UNA STORIA PER MIA FIGLIA: IL TOPOLINO E IL MARXIST PUNK (TERZA E ULTIMA PARTE)

UNA STORIA PER MIA FIGLIA: IL TOPOLINO E IL MARXIST PUNK (TERZA E ULTIMA PARTE)

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Come l'AntiDiplomatico abbiamo il grande onore di pubblicare a parti un racconto che il Prof. Giulio Palermo ha scritto per sua figlia.

"L’incontro tra un topolino e un uomo-uccello in una storia a sfondo politico, una storia vera, per bambini e per adulti, ambientata nell’era della pandemia. Mentre tutto sembrava precipitare le beccacce ripresero a volare".

 

QUI PER LEGGERE LA PRIMA PARTE

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TERZA E ULTIMA PARTE



di Giulio Palermo

8.

 

Mentre aumentava la stima culturale del topolino nei confronti di quell’umano un po’ pennuto, alcuni aspetti pratici della vita di tutti i giorni cominciarono a farsi veramente fastidiosi. I topi, si sa, non sono particolarmente esigenti, si sanno adattare ad ogni genere di situazione, non come gli umani. Però, dai, quella casa era veramente sporca.

 

I topi si divertono a spaventare gli umani e a sporcare le loro case ma la Bekkaccia invece di spaventarsi sorrideva e il suo appartamento era impossibile da sporcare. Anzi, passeggiando per casa, l’unico effetto che sortiva il piccolo topolino era quello di levare un po’ di polvere dal pavimento e dai mobili.

 

Insomma, il saldo finale era negativo, la convivenza cominciava a farsi contronatura per il topo: un topo vuole sporcare, non pulire. Addirittura, a un certo punto al topolino gli venne il dubbio che la Bekkaccia, per supplire alla sua pigrizia, lo stesse usando da aspirapolvere vivente, un po’ come quei robot rotondi che aveva visto in certe case, che si spostano da soli e vanno in ogni angolo a levare la polvere.

 

Vabbè la musica, la politica e il karatè, ma il topolino cominciò seriamente a pensare di cambiare casa a causa dell’igiene!

 

Ormai con la Bekkaccia si era stabilito un solido rapporto e quindi prima di prendere decisioni avventate decise di discuterne in assemblea, come piaceva tanto alla Bekkaccia. Ovviamente, i topi, come tutti gli animali, non rivelano mai il segreto di saper parlare e quindi comunicarono a modo loro. Uno mostrando le zampette impolverate e l’altro rollandosi una canna e mettendosi ad ascoltare la musica.

 

Era chiaro, non era la mancanza di affetto e di rispetto reciproco la causa del problema. La Bekkaccia capiva le esigenze del topolino ma non temeva di dover riprendere a sviluppare la sua solitudine. In fondo, da quando era cominciata la loro convivenza, la Bekkaccia passava molto tempo solo. Decisamente, la sporcizia non era solo una questione di origini punk, c’era dell’altro, la povera Bekkaccia attraversava una fase triste e per questo era diventato così solitario e trasandato.

 

La Bekkaccia usciva da un periodo buio. Il peggio era passato, si ripeteva continuamente, ma la strada era ancora in salita. Essendo un uccello, era sempre stato molto socievole, aveva tanti amici ed era amato dai compagni. Oltre a leggere e scrivere molto, parlava ore e ore con gli studenti e alcuni di loro lo venivano anche a trovare a casa. Ma soprattutto gli piaceva andare a strillare in piazza, con la sua bandiera rossa dal manico d’acciaio, e ogni tanto, forse per eccesso di prudenza, si metteva il casco in testa anche quando usciva a piedi tra la folla. Aveva tre figli bellissimi, un maschio e due femmine, di cui era proprio innamorato. E, a giudicare dalle foto, doveva anche aver avuto una moglie piuttosto bella che però il topolino non aveva mai incontrato.

