Il servilismo dell'UE e la profezia (avverata) di Putin

Il vertice NATO ha svelato un Occidente totalmente subalterno agli Stati Uniti, che ha abdicato alla propria autonomia strategica e al protagonismo sui nuovi scenari internazionali. Qual è il prezzo che i nostri governanti hanno deciso di pagare a Trump e per quali ragioni?

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Il servilismo dell'UE e la profezia (avverata) di Putin

 

di Clara Statello per l'AntiDiplomatico

 

“Vi assicuro: Trump ristabilirà rapidamente l’ordine. E vedrete che presto tutti loro saranno in ginocchio davanti al loro padrone, scodinzolando dolcemente la coda. Tutto tornerà al suo posto”.

Sono trascorsi poco più di cinque mesi da quando il presidente russo Vladimir Putin pronunciò questa profezia sui leader europei al giornalista Pavel Zaburin.

“Erano felici di obbedire agli ordini di Joe Biden, saranno felici di obbedire agli ordini del nuovo padrone”, prevedeva lucidamente il presidente russo, mentre le elite occidentali erano in scompiglio dopo l'elezione di Donald Trump.

La profezia si è avverata pienamente durante il vertice della NATO a l'Aja. Un vertice che si potrebbe intitolare “Welcome home Daddy”, per utilizzare il termine con cui Mark Rutte si è rivolto al capo della Casa Bianca, mentre quest'ultimo si vantava dell'autoproclamata vittoria in Medio Oriente, paragonando Israele e Iran a due bambini piccoli che litigano.

Addio diplomazia, benvenuto servilismo

Che il vertice dell’Aja si sarebbe trasformato in un festival di tripudio e devozione verso Trump era già chiaro dal messaggio adulatorio inviatogli in privato dal segretario della NATO — e prontamente spiattellato sui social dallo stesso presidente statunitense, poche ore prima del suo arrivo in Europa. 

“Il tono del messaggio a Trump era appropriato. Non c'è alcun problema se Trump divulga il messaggio”, ha commentato supinamente Rutte.

Non è stato il solo ad abbandonare la diplomazia per ciò che il Telegraph ha generosamente definito “arte del calcolato servilismo”.

Il presidente ucraino Zelensky ha appeso finalmente al chiodo la sua uniforme militare, per indossare un elegante e sobrio completo nero, in segno di riparazione dopo l'affronto allo Studio Ovale.

Il quotidiano britannico The Telegraph osserva che “il vertice dell’Aia è stato concepito per un solo scopo: soddisfare i desideri e le esigenze di Trump”.

"I leader della NATO hanno deciso che elogi e adulazioni da soli non bastano per raggiungere questo obiettivo. Hanno invece trasformato l'alta diplomazia nell'arte di un calcolato servilismo", aggiunge la pubblicazione.

Accettando di aumentare la spesa militare in cambio della continua partecipazione degli Stati Uniti al blocco, gli europei "hanno dato a papà tutto ciò che voleva, pur ammantandolo di ostentato servilismo".

Max Hastings, editorialista di Bloomberg, ha definito il summit "una festa dell'amore con un unico obiettivo: impedire al presidente americano più impulsivo ed eccentrico della storia di buttare fuori dalla carrozzina i giocattoli della NATO".

Edward Lucas, editorialista del Times, ritiene che i leader dell'alleanza abbiano "più paura di Donald Trump che di Vladimir Putin".

 

Timore per l'ombrello nucleare americano

A spaventare è l'ostentata l'ambiguità di Trump sulla tenuta dell'articolo 5, la clausola di mutuo soccorso militare fulcro del legame Transatlantico.

Come è noto, la deterrenza funziona se è credibile. Pertanto Paesi come l'Estonia o la Lituania potranno far valere l'ombrello nucleare americano solo il Pentagono è seriamente pronto a utilizzarlo per difenderli da un'aggressione. Ma è certo che gli americani siano disposti a morire per Tallin o Riga o Helsinky?

Gli alleati iniziano a dubitarne e, probabilmente. In diverse occasioni, addirittura mentre si recava a L'Aja, Donald Trump ha creato incertezza sull'effettiva affidabilità dell'articolo 5, collegandolo alle capacità di spesa in difesa dei singoli Paesi. In poche parole: sotto l'ombrello atomico ci starà chi se lo potrà permettere.

