15 marzo, il "progetto europeo" di Repubblica si chiama guerra

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15 marzo, il "progetto europeo" di Repubblica si chiama guerra


di Vincenzo Brandi 

 
La manifestazione indetta dalle colonne di “Repubblica” dal giornalista Michele Serra (noto redattore di pezzi pseudo-spiritosi di ispirazione qualunquistico-“progressista”, prima sulle colonne dell’Unità, quando era iscritto al PCI, e oggi su Repubblica) è ufficialmente dedicata al rilancio del “progetto europeo” e dei suoi valori.
 
Si parla di libertà e unità dei popoli europei di fronte ai nazionalismi, agli imperialismi e alla guerra; ma è fortemente sospetto il momento in cui questo appello viene alla luce sulle colonne di un giornale che è stato per anni uno dei più accaniti sostenitori della guerra sostenuta dalla NATO in Ucraina contro la Russia (con gli Ucraini a fare da carne da macello). Infatti l’appello è stato posto subito dopo la scioccante vicenda dello scontro nella stanza ovale della casa Bianca tra il Presidente degli USA Trump, il vice-Presidente Vance, e il Presidente dell’Ucraina Zelensky. In questa vicenda, riportata da tutte le TV del mondo, il Presidente Trump, con il suo tipico stile brutale e aggressivo (molto criticato dai nostri mass media “progressisti” e dai nostri politici “democratici”) , ha detto però chiaramente a Zelensky una cosa giusta e sacrosanta: che la guerra in Ucraina deve cessare e che l’Ucraina avrebbe dovuto restituire agli USA tutti i prestiti dati dagli USA sotto forma di armi e finanziamenti per la guerra.
 
Di fronte a questa presa di posizione di Trump, i leader europei hanno risposto in modo isterico, rinnovando l’appoggio incondizionato all’Ucraina, e la volontà di continuare la guerra, fornendo anche nuove armi. Il laburista Starmer e Macron parlano addirittura di mandare truppe sul campo, mentre la portavoce dell’Unione Europea, l’esagitata Von der Leyen parla addirittura di un riarmo europeo pari a 800 miliardi di Euro in un momento in cui le economie europee sono in crisi, e con la prospettiva di tagliare nuove spese per lo stato sociale già declinante. L’ungherese Orban e lo slovacco Fico non sono d’accordo e la stessa Meloni comincia prudentemente a defilarsi negando la necessità di invio diretto di truppe.
 
In queste condizioni, rivolgersi all’orgoglio europeo per preservare questa nostra presunta isola di democrazia e civiltà dall’attacco dei barbari, senza indicare la necessità di una trattativa immediata per una pace possibile, suona come un inno di guerra. Si insiste sul pericolo che la Russia conquisti l’intera Ucraina e poi ci invada; ma questo è assolutamente falso. La Russia è intervenuta perché si sentiva (giustamente) minacciata dopo la spettacolare avanzata della NATO fino ai suoi confini e dopo il colpo di stato di Maidan del 2014 che voleva portare l’Ucraina neutrale nell’orbita della NATO. Il colpo di stato fu promosso dagli USA con la complicità dell’estrema destra ultranazionalista ucraina nostalgica delle bande nazi-fasciste che combatterono dalla parte di Hitler nella Seconda guerra mondiale guidate da Stephan Bandera (ora divenuto a Kiev l’eroe nazionale). Si sapeva che questa era una linea rossa per la Russia. E’ come se i Russi avessero organizzato colpi di stato in Messico e Canada per poi impiantarvi batterie di missili puntate su New York e Washington.
 
Ci sono state varie occasioni per fermare la guerra anni fa: nel 2015 gli Accordi di Minsk prevedevano che (a parte l’annessione della Crimea, che nei secoli era stata sempre russa e che era stata “donata” all’Ucraina solo amministrativamente all’epoca sovietica dall’ucraino Kruschev) fosse concessa alle regioni russofone dell’Est l’autonomia e il diritto (negato dai nazionalisti di Kiev) di parlare il russo. Invece le regioni dell’Est, che non avevano aderito al colpo di stato, furono attaccate militarmente e bombardate per 8 anni. Nel 2021 la NATO rifiutò la proposta russa di aprire una trattativa per un accordo di sicurezza reciproca. e poi, subito dopo l’inizio della cosiddetta “operazione speciale” , nella primavera del 2022,  il premier britannico Boris Johnson, spalleggiato da Biden, convinse gli Ucraini a rinunciare all’accordo di pace già raggiunto ad Istanbul, con la falsa prospettiva di una facile vittoria finale con l’aiuto occidentale.
 
Ora l’Europa non avrebbe razionalmente altra prospettiva che partecipare ad una seria trattativa di pace che, certo, dovrebbe tener conto della situazione sul campo. Non l’aveva già detto tempo fa papa Francesco (cui auguriamo una completa guarigione) che in certi casi bisogna essere realisti e “alzare bandiera bianca” se non vi sono alternative? Non l’aveva già detto anni fa Kissinger (politico conservatore, ma realista e intelligente) che non vi erano altre prospettive di pace se non un accordo in cui l’Ucraina avrebbe comunque dovuto fare sacrifici territoriali? Infatti più si va avanti con la guerra più la perdita di vite umane e le distruzioni crescono, e le possibili condizioni di pace peggiorano per il governo di Kiev. L’obiettivo della Russia è quello di ottenere la neutralità dell’Ucraina, un patto di reciproca sicurezza con l’Occidente ed – a questo punto - il riconoscimento della sovranità su 4 regioni russofone, già quasi completamente occupate dal suo esercito a prezzo di grandi sacrifici.
 
La manifestazione del 15 marzo – che non tiene conto della situazione reale e delle vere cause del conflitto - suona invece come un appello per continuare la guerra a spese degli Ucraini, che muoiono a centinaia di migliaia, e del benessere e lo sviluppo della stessa Europa. Presi da apparente follia, PD, CGIL, UIL, CISL, Legambiente e tutto il presunto arco “progressista” aderiscono e si lanciano in una velleitaria e pericolosa avventura. Italiani ed Europei rischiano di subire gravi conseguenze.

Vincenzo Brandi

Vincenzo Brandi

Vincenzo Brandi: ex ricercatore scientifico all’ENEA nel settore energetico, ora in pensione, negli anni ’50 e ’60 aveva militato nella FIGC e nel PCI. Dopo l’uscita dal PCI ha partecipato alle lotte del ’68 essendo uno dei leader della contestazione ed occupazione dell’ENEA. Ha militato poi in Lotta Continua e più recentemente nel PRC da cui si è allontanato per gravi divergenze con la linea di Bertinotti. E’stato tra i fondatori del Comitato No NATO insieme a Giulietto Chiesa e Manlio Dinucci. Attualmente è presidente del gruppo G.A.MA.DI (Gruppo Atei Materialisti Dialettici), membro del gruppo NO WAR e del Comitato con la Palestina nel Cuore. Partecipa al Coordinamento Palestina ed al Coordinamento No NATO

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