 

A un certo punto però tutto si era spento. In piazza, prima di arrivare dai suoi compagni, gli si paravano davanti i cani poliziotto per avvertirlo che lo tenevano d’occhio. Alcune cose che aveva scritto furono censurate. Nei luoghi in cui incontrava gli studenti — dove la Bekkaccia dava il meglio di sé — dissero che non doveva più andarci perché, secondo alcuni uomini potenti (per la verità, anche le donne non erano da meno), con la sua convinzione e la sua passione, voleva indottrinare i suoi allievi e convincerli a leggere l’uomo con la barba. Gli tolsero gli insegnamenti, lo isolarono e iniziarono tutti a vederlo e trattarlo come un pericolo pubblico. Il prezzo della coerenza si fece veramente alto. E, piano piano, anche il rapporto con la sua bella moglie si allentò.

 

I suoi figli a cui sia lui, sia la bella moglie tenevano molto si ritrovarono un po’ spaesati nella separazione e, per ragioni che può concepire solo una giudice donna, che di donna doveva avere ben poco, furono affidati alla mamma, con uno striminzito diritto di visita per il papà, assolutamente insufficiente a riempire d’affetto quel vuoto che si era creato.

 

Fu tutto questo insieme di cose che aveva portato la Bekkaccia a costruirsi il nuovo nido dove, per puro caso, era capitato il nostro bel topolino.

 

 

9.

 

Nico e Maia erano già grandicelli e poterono gestire autonomamente il rapporto che volevano avere con il loro papà. Avevano le chiavi di casa e potevano andare e venire quando volevano. Laura invece era più piccola e per lei valeva quanto stabilito da quella donna-non-donna, più insensibile degli uomini, che, credendo di tutelare le donne, si era dimenticata di una bambina e del rapporto speciale che aveva col suo papà.

 

Così, tra i vari effetti collaterali del nuovo coronavirus di cui parlano tutti, ci fu anche questo: la sorte di una famiglia che doveva sdoppiarsi decisa a porte chiuse da una sconosciuta, senza contraddittorio e senza che il beccaccino avesse potuto mostrarle con quale affetto gli uccelli si occupano dei loro piccoli. Per questo, la Bekkaccia non riusciva proprio ad accettare quella decisione, ai suoi occhi semplicemente assurda, che ogni giorno produceva una nuova cicatrice su un cuore ormai senza protezione.

 

Laura per fortuna aveva capito tutto sin da piccola. Aveva fatto di tutto per tranquillizzare il suo papà-uccello nei momenti in cui lo vedeva un po’ perso. Gli faceva gli scherzi se lo vedeva triste, lo portava al parco a giocare perché sapeva che a lui piacevano i bambini e gli regalava gli abbracci più forti e più dolci che una bambina può dare al suo papà.

 

E ovviamente stabilì subito un rapporto speciale anche col topolino. Non avevano modo di incontrarsi troppo spesso ma tra loro c’era una totale sintonia. Fu questa probabilmente la ragione che spinse il topolino a restare in quella casa che sembrava uno squat. Il topolino imparò i giorni in cui Laura veniva in casa, la aspettava alla porta per sfidarla a interminabili partite a nascondino e tra loro nacque una vera complicità.

 

Nella casa con la mamma, Laura aveva due gatti: Lolly e Pop. Ma a differenza degli umani che idolatrano i gatti semplicemente per la loro bellezza, a lei piacevano tutti gli animali e ogni specie differente le piaceva proprio per i suoi tratti di diversità. Quando il papà raccontava a qualche nuovo amico o conoscente che anche lui per la prima volta aveva un animale domestico, Laura si innervosiva molto della loro reazione: Un topo? Vuoi che ti presti il mio gatto?

