Cina, Covid e la figura sempre più imbarazzante dei media occidentali
Nella foto le manifestazioni di protesta in Cina contro la politica "zero Covid" caldeggiate e fomentate dai media occidentali come "battaglia di libertà"
Allentate le restrizioni covid, la Cina torna sotto le lenti dell'informazione occidentale, facendo parlare di sé per l'incremento dei contagi.
Mediaticamente stavolta le scelte delle autorità governative cinesi finiscono nel banco degli imputati per aver contribuito all'aumento delle infezioni covid.
La virata delle considerazioni dei nostri media sull'approccio cinese al covid, evidentemente è così repentina che stavolta anche agli osservatori meno attenti non può non venire qualche sospetto che qualcosa strida nell'obiettività della narrazione.
Pensiamo al fatto che solo fino a poche settimane fa, giornalisti, politici e opinionisti, facevano a gara per esprimersi negativamente sulle politiche ferree di contenimento della pandemia operate da Pechino su più livelli, caratterizzate sia da restrizioni esasperate per i passeggeri in arrivo dall'estero che da lockdown massivi quando il numero dei contagi superava determinate soglie minime previste: il tutto messo in campo con grande dispendio di risorse umane ed economiche.
In quei giorni però i titoli dei nostri giornali erano tutti dedicati a enfatizzare le proteste in territorio cinese contro la politica “illiberale” di “tolleranza zero covid”.
Addirittura il noto infettivologo Bassetti su Twitter inneggiava alle violenti proteste di piazza in Cina (in realtà limitate ad alcune città e dai numeri assai contenuti) contro la politica dello zero covid, quando di contro lo stesso era stato silente sulle proteste contro il greenpass e aveva anche invocato l'obbligo vaccinale auspicando l’intervento dei carabinieri per i No vax: “Per queste persone ci vorrebbe l’obbligo vaccinale, ma quello serio: ti mando i carabinieri a casa a prenderti”.
Non scorgere dunque un velo di propaganda nelle critiche assestate alla Cina sul tema, diventa ogni giorno sempre più difficile.
Agli albori della pandemia, ricorderete, la Cina è stata accusata di lassismo contro il covid; addirittura da alcuni ambienti politici occidentali si è paventata la sua diretta responsabilità nella nascita del virus, insinuando, quando non una sua volontà ( improbabile) in una possibile creazione artificiale dello stesso, quantomeno una negligenza esasperata, accuse ovviamente che la Cina ha sempre rispedito al mittente.
Prese poi le contromisure e adottate alcune tra le politiche di contenimento più rigide al mondo, ancora una volta è stata attaccata stavolta appunto perchè “illiberale” e “repressiva”.
Fatta marcia indietro, ora che di contro le autorità di Pechino hanno disposto di allentare le restrizioni, anche per dare una risposta a una parte della popolazione desiderosa di tornare alle ordinarie abitudini di vita e di lavoro e per rilanciare un'economia che chiaramente ha dovuto fare i conti con gli strascichi negativi che le chiusure comportavano, ecco che la Cina finisce nuovamente suo malgrado sotto attacco, per il motivo opposto.
Emblematico il titolo che campeggiava alla vigilia di Natale in prima pagina su l'edizione cartacea de Il Sole 24 Ore: “ Cina, caos covid - In 20 giorni il virus infetta 240 milioni di persone”.
Leggendo l'articolo si apprende che 248 milioni di persone nei primi venti giorni di dicembre, ossia il 18 per cento della popolazione, avrebbero contratto il covid e che solo nella giornata del venti dicembre i contagi sarebbero stati 27 milioni; ancora che gli ospedali delle metropoli sono travolte dai ricoveri e che il picco deve ancora arrivare. Il tutto condito dalle critiche (nei sottotitoli) degli Usa che chiedono alle autorità di Pechino più trasparenza sui dati.
Solamente quattro giorni prima, lo stesso quotidiano di Confindustria pubblicava un altro articolo dello stesso tenore: “Cina e Covid, crematori in crisi per il grande afflusso. Allarme Usa: virus può mutare”.
“Il paese combatte una nuova ondata di casi Covid - si leggeva nel pezzo- che stanno aumentando vertiginosamente in tutto il Paese, con gli ospedali in difficoltà e gli scaffali delle farmacie vuote” (Fonte).
Insomma qualsiasi cosa faccia la Cina verrà sempre criticata e mediaticamente messa sul patibolo: se attua misure rigide, se le revoca, non importa, la costante è parlarne sempre in maniera negativa.