese imperialista”, l’estrema sinistra rifiuta di riconoscere l’occupazione statunitense a cui siamo soggetti e il ruolo in essa giocato dai sionisti. La questione dell’indipendenza nazionale, unica capace di scardinare l’imperialismo, è ignorata se non attivamente disconosciuta, e la lotta al sionismo si riduce al boicottaggio e nell’opposizione al governo Meloni. L’ostilità contro l’asse Netanyahu-Trump-Meloni ricopre anche qui un ruolo fondamentale come vettore sul quale orientare le mobilitazioni.
La costante riproposizione dello scontro tra destra e “sinistra” come chiave di lettura attraverso la quale interpretare le dinamiche internazionali serve ad allontanare una reale presa di coscienza riguardo all’imperialismo e all’egemonia statunitense. Ciò è oggi particolarmente pericoloso in quanto i contrasti tra l’amministrazione Trump e gli “alleati” subalterni facilmente si prestano ad alimentare una retorica europeista basata sull’identificazione di Bruxelles come un argine “progressista” contro la destra e i “sovranismi”. Tale visione è promossa attivamente dal centrosinistra, ma è spesso tollerata, se non fatta propria, dalla cosiddetta “sinistra radicale”: pensiamo alle prese di posizione a favore dell’uso di armi europee a lungo raggio contro la Russia di Karola Rakete, o l’euro-federalismo “antifascista” promosso da Ilaria Salis, totalmente indistinguibile dal concetto di “Europa potenza” di CasaPound.
Per contrastare efficacemente l’imperialismo non si deve fare affidamento su fronti “di sinistra”, “antifascisti” o “progressisti” che puntino all’unità tra le forze che si oppongono alla “destra”, perché essi altro non sono che strumenti della lotta interna alla classe dirigente occidentale. Per fare la nostra parte nello scontro epocale che contrappone le forze realmente progressive ed anti-imperialiste a quelle dell’egemonia statunitense, per sostenere quindi anche la resistenza del popolo palestinese, dobbiamo puntare a un fronte delle forze patriottiche e popolari italiane, senza pregiudiziali “di sinistra” di sorta e avente come scopo la conquista dell’indipendenza nazionale nel contesto della costruzione di un mondo multipolare e di una comunità umana dal futuro condiviso. Chi rifiuta ciò non si qualifica come “antifascista intransigente”, come “comunista coerente”, ma unicamente come utile idiota dell’imperialismo. La questione palestinese e, in generale, quella levantina, deve essere ricondotta alla guerra mondiale in corso tra le forze dell’egemonia e quelle che le si oppongono, deve essere collegata al fronte tra Europa e Russia, a quello dell’Asia-Pacifico, a quello africano e quello latino-americano. Non può esistere reale solidarietà alla resistenza palestinese senza opposizione al riarmo europeo e alla guerra contro la Federazione Russa, la Cina e l’Iran.