 

Laura, che di carattere sembrava un po’ timida mentre in realtà era una specie di Rosa rossa ancora più bella e valorosa, fregandosene delle stupide regole degli adulti che impongono ai piccoli di non immischiarsi nelle cose dei grandi, saltava letteralmente al collo del malcapitato conformista di turno: ma quante cretinate riesci a dire in una sola frase? Primo, il gatto già ce l’ho, anzi ce ne ho due; secondo, i gatti non si prestano, non sono mica oggetti, sono animali se non l’hai ancora capito; e, terzo, se tu mi dici che hai un gatto, io ti chiedo come si chiama, mica ti rispondo, vuoi che ti presti un cane!

 

Dai papà andiamocene, che mi sono stancata di queste chiacchiere da bar e, se ci riesci, trovati amici meno razzisti e più simpatici. E, visto che finalmente mi hai dato la parola in questa storia che mi stai raccontando, voglio pure dirti che sto cominciando ad innervosirmi anche con te. È più di un’ora che vai avanti col tuo racconto e ancora non hai dato un nome al protagonista.

 

 

10.

 

Col tuo solito egocentrismo, hai iniziato da te stesso, Bekkaccia-punk, Bekkaccia-Marx, Bekkaccia su e Bekkaccia giù. Poi finalmente ti sei ricordato dei tuoi figli. Il nome di mamma capisco che non vuoi metterlo nella nostra storia perché concordo che non farebbe piacere nemmeno a lei ritrovarsi immortalata accanto a te dopo che ha deciso di starsene per i fatti suoi. Ma questa, l’hai detto tu stesso, è la storia di un topolino e allora non ti sembra che sia arrivato il momento di dargli un nome al nostro eroe? Dai, papà, non puoi andare avanti a chiamarlo topo! E allora tu come ti chiami: uomo? uccello? Non ce l’hai forse un nome?

 

Sì, lo so, rispose la Bekkaccia, guarda che anche io sono molto cambiato, non è vero che detesto tutti gli umani che dicono di amare gli animali e poi li mettono in prigione a casa loro o in esposizione nelle carceri a cielo aperto. L’ipocrisia borghese ha trasformato anche l’amore tra individui e tra specie in diritti di proprietà e questo non riuscirò mai ad accettarlo. Ma ho imparato a distinguere le cause sociali di questo problema dagli atteggiamenti individuali di chi, in fondo, è mosso solo dai suoi valori e dai suoi affetti. Ho imparato anch’io a valutare caso per caso e concordo con te che quel signore di prima era solo uno stupido razzista. Grazie a te, ho imparato che esistono bambine che sanno amare veramente gli animali, per quello che sono, non per come dovrebbero essere per piacere agli umani.

 

Il vero problema, che mi blocca da settimane, è che non so se dobbiamo dargli un nome da maschio o da femmina visto che, nonostante la confidenza che il topolino ha con noi, come vedi, non si avvicina mai più di tanto.

 

Dai papà non essere sempre così complicato: si vede benissimo che è una femmina. Prova un attimo a mettere da parte tutti i tuoi pregiudizi su baffi, baffoni e baffetti come tratti distintivi delle differenze di genere, che se valgono per gli umani non valgono certo per i topi, e, se non ci arrivi con la biologia, arrivaci almeno con la logica, di cui ti vanti tanto di essere esperto. Rifletti: un topo così bello deve per forza essere femmina e, anche se è maschio, proprio perché così bello, merita comunque un nome da femmina!

 

Effettivamente non fa una piega, rispose il papà. E hai dunque già pensato a un nome da femmina per il nostro topolino? Certo! Questa topolina si chiama Stella e, siccome qui in Francia non tutti parlano l’italiano, a differenza di me, di mio fratello e di mia sorella che abbiamo dei nomi che non cambiano nelle due lingue e che di fatto non significano niente, per Stella, facciamo un’eccezione: ai francesi che lo pronunciano male e che non sanno che significa consentiremo di chiamarla Étoile.

 

Mi piace, è un bellissimo nome, sono sicuro che piacerà anche a lei. Papà dai, te l’ho detto mille volte: pur essendo un uccello, tu di animali non hai mai capito molto. Se ho detto Stella, con variante Étoile, ovviamente, è perché ne ho già discusso con lei. E ora, se non ti dispiace, visto che pure come narratore non sei un granché, lascia continuare la storia a me.