Non è un caso che al primo punto della dichiarazione del vertice gli stati membri riaffermano con forza la clausola di mutua difesa:

“Riaffermiamo il nostro ferreo impegno per la difesa collettiva, come sancito dall'Articolo 5 del Trattato di Washington: un attacco a uno è un attacco a tutti. Restiamo uniti e risoluti nella nostra determinazione a proteggere il nostro miliardo di cittadini, difendere l'Alleanza e salvaguardare la nostra libertà e democrazia”.

Sebbene la retorica diplomatica possa risultare pura propaganda atlantista senza la concreta volontà politica statunitense, i leader europei hanno pagato un caro prezzo per poter sbattere in faccia a Mosca lo (sbrindellato) ombrello nucleare americano.

Un caro prezzo non solo in termini economici, ma anche in termini di dignità: dal 25 giugno l'UE non ha più dei leader ma maggiordomi e camerieri di Trump.

Esattamente come aveva previsto da Putin.

 

Un vertice divisivo

I timori di fallimento del vertice NATO si sono amplificati dopo il semi-forfait di Trump al G7 in Canada. Formalmente il presidente Usa aveva interrotto la sua permanenza per rientrare negli USA a causa della guerra in Medio Oriente.

Ma secondo quanto riporta il Financial Times, citando fonti a conoscenza dei fatti, la decisione di andare via è stata “dovuta in parte all'irritazione nei confronti del presidente francese Emmanuel Macron”, nonché alla “mancanza di interesse del presidente statunitense a incontrare il leader ucraino”.

Così il vertice dell'Aja era stato preparato per evitare uno scontro con Trump, nascondere le crescenti divergenze con gli alleati in materia di commercio internazionale, Russia e tensioni in Medio Oriente.

I leader dell'alleanza hanno capito che per evitare un imbarazzante fallimento a l'Aja, non avevano altra scelta che tornare in ginocchio da Trump.

L'agenda è stata epurata dai punti più divisivi: cancellata la riunione del Consiglio NATO sull'Ucraina, la sua adesione all'alleanza è stata tolta dall'agenda, eliminato il linguaggio russofobo, la presenza del presidente Zelensky – protagonista indiscusso dei ultimi vertici - è stata limitata alla foto di gruppo e alla cena di apertura (sebbene il leader ucraino abbia tenuto incontri al margine, incluso con Trump).

 

La vittoria di Trump

La convergenza è stata raggiunta su ciò che Re Donald chiede da tempo: l'aumento delle spese per la difesa dal 2 al 5 per cento, seppur in dieci anni. In dichiarazione finale, la “minaccia russa a lungo termine” è stata menzionata solo per giustificare il drastico aumento delle spese. Il riferimento all'Ucraina è servito per scaricare sugli alleati europei il peso – politico, militare, economico – di una guerra in cui l'America avrà il ruolo principale di mercante di armi.

“Gli Alleati riaffermano il loro impegno sovrano duraturo a fornire supporto all'Ucraina, la cui sicurezza contribuisce alla nostra, e, a tal fine, includeranno i contributi diretti alla difesa dell'Ucraina e alla sua industria della difesa nel calcolo della spesa per la difesa degli Alleati”.

Mentre noi finanzieremo (e forse combatteremo) la guerra per procura dell'America contro la Russia, Trump sarà libero di concentrare le sue forze contro il nemico principale: Pechino.

Una vittoria per il presidente degli Stati Uniti.

Non certo per i popoli europei che si vedranno privare di quei pochi diritti sociali, servizi e libertà di cui ancora godono, né per la sicurezza di un'UE che, in un mondo sempre più multipolare, appare sempre più come un vaso di coccio tra vasi di ferro, proprio per la sua crescente dipendenza politica, militare, energetica e dunque strategica dall'Impero USA (in crisi).

Se l'UE vuole tornare a contare qualcosa nel mondo, se vuole aumentare la propria sicurezza, deve tornare alla diplomazia, deve tornare ad essere un credibile attore internazionale e rapportarsi in autonomia con le nuove potenze emergenti.

A l'Aja i nostri leader-maggiordomi hanno dimostrato di non averne la benché minima intenzione, rinunciando alla diplomazia per l'arte del “servilismo calcolato”.

Clara Statello

Clara Statello

Clara Statello, laureata in Economia Politica, ha lavorato come corrispondente e autrice per Sputnik Italia, occupandosi principalmente di Sicilia, Mezzogiorno, Mediterraneo, lavoro, mafia, antimafia e militarizzazione del territorio. Appassionata di politica internazionale, collabora con L'Antidiplomatico, Pressenza e Marx21, con l'obiettivo di mostrare quella pluralità di voci, visioni e fatti che non trovano spazio nella stampa mainstream e nella "libera informazione".

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