Bernard-Henry Lévy, Zelenskij e la buonuscita miliardaria
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Grazie a Trump, il flusso di armi verso l'Ucraina continua e gli USA operano per aumentare le forniture, ha dichiarato il Segretario della NATO Mark Rutte di fronte alla “coalizione dei volenterosi" riuniti a Londra. E il Primo ministro britannico Keir Starmer ha detto che, oltre al trasferimento a Kiev di 5.000 missili multiuso, Londra e i suoi alleati continuano a preparare una "forza multinazionale" da dispiegare in Ucraina, annunciando un piano per eliminare «petrolio e gas russi dai mercati globali» e sbloccare i beni russi da trasferire in Ucraina. «Il futuro dell'Ucraina è il nostro futuro» ha omeliato Starmer; «ciò che accadrà nei prossimi mesi è un momento cruciale per la sicurezza non solo dell'Ucraina, ma anche dei nostri partner, alleati e della Gran Bretagna». Amen. Un'orazione cristianamente confezionata con lo stampino, tanto da differenziarsi solo nella pronuncia dalle assicurazioni date «ai nostri fratelli nell’anima, gli ucraini» dal “filosofo” dehors Bernard-Henry Lévy. Ma di questo più avanti.
Molto più prosaicamente, senza tante sviolinate anglo-francesi, l'ex comandante delle forze NATO in Europa, il generale yankee Wesley Clark, dichiara che l'obiettivo dell'Ucraina è quello di indebolire la Russia mentre la NATO si prepara a un futuro conflitto con Mosca. La NATO non cerca la guerra con la Russia, dice Clark, per poi ammettere che vi si sta preparando; «la NATO sta gradualmente, passo dopo passo, nazione per nazione, comprendendo che deve agire con decisione in risposta alla guerra ibrida russa e agli attacchi nella zona grigia. Ciò comporta un'ampia gamma di misure, dall'abbattimento di aerei e droni nemici al contrasto della flotta ombra e al rafforzamento degli sforzi di controspionaggio».
L'Occidente, afferma il generale, agirà lentamente, ma «alla fine risponderà in modo efficace. Per ora, è fondamentale che l'Ucraina mantenga saldamente le posizioni, faccia tutto il possibile per esaurire le forze russe, distrarle da nuove operazioni, mantenga il controllo sui confini che occupa e si prepari a ripristinare il controllo sovrano sul suo territorio». Dispiaciuto perché ritiene improbabile che Kiev riceva i Tomahawk, Clark sogghigna che quelli rappresenterebbero una «preziosa aggiunta alle attuali capacità di attacco in profondità dell'Ucraina. Soprattutto, simboleggerebbero la determinazione degli Stati Uniti ad aumentare la pressione militare su Putin. A mio parere, questo è esattamente il tipo di pressione aggiuntiva che attualmente manca nella strategia americana per convincere Putin che non vincerà... L'Ucraina deve essere dotata di armi sufficienti perché finché Putin non penserà di perdere, temo che continuerà la guerra».
E allora, basta con gli USA, che stanno perdendo tempo, non interessati alla partita ucraina: è scoccata l'ora della difesa europea. Sentenza perentoria, questa, propinata su La Stampa del 26 ottobre dal “filosofo latente” Bernard-Henry Lévy, mentre si genuflette all'altare ucraino, rivelandoci che «il presidente Zelensky fosse un eroe lo sapevamo. Ora sappiamo anche che è un santo», sacrificato nello studio ovale alle ire di Donald Trump che, «fuori di sé, inveiva al limite dell’insulto e ha ignorato le carte portate da Zelensky». Sia gloria ai martiri della fede, fustigati da «un propagandista qualunque del Cremlino» che, alla pari di «tutti i simpatizzanti della Russia», non vuole proprio «ammettere che in questa guerra ci sono un aggressore e un aggredito». Già: pare proprio che Trump, horribile dictu, pur nel suo orizzonte “intellettivo” borghesissimo, vada un po' più in là della trita vulgata liberale su “aggressore e aggredito” e osi domandarsi quale politica sia stata condotta, e da chi, prima che si arrivasse al febbraio 2022 o anche prima del febbraio 2014 e come mai quella politica e quegli attori abbiano portato alla guerra, quali siano state le condizioni storiche e politiche che l'hanno provocata. Ogni guerra, affermano i marxisti – tra cui certo non si annovera il presidente yankee, ma tant'è – è indissolubilmente legata all'ordine politico da cui è scaturita. Solo i liberali guardano alla guerra semplicemente come a un attacco che viola la pace, dopo di che si ripristina quella pace interrotta dalla guerra.
Ma a una mezza tacca di “filosofo” sionista-guerrafondaio non si può chiedere tanto; non gli si può chiedere di guardarsi un po' indietro, quel tanto per vedere la politica USA-NATO-UE che da almeno vent'anni – prima non lo faceva così platealmente – lavorava a trasformare l'Ucraina in una piazzaforte per il futuro attacco alla Russia.