 

No, no, rispose il papà. Devo andare avanti io ancora un po’, che c’è un evento triste che tu sei troppo piccola per poterlo raccontare. Perché la verità, non sapevo come dirtelo, è che Stella mi sa che se n’è andata. Io continuo a dire a tutti che abbiamo un topolino ma, in questi giorni in cui eri da mamma, Stella non è mai venuta a farmi gli scherzi e comincio ad essere un po’ preoccupato.

 

Ma no, papà, non essere triste, sarà soltanto andata in vacanza. É estate, tutti partono qualche giorno e anche Stella si sarà voluta prendere una pausa dalla tua faccia da beccaccia, per trovarsi magari un posto un po’ più ordinato e pulito dove rilassarsi un po’.

 

Lo vedi, lo dici anche tu che qui è sporco: quella secondo me ha fatto le valigie e se n’è andata, per sempre. In fondo, Stella è solo una topa domestica e le donne, si sa, ci tengono all’igiene e all’ordine in casa molto più degli uomini. Io spero soltanto che abbia incontrato un topolino bello e simpatico e sia partita con lui.

 

Anche tu, Nico e Maia piano piano vi state facendo grandi e un papà deve imparare a lasciar andare i suoi figlioli per la loro strada, dopo averli aiutati a camminare sulle loro gambe. Stella, che è intelligente come voi e che essendo un topo cresce più velocemente di voi, ha probabilmente voluto aprire le danze. E anche se spero veramente che stia bene e che abbia trovato il suo corso, non posso nasconderlo, mi manca tantissimo.

 

Sai Lauretta, mi sono documentato: i topi si riproducono con una velocità incredibile e se Stella avesse deciso di metter su famiglia qui da noi, saremmo stati costretti ad andarcene noi. Con la sua intelligenza, Stella deve aver capito che qui da noi c’è posto per un topolino ma non per un’intera famiglia e, siccome sono sicuro che ci vuole bene come noi vogliamo bene a lei, deve aver deciso di levare le tende.

 

No, papà non dire sciocchezze, Stella non sarebbe mai partita definitivamente senza dare un bacio a me e fare una pernacchia a te. Se sta in vacanza vedrai che torna e se invece, come dici tu, ha deciso di costruirsi una sua famiglia in una casa più grande ci verrà sicuramente a trovare per presentarci il suo compagno topo e i loro topolini. Tu sei forse andato via di casa senza abbracciare fortissimo il nonno, la nonna, zio Pellikano e zia Francesca, quando hai deciso di andare a vivere con mamma? Non andiamo forse a trovarli a Roma ogni volta che possiamo? È chiaro che quando ci si fa adulti, il rapporto cambia, ma gli affetti restano, quelli non hanno tempo, sono per sempre.

 

La verità, disse il papà mentre cercava di trattenere le lacrime senza riuscirci troppo, è che io temo che le sia successo qualcosa. Ci ho pensato e ripensato e avevo deciso di non dirtelo e di non metterlo nemmeno nella storia ma tu ormai sei troppo matura e hai imparato a porti sempre le domande giuste. Alla fine, con questo metodo scoprirai sempre la verità. E allora ora te lo dico. Anche perché è sempre meglio conoscere la verità, per quanto dolorosa, piuttosto che vivere nell’illusione. Le bugie e le mistificazioni servono solo a pacificare gli animi, non a migliorare il mondo.

 

Non trovo le parole e allora te lo dico così come viene: l’altro giorno, ho visto un piccolo topo spappolato dall’altra parte della strada proprio della taglia di Stella e, anche se io Stella la riconoscerei in un oceano di topi, quel povero topolino era veramente irriconoscibile.

