Daniele Luttazzi - Su Facebook che abolisce il fact-checking con cui ha massacrato i social
di Daniele Luttazzi - Nonc'èdiche, Fatto Quotidiano
Eora, per la serie “Cucurrucucù paloma”, la posta della settimana.
Caro Daniele, Zuckerberg ha tolto il fact-checking da Facebook. Bene, no? (Andrea G.)
Sì e no.
Bene perché il fact-checking di Facebook era certificato dall’Ifcn, ovvero dalla Cia (t.ly/73ZPn), per cui i commenti contrari alla narrazione Usa/Nato sull’Ucraina e Usa/Israele sul genocidio in corso a Gaza subivano
shadowbane sospensione dell’account. Questo fact-checking era l’escamotage con cui Zuckerberg il furbastro aveva cercato di salvare la baracca del suo social nocivo dopo lo scandalo Cambridge Analytica (Facebook, oltre che una piattaforma di sorveglianza che va a braccetto coi servizi segreti Usa, è una piattaforma di estrazione dati che profilando gli utenti permise a certi partiti politici di fare pubblicità mirata: provato il suo contributo alla prima vittoria di Trump e alla Brexit, t.ly/8Rfr7).
Non bene perché Zuckerberg, con Trump di nuovo presidente, toglie quella ridicola foglia di fico adottando la soluzione di Musk su X: lasciare il fact-checking agli utenti. Ma perché gli utenti dovrebbero fare qualcosa che una compagnia da 500 miliardi di dollari si rifiuta di fare? Né l’iniziativa individuale può risolvere gli abusi delle piattaforme. Oggi Zuck torna a usufruire del delizioso menefreghismo che gli rende gaia l’esistenza, e risparmia; ma il laissez faire dei social si è già dimostrato tossico. Facebook fece da megafono alla teoria complottista del movimento QAnon (3 milioni di seguaci) che accusava di pedofilia alcuni membri del Partito Democratico Usa, indicando un ristorante come sede di rituali satanici: lo staff del ristorante diventò bersaglio di minacce crescenti finché un invasato entrò a sparare con un AR-15. Non c’è il diritto alle fake news, specie se, ideate a scopo di propaganda, istigano la gente a commettere crimini, tipo assalti armati alle istituzioni. Il grottesco attacco al Congresso (cinque morti) fu preceduto dalla campagna online #StopTheSteal : fomentata da Trump con video deliranti di “chiamata alle armi” su Facebook e Twitter, e rilanciata da Fox News, accreditava la falsa tesi trumpiana dei brogli elettorali. Facebook fu anche usata con successo dagli hacker russi che interferirono con le elezioni Usa del 2016 per favorire Trump; e dagli ultranazionalisti di Myanmar, che diffusero fake news e hate speech allo scopo di fomentare le violenze di massa contro i musulmani Rohingya e altre minoranze (t.ly/Qb5H7). Nel dicembre 2018, 29 associazioni per la difesa dei diritti civili chiesero le dimissioni di Zuckerberg e un cambiamento delle pratiche di Facebook dopo l’inchiesta del New York Times su come Facebook, quando emersero le sue responsabilità nella propaganda virale di odio contro minoranze vulnerabili, cercò di screditare i propri critici assoldando un’azienda di Pr che li bollasse come agenti di George Soros ( t.ly/7_6R3). Facebook, con atti, omissioni, connivenze e bugie, contribuisce a indebolire la democrazia (Solon, 2018). Va ricordato che i social non hanno come scopo la cultura, ma lo sfruttamento economico, come il vecchio capitalismo di cui sono la continuazione (Srnicek, 2017); che i loro algoritmi favoriscono contenuti violenti, razzisti e misogini; che il capitalismo si serve volentieri dei nazifascisti per conculcare chi lo ostacola; che il nazifascismo, una volta al potere, cancella la democrazia; e che il capitalismo è antidemocratico e inarrestabile, se le leggi non gli impongono paletti e doveri. In democrazia, per dire, gli editori hanno il dovere di controllare la veridicità delle notizie prima di diffonderle. Per tutti questi motivi è ingenuo lasciare la regolamentazione dell’attività degli Zuckerberg all’arbitrio interessato degli Zuckerberg. Quanto a me, non vedo l’ora di vedere Gas!, il musical Disney tratto dal diario di Silvia Plath.