Decolonizzazione 2.0. ECOWAS: gli stati del Sahel si riappropriano delle materie prime

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Decolonizzazione 2.0. ECOWAS: gli stati del Sahel si riappropriano delle materie prime


di Alex Marsaglia*

Le giunte militari sorte nell’Africa centro-occidentali del Niger, Mali e Burkina Faso tra il 2021 e il 2023, riunitesi lo scorso 6 Luglio 2024 nell’Alleanza degli Stati del Sahel (AES) con un patto di collaborazione e difesa reciproca, continuano una capillare opera di riappropriazione popolare del potere con l’espulsione dei padroni occidentali dell’uranio dal Niger, dell’oro dal Burkina e una serie di restrizioni alle imprese in Mali.

Le tre Repubbliche, che il 28 Gennaio 2024 si sono ritirate dalla Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO - ECOWAS), hanno intrapreso negli ultimi anni un comune cammino di espulsione degli interessi coloniali francesi per la riaffermazione della propria sovranità e indipendenza, mettendo in discussione il dominio neocoloniale esercitato tramite il franco CFA e mettendo all’angolo le forze del terrorismo islamico che esercitano il divide et impera per mantenere stabili gli interessi occidentali nelle aree strategiche del territorio.

I presupposti dell’alleanza militari si sono creati con le cacciate delle forze militari francesi che occupavano ancora stabilmente il territorio, con la scusa della protezione dal terrorismo islamico, ma formalmente per garantire i diritti estrattivi occidentali. Le truppe francesi hanno smobilitato dal Mali il 9 Novembre 2022 dopo 8 anni di occupazione, dal Burkina nell’Aprile 2023 e dal Niger nel Luglio del 2023. Così dopo una decina di anni le operazioni militari dei neocolonialisti francesi nel Sahel sono terminate, la Françafrique è morta ed è nata la nuova alleanza difensiva AES.

Ora l’obiettivo dei tre Stati coalizzati è quello di approfondire le relazioni di potere economico che la piovra colonialista ha calato sui Paesi per tagliarne i tentacoli.

Già il 31 Luglio scorso il Niger, subito dopo aver cacciato le truppe di occupazione, aveva provveduto a vietare l’esportazione di uranio in Francia. La misura, ad effetto immediato è stata compiuta anche come disposizione di giustizia sociale in un Paese in cui l’80% non ha accesso all’elettricità, mentre oltre il 50% del minerale di uranio estratto dalle miniere nigerine viene utilizzato per alimentari le centrali nucleari francesi dove 1 lampadina su 3 è accesa grazie alle risorse di queste popolazioni. Il 24% delle importazioni complessive di uranio dell’Unione Europea proviene dal Niger e la riappropriazione degli interessi nazionali da parte della popolazione nigerina rientra tra le principali politiche del Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria. La decisione del Consiglio dei ministri dello scorso 19 Giugno di procedere alla nazionalizzazione delle miniere di uranio in possesso per il 64% della multinazionale francese Orano, persegue queste finalità. Le esigenze di giustizia della popolazione locale non potevano infatti finire in secondo piano e lasciare che le big corporation energetiche occidentali proseguissero nell’espropriazione delle risorse nigerine. Soprattutto se si pensa che solo il 5% dei profitti ricavati dalla vendita dell’uranio attualmente finisce alla popolazione nigerina, la gran parte dei quali tramite i salari.

Parallelamente anche il Burkina Faso, in cui la produzione di oro ha registrato un incremento del 74% tra il 2016 al 2021 riportando però entrate sostanzialmente stazionarie al bilancio statale, è intervenuto con le nazionalizzazioni. Così la giunta di Ibrahim Traorè insediatasi il 30 settembre 2022 ha rivisto il proprio codice minerario e istituito la Société de Participation Minière du Burkina (SOPAMIB), un ente statale incaricato di detenere, gestire e sviluppare risorse minerarie strategiche. Il governo ha trasferito cinque beni legati all’estrazione dell’oro alla società allo scopo di nazionalizzarne i profitti che appartenevano questa volta a due compagnie britanniche la Endeavour Mining e la società Lilium.

In un periodo in cui le quotazioni dell’oro sono decollate, tali nazionalizzazioni, unite all’incremento estrattivo sono fondamentali per apportare introiti all’interno delle casse statali mandate in sofferenza nello scorso decennio dallo strozzinaggio operato dal Fondo Monetario Internazionale. Inoltre tali introiti sono stati utilizzati dal governo per un’ampia opera redistributiva verso il settore produttivo: sono stati infatti reinvestiti i profitti nel settore tessile, con l’apertura di fabbriche statali e il divieto di import di vestiario dall’estero; sono stati acquistati oltre 400 trattori e macchine agricole, attrezzature e fertilizzanti per il rilancio e la meccanizzazione agricola; da ultimo è stata creata la Banca postale statale in modo da garantire il credito necessario all’industria e alla popolazione. Si può notare come il PIL del Burkina ne abbia immediatamente giovato, infatti tali interventi hanno ingenerato una crescita del +17% solo nell’ultimo anno con un passaggio dai 18,8 miliardi di dollari ai 22,1 miliardi.

La via d’uscita dalle ultime posizioni tra i Paesi più poveri dell’Africa è stata intrapresa con un buon programma di socializzazioni. Infine anche il Mali, l’ultimo dei tre stati appartenenti all’AES, ha messo in piedi un progetto di nazionalizzazione delle miniere d’oro con dure battaglie lanciate lo scorso autunno. Per ora sono state aumentate le quote di partecipazione pubblica e rimosse le agevolazioni fiscali alle imprese estrattive australiane, sudafricane e britanniche che continuano a portare surplus economico fuori dal Paese. Il governo maliano ha provveduto ad aumentare i controlli anche sull’export di litio, altra risorsa fondamentale per le economie occidentali che viene estratta dal territorio creando profitto che viene portato all’esterno del Paese. Al momento sono state sequestrate delle scorte per trattare dei criteri ridistribuivi più equi con le aziende. E sono poi state incrementate le tasse al fine di drenare il più possibile risorse da settori che stanno traendo lauti profitti. Le aziende che operano in Mali sono ancora intente a depredare de facto le materie prime dello Stato senza che la popolazione locale possa avere alcun beneficio dal commercio, ma la direzione anche qui, come in Burkina e Niger, è quella della nazionalizzazione, statalizzazione e redistribuzione dei profitti. I risultati di questa riappropriazione in nome della piena sovranità e indipendenza stanno dando i loro primi frutti con un PIL in forte crescita per tutti gli Stati appartenenti all’Alleanza degli Stati del Sahel, rispettivamente del +17% per il Burkina, del +10% per il Niger e del +4,9% per il Mali.

 

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