 

Il papà si accingeva a stringere forte la sua figlioletta tra le braccia per trasmetterle tutto il calore e l’affetto che ci vogliono per superare momenti così dolorosi, quando Laura guardando il suo papà dritto negli occhi gli diede un doppio pizzicotto sulle guance e scoppiò a ridere.

 

Ahahah papà, guarda che faccia che hai, sembri una bavosa d’acquario che ha mangiato troppo cibo in scatola! Di nuovo mi cadi sulla logica: ma come può una topolina intelligente come Stella farsi schiacciare da una macchina o da una moto, ferraglia senza cervello guidata da uomini con poco cervello? Ora hai veramente superato ogni limite, statti zitto e continuo io.

 

 

11.

 

È vero, Stella si assentò per un lungo periodo, continuò Laura. Ma noi bambini siamo sensibili agli animali e sentiamo la loro presenza anche quando si nascondono. Da un po’ di giorni inoltre ho visto che anche Lolly e Pop sono molto cambiati. La sera escono sempre più spesso e si sono fatti un sacco di nuovi amici. Non solo corrono in banda nel quartiere ma, a orari ben definiti, si riuniscono in luoghi segreti, irraggiungibili per gli umani, dove restano per ore e ore a discutere. Cicli di lezioni, seminari e assemblee, cose molto serie, e poi di nuovo in strada e sui tetti a giocare. E ti dirò, anche in casa non rispettano più nemmeno quelle regole basilari che mamma aveva cercato di fissare.

 

Ovviamente, anche loro rispettano la regola numero uno del regno animale che vieta di parlare agli umani, ma con me sono diventati ancora più comunicativi di prima. L’altra sera mi hanno quasi preso per mano per mostrarmi qualcosa e io, non potendo uscire da sola in strada, li ho seguiti con lo sguardo dalla finestra.

 

Non è affatto vero che i gatti non sanno fare niente. Questo è solo quello che fanno credere agli umani quando si ritrovano soli nei loro appartamenti e non possono fare altro che lasciarsi viziare dai padroni di casa. Ma la loro natura è felina, non umana, e i felini assieme ai roditori sono tra gli animali più intelligenti del mondo.

 

Se si fanno la guerra è solo perché gli umani li hanno messi gli uni contro gli altri per approfittare meglio degli uni e degli altri. Mentre dicono che uno è bello e l’altro è brutto, in realtà li usano tutti per i loro stupidi esperimenti, per torturarli e tenerli in schiavitù, facendo credere a tutti che senza la specie umana gli animali sarebbero persi. E anche quando gli umani più sensibili gli vogliono bene veramente — parlo dei gatti ovviamente perché ai topi non gli vuole bene nessuno, a parte qualche punk londinese degli anni ottanta e i prigionieri in isolamento nelle carceri di massima sicurezza — lo fanno per puro egoismo e non si preoccupano affatto dei loro sentimenti.

 

Anche i gattini più belli e più dolci, che non vanno bene per la tortura e la vivisezione, vengono sistematicamente menomati e privati di quanto c’è di più intimo con operazioni chirurgiche naziste, eseguite da veterinari senza scrupoli, come se si trattasse di protocolli di routine. Ti misurano la pressione, la temperatura, ti dicono di stare calmo, fingono di volerti fare un semplice check-up e poi, zac, ti tagliano palle o ovaie a seconda se sei maschio o femmina.

 

Sai cosa gliene importa ai gatti e alle gatte di un gomitolo di lana con cui giocare e di un padrone che finge di volergli bene quando li hai privati del diritto all’amore tra gatti? Purtroppo, nelle case degli umani i gatti non hanno nemmeno diritto al loro corpo e ai loro sentimenti. L’addomesticamento non è un processo solo culturale bensì anche fisico. E anche se il risultato è un gatto domestico dal carattere più dolce, docile e mite — dunque più piacevole secondo gli standard umani — il metodo resta basato sulla violenza, la mistificazione e il disciplinamento del corpo.

