La NATO e la “battuta” non mantenuta

La NATO e la “battuta” non mantenuta

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di Sandrino Luigi Marra*

 

L’articolo 2.2 dei punti fondamentali della NATO alla voce “difesa collettiva” si esprime come segue:

“La NATO è tenuta a seguire il principio secondo il quale una aggressione a uno dei suoi membri equivale a una aggressione a tutti. Si tratta del principio di difesa collettiva, presente nell’articolo 5 del trattato di Washington.”

Finora l’articolo 5 è stato invocato una sola volta, nel 2001, in occasione degli attacchi terroristici dell’11Settembre negli Stati Uniti.

A sua volta l’articolo 5 recita:

 “Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America Settentrionale sarà considerato come attacco diretto contro tutte le parti”.

La NATO inoltre può intervenire su richiesta ufficiale dell’ONU con compiti di deterrenza e difesa.

Ponendo attenzione all’operato della NATO dal 1990 in poi possono sorgere spontanee delle domande e dei dubbi. Negli svariati interventi dell’organizzazione, si finisce con il notare che non è mai accaduto che un membro fosse stato militarmente attaccato e di conseguenza il dubbio è se gli interventi fino ad oggi siano stati leciti o meno.

Nel 1999 durante l’ultimo periodo delle Guerre Balcaniche, (la carneficina della guerra civile nella ex Jugoslavia iniziata nel 1990) la Nato attaccò la Serbia di Milosevic (operazione Allied Force) la quale non aveva attaccato nessun membro dell’organizzazione e tantomeno la NATO aveva ricevuto alcun mandato di intervento dall’ONU. Era pur vero che la Serbia aveva avviato da tempo una campagna violenta di ordine pubblico in Kossovo, di fatto una vera e propria cacciata dei Kossovari dal territorio Serbo, ricordando che il Kossovo era territorio Serbo anche se con spazi di autonomia amministrativa, ma ciò restava una faccenda della Serbia e l’ONU che già poco aveva fatto nella ex Jugoslavia, non molto di più aveva fatto per il Kossovo e tantomeno aveva esplicato un mandato di difesa delle popolazioni. Il costo dell’intervento NATO con una operazione di bombardamento aereo durata oltre 2 mesi (78 giorni) costò la vita a 2500 civili e 1000 tra soldati e poliziotti. Mentre si può positivamente ricordare l’operazione “Deliberate Force” condotta dal 30 agosto al 20 Settembre 1995 attuata su richiesta ONU rispetto alla risoluzione 836, dopo il bombardamento del mercato di Sarajevo, e che oltretutto riuscì a revocare l’assedio della città aprendo la strada ad una soluzione negoziata.

Nel 2001 senza mandato specifico dell’ONU la NATO invase l’Afghanistan dei Talebani che non avevano condotto alcun attacco ai suoi membri, risultato: 200.000 morti nel paese altri 80.000 in Pakistan.

Nel 2003 sempre senza l’avvallo preventivo dell’ONU la NATO invase l’Iraq di Saddam Hussein il quale non aveva attaccato alcun membro dell’organizzazione, mentre nel 1990 con la cosiddetta prima Guerra del Golfo sotto l’egida dell’ONU l’organizzazione aveva ripristinato la sovranità del Kuwait in seguito all’invasione di questo da parte sempre dell’Iraq.

Nel 2011 la NATO bombardò la Libia di Gheddafi anche questa volta senza alcuna risoluzione ONU. Ne risultò la disgregazione del paese, migliaia di vittime civili, la creazione di un sistema detentivo e di sfruttamento dei migranti ed una perenne crisi economica e sociale che inficia la qualità di vita dei libici.

Una questione poi in tutto ciò fa riflettere, ovvero, Milosevic, Saddam, Gheddafi, per quanto se ne possa dire dei loro atteggiamenti e del modo di governare erano alleati della Russia. Adesso non si vuole fare fantapolitica ma viene spontaneo pensare che l’idea russa di una NATO quale alleanza offensiva nei suoi confronti, non sia proprio un ragionamento di fantasia. Nel 1990 la NATO aveva promesso a Gorbaciov che non si sarebbe allargata di un palmo oltre il confine tedesco dopo la riunificazione della Germania e la Russia nel 1991 sciolse il patto di Varsavia. Ma le aspettative e le promesse furono disilluse in considerazione che non solo nel tempo i membri passarono da 16 a 32 ma nel 2008 fu annunciato l’ingresso nella NATO di Ucraina e Georgia. Nel frattempo almeno dal 2000 la Russia ha più volte chiesto di contenere l’espansione della NATO, poiché non gradiva la possibilità dei paesi membri (associati) di installare armamenti a ridosso dei propri confini nazionali. Cosa sempre non ascoltata giungendo a negare che vi fosse stata una promessa di non allargamento fatta a Gorbaciov, e ciò è andato avanti fino alle ammissioni del Segretario di Stato James Baker di qualche mese fa. Dopo si è giustificata l’affermazione con la visione di forme di fragilità della narrativa russa rispetto alla cosiddetta “Broken promise” la promessa non mantenuta del non allargamento della NATO ad Est.

Non trovando fondamento in un accordo scritto o in un trattato, ma solo in una “battuta” (come a volte detto) questa non aveva alcun fondamento istituzionale, ma si dimentica che, seppur vero si stesse al tempo discutendo della riunificazione tedesca e tale “battuta” poteva anche essere un accenno (direi molto più di un accenno) si sta parlando di esponenti di altissimo livello dove la parola dovrebbe contare quanto un documento se non più. Ma soprattutto si potrebbero palesare degli elementi del diritto consuetudinario internazionale che si concreta nell’osservanza costante di una norma di condotta, e tornando ad una discussione attuata da esponenti internazionali di altissimo livello si può dubitare che in passato non ci siano stati atti simili, uniformemente e costantemente ripetuti così come vuole la norma giuridica. Non si tratta delle parole e di una parola o promessa data tra bambini, dalla quale ci si può anche attendere un non tenerne fede, ma, ancora una volta si ripete si è tra “esponenti internazionali di altissimo livello” e dunque se non vale la parola di uomini e donne di un tale consesso, cosa ha valore dunque nella società?   

*Università di Parma

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