Anche il North stream nella disputa USA tra Zelenskij e Zalužnyj
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
La notizia che campeggiava in questi giorni su media e social era che The Washington Post e Der Spiegel, citando le solite “fonti anonime”, fanno ricadere su sabotatori ucraini il brillamento del 26 settembre 2022 al North stream 1 e 2. Si cita nome e cognome del militare ucraino Roman Cervinskij che, agli ordini del generale Viktor Ganushchak e tramite questi, di Valerij Zalužnyj, avrebbe diretto l'operazione, tenendone all'oscuro Vladimir Zelenskij. A dire di TWP, Cervinskij si sarebbe addossato molte altre imprese, compiute o solo progettate, fino addirittura all'abbattimento del Boeing malese MH17, nel luglio 2014, su cui stranamente era calato il silenzio, a partire dal momento in cui si erano squagliate le “prove” ucraine sulla responsabilità russa.
Il diretto interessato, l'ex colonnello Cervinskij (già indagato per altri “insuccessi” di guerra) ha prontamente smentito l'addebito, mentre specialisti russi e americani puntano il dito direttamente sugli USA per il maggior atto terroristico messo a punto contro Mosca. Il politologo Scott Bennet ha definito Cervinskij «capro espiatorio» e ha ricordato le parole di Seymour Hersh sulla mano della CIA nella questione del North stream.
Non mi meraviglierei, ha detto Bennet alle Izvestija, se «Cervinskij scomparisse, o venisse ucciso, o lo trovassimo su una spiaggia di Miami». Deputati e senatori russi giudicano le “rivelazioni” di TWP e Spiegel un banale tentativo USA di scaricare su altri le proprie responsabilità, pur se ritengono possibile la partecipazione di Cervinskij al sabotaggio, ma in posizione molto subordinata.
Più diretto il politologo russo Vadim Trukhacev, secondo il quale non è assolutamente il caso di prestar fede alla «stampa nemica in tempo di guerra. Sarebbe come aver creduto al Völkischer Beobachter nel 1942: TWP è il megafono del partito democratico USA, mentre Der Spiegel del pro-americano Freie Demokratische Partei. Entrambi, sotto dettatura di Washington, hanno creato la storia» della responsabilità ucraina.
E, toccando la questione “Zalužnyj”, tirato in ballo anche in questa storia, non è possibile escludere una lotta sotterranea nelle alte sfere yankee tra i suoi sostenitori e i fautori di Zelenskij. Tanto più che si infittiscono le voci su piani USA per sostituire Zelenskij col comandante in capo delle forze armate, vista la situazione al fronte.
Asia Times si dice convinto che a Washington si voglia sostituire Ze(lenskij) con Za(lužnyj): o Ze sarà obbligato a tenere le elezioni presidenziali la prossima primavera, dopo di che sarà “invitato” ad andarsene, oppure, nel caso si intestardisca, la cosa verrà risolta alla maniera yankee. Ma si rafforza anche la fronda interna, soprattutto tra i militari e Ze potrebbe addirittura non esser più tra noi ancora prima delle elezioni.
Riprende forza anche l'opposizione che fa capo al predecessore golpista Petro Porošenko: Canale 5 ha chiesto al generale Dmitrij Marcenko se sarebbe disposto a occupare il posto di Zalužnyj, nel caso questi diventasse presidente e quello ha risposto che preferirebbe far parte direttamente della squadra presidenziale insieme a Za. Infatti, commenta Canale 5, l'Ucraina ha bisogno di un «presidente soldato», di un «nostro Charles De Gaulle». Come che sia, sta di fatto che chiunque diventi presidente, commenta Aleksandr Grišin su Komsomol'skaja Pravda, «a noi non fa né caldo né freddo: quello farà ciò che gli viene ordinato dall'Occidente. Un Occidente cui Ze è venuto a noia per l'aperta insolenza con cui intende sfuggire al controllo».
Addirittura il settimanale liberal-conservatore polacco Do Rzeczy scrive che l'Ucraina sprofonda sempre più nel caos, per il fallimento della controffensiva e per la contrapposizione sempre più aperta tra Ze e Za, aggravata dalla “perdita d'attenzione” sull'Ucraina dopo il 7 ottobre. Do Rzeczy ribadisce che nel 2022 l'Ucraina avrebbe potuto sottoscrivere un accordo di pace favorevole, ma l'Occidente «convinse Kiev di poter battere la Russia»; ora invece rischia seriamente di perdere parte del proprio territorio e sprofondare nel caos.
Nonostante ciò, la tedesca Bild e l'americana Bloomberg scrivono della decisione di Berlino di accrescere nel 2024 gli aiuti a Kiev: si parla di otto miliardi di euro; in tal modo, gli aiuti USA che prendono la volta di Israele, verrebbero compensati dai paesi europei. È tra l'altro attesa per questa settimana la decisione tedesca sull'aumento delle spese militari al 2,1% del PIL e, notano Stanislav Tarasov e Vladimir Pavlenko sulla russa Vzgljad, Olaf Scholz ha dichiarato di voler spendere in armamenti, già in quest'anno, due terzi del fondo speciale di 100 miliardi stanziati a inizio anno. I due autori osservano che una catena di fatti e annunci indicano che l'Occidente si stia preparando a una “grande guerra” non solo in Medio Oriente, ma anche in Europa e, molto verosimilmente, nella regione Asia-Pacifico.
Un conflitto globale, in cui i teatri di guerra potrebbero venir “assegnati” ad attori diversi, con il Pentagono che riserva per sé alcune aree (per l'appunto, la regione Asia-Pacifico, partendo dal territorio russo, una volta “sconfitta Mosca”), mentre ne lascia altre ai satelliti, demandando a Londra la cura del teatro europeo e a Tel Aviv di quello mediorientale, mentre Berlino si trasformerebbe in centro militare del Vecchio mondo, orientato in particolare sull'Ucraina.
Sta di fatto che, ricordano Tarasov e Pavlenko, Berlino ha già annunciato l'acquisto di F-35, elicotteri Chinook e sistemi Arrow da destinare a Kiev. A questo si aggiunge il fatto che, per impedirne la distruzione se venissero basati in Ucraina, è stato scelto l'aeroporto rumeno di Fetesti: in questo modo si arriverebbe a uno scontro diretto della Russia con la NATO, con Washington che lascerebbe agli europei di vedersela con Mosca.
La situazione non è affatto eccellente.