Effetto Trump sulla Georgia? Gli scenari possibili dopo il 29 dicembre
Domenica 29 dicembre, la presidente uscente (alle elezioni dello scorso 14 dicembre è stato eletto Mikhail Kavelašvili, candidato del partito di governo “Sogno georgiano”) della Georgia, Salome Zurabišvili, dovrà lasciare il proprio posto.
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Domenica 29 dicembre, la presidente uscente (alle elezioni dello scorso 14 dicembre è stato eletto Mikhail Kavelašvili, candidato del partito di governo “Sogno georgiano”) della Georgia, Salome Zurabišvili, dovrà lasciare il proprio posto. Ma ha detto di non aver intenzione di farlo e anzi ha dato sette giorni di tempo a “Sogno georgiano” e al suo leader Bidzine Ivanišvili perché indica nuove elezioni parlamentari. In risposta, il primo ministro Iraklij Kobakhidze ha minacciato di mandarla sotto processo, se per caso decidesse lei stessa di indire elezioni parlamentari o se non dovesse lasciare per tempo il posto che ormai non le spetta.
Tanto per chiarire, ha detto Kobakhidze, in Georgia le elezioni parlamentari vengono indette alla scadenza del mandato quadriennale, oppure nel caso in cui la Commissione elettorale o la Corte costituzionale annullino i risultati del voto o ancora nel caso in cui il Parlamento tolga la fiducia al governo. Punto.
Zurabišvili, però, per evitare la galera, non indice lei stessa nuove elezioni, ma invita a farlo il partito di governo e quest'ultimo non ci pensa nemmeno ad accogliere l'invito, così come la prossima ex-presidente non ci pensa a lasciare il posto il 29 dicembre. Dunque, cosa accadrà tra sette giorni?
Assolutamente nulla, pronosticano gli osservatori di Moskovskij komsomolets, non foss'altro perché Zurabišvili e l'opposizione stanno lanciando proclami ultimativi da posizioni di perfetta debolezza e non dispongono di nulla per “imporre” qualcosa al governo. Difficile pensare a una “rivoluzione”: l'avrebbero scatenata da tempo, se ne avessero avuto la forza.
Chiaro che, stante anche l'intenso lavorio delle “democrazie” europeiste in terra georgiana, non conviene minimizzare il pericolo di un golpe, ma nemmeno esagerarlo, nota Marina Perevozkina e tantomeno immaginarlo guidato dalla settantaduenne ex funzionaria dei servizi segreti francesi Zurabišvili che, già nel 2009, quando aveva cercato di marciare alla testa dell'opposizione al pur criminale Mikhail Saakašvili, era riuscita solo ad alzare un paio di tende nel centro di Tbilisi, presto autodissoltesi. La sua stessa candidatura alla poltrona presidenziale era avvenuta in virtù del suo minimo potenziale politico, di figura abbastanza sicura per rappresentare il “volto europeo” della Georgia a livello internazionale.
E, però, in questi giorni che precedono il 29 dicembre, ecco che Zurabišvili proclama di «non vuole essere un politico in esilio come la bielorussa Svetlana Tikhanovskaja»: qualcuno si ricorda chi fosse? Dunque, lei non ha alcuna intenzione di lasciare la Georgia e anzi continua a considerare le elezioni parlamentari del 26 ottobre e quelle presidenziali del 14 dicembre come una “farsa” e una “provocazione” e non intende lasciare il palazzo presidenziale.
Ora, scrive Svobodnaja Pressa, vari osservatori occidentali ipotizzano che Zurabišvili tenga in serbo un “piano B”: dar vita a una sorta di “parlamento parallelo” coi deputati dell'opposizione, introducendo così un “doppio potere”, con l'Occidente che potrebbe appoggiare simile scenario. Ma non è affatto sicuro che ciò avvenga.
Ecco infatti, nota Stanislav Tarasov, che la Commissione europea ha d'improvviso proposto di riattivare i visti per i funzionari georgiani, per i quali appena il 16 dicembre erano state decise restrizioni.
Non solo.Il Segretario generale del Consiglio d'Europa Alain Berset ha dichiarato che il governo georgiano è pronto a istituire un gruppo di lavoro per discutere gli emendamenti alla legge “Sulla trasparenza dell'influenza straniera” - quella che aveva fatto urlare allo scandalo della “putinizzazione” della Georgia - a cui si unirà la Commissione di Venezia. Sul tema, Irakli Kobakhidze ha specificato che «verranno accolte solo osservazioni fondate» e che Tbilisi è pronta «alla discussione nel caso vengano ben argomentate le critiche ai punti negativi della legge. Oltretutto», ha detto il premier georgiano «siamo pronti a collaborare con le strutture competenti del Consiglio d'Europa». Tutte cose che erano già state ribadite già prima delle elezioni parlamentari, ma respinte dall'Occidente.
Allora, da Bruxelles si era detto che la legge sugli agenti stranieri «impedisce l'integrazione euro-atlantica della Georgia e viola i principi democratici»: questo, nonostante Tbilisi si fosse mossa secondo il cosiddetto paradigma occidentale e “Sogno georgiano” abbia a più riprese manifestato aspirazioni verso UE e NATO. Nemmeno il rifiuto delle sanzioni anti-russe e l'apertura del cosiddetto “secondo fronte” contro la Russia in Georgia è mai stato inteso a Tbilisi come un percorso di riavvicinamento a Mosca, ma “semplicemente” come l'espressione georgiana a una maggiore sovranità: un concetto estraneo ai sillabari bellicisti dei carrettieri di Bruxelles.
Le cancellerie europeiste si erano in ogni caso allarmate alle dichiarazioni fatte da Kobakhidze per la presentazione in parlamento del programma di governo, secondo cui la Georgia avrebbe sospeso fino al 2028 i negoziati di adesione alla UE, rifiutando anche qualsiasi sovvenzione europea.
In sostanza, pare che ora a Bruxelles qualcuno cominci a rendersi conto che la UE «non solo sta perdendo la Georgia, ma la sta anche spingendo verso la Russia» e, forse, si intuisca come la questione sia comunque più ampia del solo ambito georgiano: a parere di esperti dell'Università di Oxford, «la decisione della Georgia di abbandonare il percorso di adesione alla UE avrà conseguenze non solo sul paese, ma anche sul processo di allargamento a est dell'Unione europea nel suo complesso». Tanto più che Tbilisi ha mostrato uno «sprezzo palese nei confronti di Bruxelles, ribadendo sì che avrebbe ripreso i negoziati, ma con dignità, correttezza e senza ricatti». In questo modo, si dice, la Georgia potrebbe dar vita a un modello semi-indipendente in cui godere dei vantaggi della UE «senza dover intraprendere le riforme “ad alta intensità” necessarie per l'adesione».
C'è inoltre la possibilità che Donald Trump diventi il nuovo “partner della Georgia”, il che concederebbe a Tbilisi ancora più larga possibilità di manovra, acconsentendo alle richieste europee, ma operando al tempo stesso al rafforzamento dei rapporti con gli USA. Ecco dunque che Bruxelles comincia (forse) a “ravvedersi”, iniziando l'abbandono di Zurabišvili al suo destino. Lo sta facendo, ma molto in punta di piedi. Ancora cinque o sei giorni e vedremo quale sarà la sorte di madame Salome.