 

Per i gatti domestici, uniformarsi alle regole della casa in cui capitano è solo una difesa istintiva di animali senza scelta. Perché purtroppo, anche se ogni casa è diversa, in tutte le case vige la stessa legge: la legge del padrone di casa.

 

Il papà a quel punto non si trattenne e interruppe la figlia: aspetta Laura, hai ragione ad affermare il punto di vista dei gatti in questa storia un po’ sbilanciata sui topi e potrai anche dirmi che gli animali sono più intelligenti e furbi degli uomini però non puoi negare che questa storia della mascherina e del coronavirus li ha rimbambiti anche a loro, gatti, topi e tutti quanti.

 

 

12.

 

In effetti, la Bekkaccia si era fatto un sacco di nuovi nemici con l’avvento del coronavirus che, per la prima volta nella storia, faceva parlare di sé più del pallone. Sin dall’inizio, a pelle, o forse a piume, non gli era piaciuto affatto il tentativo di accollare una malattia umana a un volatile seppure senza piume e non aveva sopportato la nuova mistificazione del secolo, che aveva portato la società umana, ormai individualizzata e atomizzata, a scoprire d’incanto che il bene comune esiste veramente e si realizza chiudendo tutti in casa e impedendo i rapporti sociali.

 

In più, avendo provato a sollevare qualche dubbio sulla vera gravità della malattia, in un mondo in cui si muore di ben altro senza che a nessuno gliene importi niente, e su un vaccino sperimentale che non sembrava poi così affidabile, si era beccato tutti gli insulti più infamanti: no-vax, negazionista, complottista, terrapiattista!

 

Lui, uomo di scienza e di azione, antifascista da sempre, che aveva passato la vita a dire che bisogna unirsi, che sapeva benissimo che la terra è tonda e che semplicemente, a differenza dei suoi detrattori, non conosceva solo i meccanismi che la fanno girare su se stessa e attorno al sole ma anche quelli che fanno girare la sua economia, additato ora come il peggiore degli egoisti proprio dai suoi amici e dai suoi compagni, anche da quelli che lo conoscevano bene e che con lui avevano fatto le lotte più rischiose, nelle manifestazioni in cui ci si mette il casco in testa e si va a contatto col nemico.

 

Si parte assieme e si torna assieme, avevano sempre detto in quelle occasioni. E invece ora erano tutti divisi a insultarsi reciprocamente. Non bastavano più le divisioni di sempre, umani contro animali, uomini contro donne, bianchi contro neri, Nord contro Sud, locali contro immigrati, ci voleva anche pro-vax conto no-vax!

 

D’un tratto, anche i militanti cresciuti nei movimenti no-global, no-war, no-Nato, no-debito, no-Tav, no-Muos, no-tutto, che credevano che i valori sociali si affermano nella lotta e non nell’obbedienza, si ritrovarono a condannare chi lottava per i suoi no ai ricatti dello stato e dei padroni. Non più solidarietà e complicità, come si diceva un tempo, bensì rabbia e stigmatizzazione contro chi viola le regole. Dire no, ormai, non era più l’espressione di una presa di coscienza collettiva ma una semplice manifestazione individuale di insubordinazione al bene pubblico, da reprimere con fermezza. La cultura del no, la sua storia e la sua carica rivoluzionaria spazzate via da un’iniezione di autorità e un richiamo all’obbedienza.

 

Da piccolo, prima ancora di diventare una Bekkaccia, tutti quelli che gli volevano bene gliel’avevano detto e ripetuto: studia! Non fare il fesso che poi diventi veramente fesso, studia! Segui il tuo corso e lascia dir le genti, ma studia! E lui quel consiglio l’aveva seguito sempre con passione.

 

Crescendo, quando ormai era diventato una Bekkaccia, nei momenti di maggiore confusione, si ripeteva nella testa le parole di quel vecchio operaio che gli aveva fornito la bussola infallibile per orientarsi nelle situazioni più complesse: quando il padrone dice una cosa, lotta per il contrario. Anche se non capisci completamente quello che sta accadendo o credi invece di aver capito tutto, vedrai che alla fine ti si ritorce contro.

