“Islam in Cina”: come i Diritti Umani vengono strumentalizzati contro il mondo multipolare
di Giulia Bertotto
Cosa c'è di più perverso che ordire una falsa violazione dei diritti fondamentali dell'uomo per portare avanti l'ideologia imperialista? Fin dove può spingersi la campagna di diffamazione atlantista contro un mondo multipolare?
L’archeologa Maria Morigi ha cercato di rispondere a queste domande nel suo “Islam in Cina. Storie, etnie, tradizioni, questione di diritti umani”, e lo ha fatto scavando nei documenti più nascosti, ma anche affidandosi anche a osservazioni e testimonianze dirette. Morigi ha utilizzato fonti governative ufficiali, rapporti su ricerca storico-archeologica e Beni Culturali, e documenti d’inchiesta (cinesi ed esteri) sulla questione dei Diritti Umani e ha scoperto così, chi finanzia questi sedicenti organi per la “protezione delle minoranze”. Ha svolto questo prezioso lavoro di ricerca, dopo essersi dedicata per anni allo studio delle religioni orientali - in particolare del rapporto tra Stato e Religione in Cina – e aver fatto esperienza di viaggio in varie regioni del popoloso paese asiatico.
La stampa occidentale, invece, per demonizzare Pechino, spesso nemmeno si reca sul posto e non conosce le usanze e le etnie, ma non esiterebbe a denunciare false persecuzioni, come quella della popolazione musulmana uigura nello Xinjiang cinese da parte del governo centrale. Il “regime” cinese è accusato dall’ONU e altri organismi internazionali di genocidio, distruzione di moschee, eradicazione della lingua uigura, soffocamento della libertà religiosa, sterilizzazioni femminili; ma, spiega l’autrice, sulla scorta di relazioni condotte senza recarsi nel territorio attenzionato, scritte senza conoscere le specificità del territorio, i rapporti tra le minoranze presenti o i rischi di radicalizzazione terrorista nelle aree difficili dello Xinjiang e quali politiche il governo ha adottato per contrastarli. Una satanizzazione che nasconde scopi di ingerenza politica e di dominio economico e militare: “l’imperativo dei manipolatori è riacutizzare la paura -mai del tutto sopita nell’immaginario occidentale- che davvero esiste un Pericolo Giallo, invasivo, capillare e devastante”[1].
La faccia oscura dell’ONU
Le accuse vengono dal pulpito dell’ONU con sede a New York, che assiste ormai complice al genocidio palestinese, alle bombe sulle incubatrici e sui campi profughi, alla deportazione di massa di civili, aggiungiamo noi. Non c’è da stupirsi, del resto, l’ONU non è un organismo indipendente, ma “si avvale del metodo di inchiesta organizzato da enti e associazioni che sono una galassia ben sostenuta dal National Endowment for Democracy, agenzia statunitense fondata nel 1983 da Allen Weinstein e Carl Grehman con l’obiettivo dichiarato di promuovere la democrazia e utilizzare la propaganda democratica per come pretesto per intromettersi negli affari interni di altri paesi, fino a sovvertire i legittimi governi”[2].
Dunque notizie prive di documentazione, interviste a soggetti poco attendibili, o coinvolti in grossi conflitti di interessi, si caricano poi di pregiudizi irrazionali, alimentando una macchina della calunnia. Morigi riporta al lettore episodi strumentalizzati come “genocidio culturale”, ad esempio la ristrutturazione di moschee fatta passare per distruzione degli edifici. Oppure le accuse di “deportazione”, fabbricate decontestualizzando completamente figure peculiari delle zone rurali, come il musapir, giovane maschio religioso che vive come un senzatetto, privo di censimento, permesso di residenza e non conosce il cinese. Il governo monitora queste persone per evitare un isolamento alienante ed eventualmente una estremizzazione religiosa che possa condurre al terrorismo.
“Il crimine contro i cittadini islamici, sfruttato a piene mani dalla propaganda occidentale, riguarda i campi di rieducazione, che avrebbero scopo di indottrinamento politico. Descritti come dei veri lager dai detrattori (che non vi hanno mai messo piede) sono in realtà centri di formazione professionale”[3] ci spiega la ricercatrice. I musapir sarebbero “categorie spesso a rischio che, con la frequenza presso i centri di formazione acquisiscono le conoscenze e le abilità necessarie per svolgere un lavoro e vivere inseriti in società (…)”.
Le accuse di persecuzione dell'islam e di violazione dei diritti umani vengono dunque usate come campagna di demonizzazione della Cina, tuttavia “solo uno sprovveduto potrebbe credere che gli Stati Uniti si preoccupino davvero dei musulmani di Xinjiang, alla luce delle tante guerre di aggressione antislamiche da essi scatenate in Medio Oriente negli ultimi settant’anni”. Più realistico pensare che la Cina, “pur essendo una media potenza militare, ma anche nucleare, già una grande potenza economica, per di più in ottimi rapporti con la Russia”[4] rappresenti per il paradigma unipolare americano una minaccia alla sua egemonia mondiale.
Una colorata tavolozza spirituale, anche se non è il paradiso
L’autrice disegna uno scenario religioso complesso e variopinto, con i colori di una tavolozza spirituale sincretica che va dall’antico Culto degli Dei e degli Antenati alle Vie del taoismo e del buddhismo, protestantesimo, una minoranza di cristiani e anche cattolici. Ricostruisce la storia, le varianti dottrinali, i periodi di massima diffusione di un culto o l’altro, ma anche le credenze e i riti dei musulmani cinesi.
“È ben noto che il paradiso in terra non esiste, né in Occidente né altrove” scrive Alberto Bradanini nella sua Prefazione, ma Morigi compie il suo sforzo per svolgere un servizio di onestà e quindi col suo contributo rendere il mondo un posto migliore.
La studiosa descrive con agilità il percorso moderno di riconoscimento della libertà religiosa in Cina, compiuto attraverso il lavoro di associazioni, attivisti, istituti culturali e di dialogo per i musulmani e non solo, senza omettere le misure repressive e le crisi violente che sono state attraversate per raggiungere una più matura pluralità religiosa. Perché non siamo in quella dimensione ultraterrena che non ha bisogno di compromessi e mediazioni, ci troviamo in una condizione di divenire e perfettibilità sempre da raggiungere. In questo panorama complicato e composito di aggiustamenti etno-religiosi, l'Occidente sinofobico gioca col fuoco del dragone, e per imporre i propri interessi, punta il dito contro un paese che conta 23 milioni di cittadini musulmani e che ha coltivato per secoli i suoi rapporti con il mondo arabo.
Islam in Cina è un libro affascinate, che mescola antropologia, studio delle religioni e inchiesta internazionale; un saggio inaspettato e originale, ma quanto mai attuale, che sfida gli stereotipi etnici, la paura e la diffidenza ancestrale delle culture a noi distanti. Perché qui non è il paradiso.
[1] Morigi, Islam in Cina, p. 113
[2] P. 103, non è una storia che abbiamo già sentito per quanto riguarda la guerra tra Nato e Russia nella martoriata Ucraina?
[3] P. 111.
[4] Gli ultimi due virgolettati sono estratti dalla prefazione di Alberto Bradanini, ex diplomatico, tra le altre cariche ricoperte anche Consigliere Commerciale dell’Ambasciata a pechino e autore di saggi.
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