Il potere in(visibile) delle neuroscienze nel plasmare la demo(crazia)

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Il potere in(visibile) delle neuroscienze nel plasmare la demo(crazia)

 

“E poi, qualche cervello privilegiato all'interno del Partito Interno avrebbe scelto questa o quella versione, l'avrebbe riscritta a modo suo e avrebbe messo in moto il complesso processo di necessari confronti. La menzogna scelta verrebbe quindi registrata in documenti permanenti e diventerebbe la verità” George Orwell. 1984

 



di Maylyn Lopez 

 

Il cervello umano e la politica. Il campo della “neuroscienza” offre importanti contributi sui meccanismi cerebrali delle emozioni e dei circuiti neurali coinvolti nella visione e nell'interpretazione del mondo che ci circonda, della comprensione e percezione della realtà, perfino dell'empatia e del linguaggio.

Le ricerche in comunicazione, psicologia e sociologia applicate alla neuroscienza, sono uno strumento imprescindibile per la neuropolitica, un ambito di studio cruciale per comprendere come i nostri processi cerebrali, spesso inconsci e automatici, plasmino anche le scelte politiche e le dinamiche di potere.  Secondo il professore Matt Qvortrup, la neuropolitica funge da “ponte tra il cervello e le urne”, dimostrando che emozioni, persino strutture cerebrali e bias cognitivi possano pesare più della pura razionalità nel determinare anche il nostro voto. Includendo le emozioni, principlamente la paura, molto efficace come strumento di persuasione.

L’avvento di tecnologie come la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e la spettroscopia funzionale a infrarossi vicini (fNIRS) ha rivoluzionato anche il modo in cui studiamo il “cervello politico”. Già  nel 2011, uno studio pionieristico dei ricercatori Ryota Kanai, Tom Feilden, Colin Firth e Geraint Rees* aveva mostrato come nei giovani adulti esistano correlazioni fra orientamento politico e morfologia cerebrale: i votanti più liberali presentano un’iperattivazione della corteccia cingolata anteriore – area legata alla gestione dell’incertezza – mentre i conservatori mostrano maggiore attivazione dell’amigdala, struttura evolutivamente più antica deputata alle reazioni di paura. Queste tendenze non determinano in modo univoco la scelta elettorale, ma offrono indizi potenti su come le emozioni possano essere orientate e modulare la percezione dei messaggi politici.

La campagna presidenziale di Donald Trump nel 2016 ha fatto scuola nell’uso del cosiddetto microtargeting emozionale: grazie ai dati di Facebook, segmenti precisi di elettori hanno ricevuto annunci studiati per suscitare emozioni specifiche e incrementare la risposta al messaggio. E’ noto, del resto, come Il neuromarketing politico abbia sfruttato (e sfrutti!) tecniche di psicometria e machine learning per creare messaggi personalizzati, anticipando reazioni inconsce… spingendo all’azione.

Anche in  Europa,  queste strategie si evolvono con l’integrazione dell’intelligenza artificiale generativa e deepfake. Durante le elezioni europee del 2024, sebbene l’uso di AI nelle operazioni di influenza non abbia ancora raggiunto volumi massicci (intorno al 4% della disinformazione fact-checked) secondo l’Osservatorio Europeo dei Media Digitali, EDMO, alcuni partiti hanno sperimentato contenuti generati dall’IA per veicolare narrazioni xenofobe.

In Italia la tecnologia “deliberativa” - come i chatbot elettorali - sta muovendo i primi passi: l’impiego sperimentale di IA per rispondere alle domande degli elettori nelle ultime elezioni europee è stato il primo passo. Inoltre, alcuni partiti hanno già iniziato ad adottare software di analisi dei sentimenti in tempo reale (il cosiddetto “beast”) per calibrare messaggi e hashtag, al fine di modulare così i contenuti sulla base delle reazioni degli utenti alle prime ore dalla pubblicazione. Durante le elezioni politiche del 2022,  il 12% dei commenti sotto i post ufficiali su Twitter erano attribuibili a account automatizzati, o bot -distorcendo deliberatamente la percezione del dibattito pubblico.

Queste tecniche sollevano questioni etiche profonde: con strumenti sempre più raffinati che sondano il nostro cervello e le nostre emozioni, fino a che punto siamo davvero liberi nelle nostre scelte politiche? 

La neuropolitica non è una minaccia in sé, solo che, ci costringe a uno sguardo critico sulle dinamiche di potere nell’era digitale. Conoscere questi meccanismi significa dotarsi degli anticorpi cognitivi per non subirli passivamente. L’attuazione di algoritmi di intelligenza artificiale nelle campagne politiche ha generato un cambio di paradigma, aprendo un dibattito inquientante sulle sue implicazioni nel controllo delle scelte politiche. I dati raccolti dall'intelligenza artificiale, che provengono in gran parte da reti o piattaforme come Facebook e Instagram, vengono automatizzati consentendo un adattamento dinamico a chi vuole condizionare l’opinione pubblica. E, quindi, ultima domanda, la più inquietante: fino a che punto chi controlla i big data potrà spingersi in future elezioni per il controllo e la manipolazione del pubblico?

* Political Orientations Are Correlated with Brain Structure in Young Adults, University College London Institute of Cognitive Neuroscience. 2011

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Se vuoi approfondire come i social media stiano riscrivendo la grammatica emotiva del dibattito politico continua a seguirci su Neuropolitica e scrivici su info@maylynlopez.com

Maylyn  López

Maylyn López


Specialista in Comunicazione Strategica e Istituzionale, giornalista, mediatrice internazionale. Certificazione in programmazione Neurolinguistica. 20 anni di esperienza nell’ambito diplomatico e multilaterale. 

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