È il "Salvini russo" il nuovo eroe dei giornali italiani

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È il "Salvini russo" il nuovo eroe dei giornali italiani

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Qualcuno di voi lo sa chi è il nuovo eroe di CNN e di conseguenza di tutti (TUTTI, “Fatto quotidiano” incluso) i giornali e i telegiornali italiani?

Parlo di Navalny, spacciato come “leader dell’opposizione russa” (così il “New York Times” di oggi) benché il suo partito, Russia del Futuro, non occupi neanche un seggio in Parlamento e abbia al massimo un centinaio di migliaia di iscritti (però, non mancano di farci sapere, Navalny ha due milioni di seguaci su Twitter!).
E qualcuno di voi lo sa quale è il programma di Russia del Futuro?

Guarda caso, è un partito apertamente liberale e liberista, che si propone di tagliare le spese dello Stato, frantumare amministrativamente il paese, privatizzare le industrie pubbliche e i servizi (a cominciare ovviamente dai mezzi d’informazione) ed eliminare i controlli governativi sulla finanza e sull’economia. Ah, scordavo, anche emarginare gli “stati canaglia” come il Venezuela, Cuba e l’Iran e stringere invece stretti rapporti di cooperazione con Stati Uniti e Europa (leggi: aprire alle multinazionali e svendere loro le risorse nazionali con la scusa di posti di lavoro e di magnifiche sorti e progressive che non si realizzano mai ma non importa perché nei regimi dominati dal neocapitalismo non solo i prodotti ma anche i cervelli sono a obsolescenza programmata). 
Proposte che vi pare di aver già sentito? Ma certo, sono quelle di Salvini, Meloni e Renzi (quello che nel 2015, da presidente del consiglio, pensò bene di guadagnarsi la tangibile riconoscenza di americani e multinazionali andando a portare un mazzo di fiori e a inginocchiarsi sul luogo in cui era stato ucciso un altro fascioliberista russo, Nemcov, fondatore dell’Unione delle Forze di Destra). Il partito liberista universale dice sempre e ovunque le stesse cose.


È essenziale uscire dall'illusione e rendersi conto che contrastare il liberismo sul piano delle notizie è difficilissimo: possiedono tutto il denaro e di conseguenza tutti i media. E comunque in molti casi i fatti sono impossibili da appurare in maniera oggettiva, al di là dei pregiudizi ideologici. Ma c’è un sistema semplice e che ha spesso funzionato in passato, quando ancora i media erano tutt’al più il quarto potere e non, di gran lunga, il primo: guardare non ai fatti bensì alle intenzioni, ai programmi. Persino i gran cazzari della destra italiana, che i fatti li travisano senza neanche più accorgersene (avete mai sentito parlare Meloni?), quando spiegano l’Italia che vorrebbero sono molto chiari, qusi onesti: meno Stato, più multinazionali, deregulation selvaggia, tutto il potere e la ricchezza a chi sa prenderseli e chissenefrega dell’ambiente, delle comunità e dei bisognosi. Perché rinunciare a giudicarli su quello? Chi condivide la loro visione deve sostenerli, chi la considera inaccettabile deve combatterli. Con qualsiasi mezzo.


“Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo” è un’idiozia attribuita a Voltaire ma inventata (una fake news ante litteram) da una scrittrice inglese di primo novecento e subito diffusa per trasformare la libertà di espressione da utile strumento a scopo ultimo, al di sopra della verità, della giustizia, dell’eguaglianza, della solidarietà, della virtù. No, non solo non morirei per difendere il diritto di Navalny e di Salvini e dei loro seguaci di arricchirsi svendendo i loro paesi a corporation più potenti di qualsiasi sovrano o tiranno del passato, ma caso mai sarei disposto a morire per impedire loro di attuare i loro propositi. Lo stesso per il golpista Guaidó, che auspica la privatizzazione del petrolio venezuelano, o per gli studenti di Hong Kong, che pretendono la libertà di diventare milionari come i loro coetanei americani (l’1%, naturalmente, ma loro si sentono dei vincenti). Finiamola con questa feticizzazione dei mezzi (spesso inverificabili) per far scordare che ciò che conta sono i fini.

Francesco Erspamer

Francesco Erspamer

 

Professore di studi italiani e romanzi a Harvard; in precedenza ha insegnato alla II Università di Roma e alla New York University, e come visiting professor alla Arizona State University, alla University of Toronto, a UCLA, a Johns Hopkins e a McGill

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