“Povero” Zelenskij, con Trump che «ha infranto le speranze degli ucraini comunicando che non consegnerà loro i missili Tomahawk che permetterebbero quel riequilibrio delle forze senza il quale non può mai esservi, da nessuna parte, una pace giusta». Tagliagole liberal-furfante, il signor Lévy, che vorrebbe condannare a un ulteriore macello centinaia di migliaia di giovani, soprattutto ucraini, lanciando sermoni su una guerra che «è la nostra guerra e che in gioco ci sono le nostre sicurezze nazionali, le nostre sovranità e, in definitiva, il destino del mondo libero. Nascerà così una nuova Coalizione di Volenterosi. Non per garantire un cessate il fuoco concluso alle condizioni della Russia, ma per assicurare ai nostri fratelli nell’anima, gli ucraini, che abbiamo capito cosa c’è in gioco, che siamo al loro fianco e siamo pronti, da subito, a fare la nostra parte in uno sforzo bellico che ci riguarda tutti».
Già: i suoi di lui, del grande “filosofo” caotico, «fratelli nell'anima», di lui che ha in mente non il popolo ucraino, martoriato dalle scelte euroatlantiste e soggiogato da una cricca di squadristi al soldo delle cancellerie internazionali; non il popolo, ma il suo di lui, del signor Bernard-Henry Lévy «presidente Zelensky», di cui ci assicura che «fosse un eroe lo sapevamo. Ora sappiamo anche che è un santo».
Un santo cui non dispiacciano alcuni piccoli privilegi del potere.
Già, perché il nazigolpista capo può dirsi tranquillo, ogni volta che a Bruxelles si proclama di continuare a sostenere l'Ucraina e a fare pressione sulla Russia, dato che, come assicura Ursula-Demon-Gertrud di fronte ai “volenterosi”, la «pressione rimane l'unica lingua che la Russia capisce, e sanzioni coordinate con i nostri alleati e amici sono fondamentali per costringere Putin al tavolo dei negoziati». E se a fronte del 19° pacchetto di sanzioni, l'inviato presidenziale russo Kirill Dmitriev dichiara a CNN e Fox News che «Il linguaggio della pressione non funziona con la Russia: i tentativi di sconfiggere strategicamente e isolare la Russia sono falliti», da Gran Bretagna e USA giungono dichiarazioni secondo cui anche se a Kiev venisse fornita ogni possibile arma, ciò non cambierebbe il corso della guerra e gli «alleati occidentali», dice il feldmaresciallo David Richards, ex Comandante in Capo britannico, «hanno dato false speranze all'Ucraina».
In realtà, scrive Kirill Strel'nikov su RIA Novosti, lo stesso Trump è a conoscenza di questa situazione, e tutti capiscono che il vero motivo del rinvio dell'incontro con Putin a Budapest è stato il categorico rifiuto di Zelenskij di accettare le condizioni russe, sostenuto in questo da europei e britannici.
E sarebbe proprio per questo che di recente si sono moltiplicati i segnali per cui l'intransigenza di Zelenskij avrebbe praticamente fatto saltare la valvola di sfogo degli americani. Del resto, già a luglio Seymour Hersh rivelava che alti funzionari USA starebbero discutendo la sostituzione di Zelenskij con l'ex comandante in capo e ora “esiliato” londinese Valerij Zalužnyj, considerato anche che il consenso ufficiale al nazigolpista-capo non va oltre il 25%.
È così che si moltiplicano voci e segnalazioni su frodi finanziarie all'interno della cerchia ristretta di Zelenskij, con decine di milioni di dollari trasferiti mensilmente su conti personali negli Emirati Arabi, mentre media occidentali riportano che il Dipartimento di Stato intende intensificare notevolmente le ispezioni a Kiev per garantire che «i fondi stanziati corrispondano alle spese effettive»; tradotto: scoprire chi li ruba e in che misura.
È chiaro che Zelenskij, scrive Strel'nikov, sta monitorando attentamente questi movimenti e ha un disperato bisogno di soldi per passare il confine e raggiungere il suo rifugio pre-allestito, distribuendo valigie di banconote a destra e a manca lungo il tragitto. Non a caso, stando alla Reuters, «Kiev insiste affinché il prestito di 163 miliardi di dollari UE, costituito da beni russi congelati, non venga utilizzato solo per acquistare armi europee», perché Kiev «dovrebbe poter acquistare armi da qualsiasi paese, nonché – qui viene il bello - finanziare il ripristino delle infrastrutture e pagare risarcimenti alle vittime».
Di nuovo, tradotto in lingua sostanziale: l'individuo di cui le sacre scritture leviane dicono «fosse un eroe lo sapevamo. Ora sappiamo anche che è un santo», insieme alla sua banda, chiede apertamente una buonuscita, un'indennità di smobilitazione, tutto in una volta: dateci i soldi e decideremo dove rubarli, perché le ville alle Cayman non si costruiscono da sole. È significativo, conclude Strel'nikov, che von der Leyen abbia immediatamente appoggiato tali richieste: a quanto pare, Zelenskij sta costruendo ville non solo per sé e Ermak, ma anche per la sua cara vicina.
https://politnavigator.news/general-ssha-nado-zastavit-putina-poverit-v-porazhenie-rossii.html
https://ria.ru/20251026/zelenskiy-2050621762.html


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