Gli occupanti brutali diventano "salvatori": come opera l'indottrinamento mediatico sull'Afghanistan

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Gli occupanti brutali diventano "salvatori": come opera l'indottrinamento mediatico sull'Afghanistan

Le drammatiche condizioni in cui versa attualmente il popolo afghano, mostrano come venti anni di occupazione straniera abbiano totalmente fallito nel tentativo di “esportazione” della democrazia.

Ma non si vuole che le persone in Occidente riflettano su questo aspetto.

Così, le immagini con cui si cerca di gettare fumo sugli occhi, mostrano gente in fuga e bambini affidati ai soldati americani, senza che si tenga conto di come in questi lunghi anni, le condizioni della popolazione, in presenza di quegli stessi soldati, siano state tutt’alto che felici.

Il notevole incremento della produzione di oppio, così come i morti e gli invalidi provocati da questa guerra d’invasione, sono occultati dalle “cartoline” di propaganda con cui si cerca di ottundere ogni forma di senso critico, in direzione di un oblio, di una rimozione dei crimini commessi durante l’occupazione.

La propaganda, infatti, seleziona con cura le immagini da mostrare, le propone in maniera reiterata e con altrettanta cura seleziona le immagini da occultare.

In tal senso, se da un lato gli occupanti sono mostrati come dei salvatori che dissetano i bambini e li accolgono al di là del filo spinato, dall’altro non si fa cenno ai loro interessi economici nel territorio violato.

Sottoporre quotidianamente le persone a un indottrinamento mediatico di tale portata è pericoloso, il pensiero critico s’indebolisce, la capacità di pensare autonomamente si sfibra.

Occultare le migliaia di morti causate dai bombardamenti statunitensi e mostrare per epilogo l’esercito occupante come un esercito salvifico, non solo è dannoso, ma è anche disonesto.

Eppure il pubblico che osserva le immagini sapientemente selezionate si emoziona, si appassiona, si persuade di essere dalla parte del bene e infine gioisce.

Così ogni giorno, la storia viene riscritta e quella che si rammenta è l’ultima scena di un film in cui, alla vista del bambino salvato dal soldato, si piange, ci si commuove.

È avvenuta la catarsi e il pubblico applaude, perché si è nutrito di emozioni, non desidera nient’altro.

Proprio come al cinema.

Sara Reginella

Sara Reginella

Psicologa a indirizzo clinico e giuridico, psicoterapeuta, regista e autrice di reportage di guerra. I suoi lavori integrano l’interesse per le dinamiche psicologiche con l’attenzione per l’attualità e uno sguardo che mai dimentica le frange socialmente più vulnerabili.

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