 

E ora che era invecchiato senza mai essere stato una persona matura secondo i parametri della società umana, la povera Bekkaccia non riusciva a capacitarsi di tutte quelle divisioni. A cos’erano servite tutte quelle lotte? Dov’era finito il suo vecchio maestro-operaio che non aveva avuto il diritto di studiare ma che gli aveva fornito l’insegnamento più grande? Com’era possibile che le divisioni continuassero ad aumentare quando in fondo la vera divisione, da cui tutte le altre discendono, è sempre la stessa? E com’era possibile che questa nuova divisione, causata da un organismo minuscolo, che non si vede nemmeno, potesse prendere il sopravvento su tutto e su tutti?

 

A un certo punto, la Bekkaccia sbottò: insomma Laura, io ho girato il mondo e conosciuto uomini, donne e animali di ogni specie ma non avevo mai visto topi e gatti anche loro con la mascherina sul viso. Temo veramente che questo virus che blocca il respiro e il pensiero critico abbia colpito anche loro.

 

E no, papà, nella depressione generalizzata che ha colpito l’umanità e che tu dicevi di aver respinto grazie alla tua forza interiore, in realtà, ci sei cascato un po’ anche tu. La forza interiore se non abbracci mai nessuno e non la trasmetti ai tuoi compagni, piano piano si spegne. È solo che non te ne accorgi, come accade a quelle povere rane che vengono messe nell’acqua tiepida, dove inizialmente si sentono al calduccio e al sicuro e che poi perdono progressivamente la forza di reagire mentre l’acqua sale di temperatura e si ritrovano bollite nei piatti degli chef più raffinati secondo gli umani e più crudeli secondo gli animali. Stare troppo tempo soli non fa bene e anche se tu ti difendi come puoi, stai veramente perdendo quel po’ di razionalità che ti era rimasta.

 

Non lo vedi che, per la prima volta nella storia, la sperimentazione farmaceutica si fa sugli umani invece che sui topi? Come credi che sia avvenuto tutto questo? Perché gli umani si sono rimbambiti ancora di più di quanto già non lo fossero? Riesci veramente a concepire cose così illogiche e impossibili? La specie umana ha ormai toccato il fondo, lo capisce anche un bambino, cos’altro può fare di più stupido, far esplodere il mondo?

 

A cosa credi che servano le mascherine che indossano topi e gatti e anche qualche cane? Te lo dico io, paparino triste e ingenuo: a lasciar crescere barbone e baffoni senza che gli umani se ne accorgano! Queste cose non accadono per caso. E non basta nemmeno che la sofferenza e la povertà del regno animale si facciano sempre più gravi. Né che molti animali prendano coscienza che il mondo in cui viviamo non è affatto il migliore dei mondi possibili, bensì è una semplice schifezza in cui uno comanda e cento subiscono. Ci vuole un piano, una strategia!

 

E se non l’hai ancora capito, l’unico animale che poteva sviluppare questo piano è Stella, la nostra Stella! È lei che ha organizzato tutto. Figurati se i topi, così intelligenti ed evoluti, possono veramente aver paura di un’entità biologica primordiale che non si sa nemmeno se è veramente viva. Loro i coronavirus se li mangiano a colazione.

 

Semplicemente, Stella ha dovuto mantenere il segreto anche con noi per questioni di sicurezza. Ci sono spie e traditori dappertutto e i metodi di tortura esistenti riuscirebbero a far cantare Boccelli e Pavarotti come Darby Crash e Jello Biafra. Se non ci ha detto niente è per proteggerci. Nascondersi dalle donne con la scopa o dalle ditte anti-ratto è un gioco da ragazzi per i topi ma la lotta politica e la Resistenza sono un’altra cosa. Non sono per tutti. Non si può mettere a rischio un piano rivoluzionario solo perché tra il nemico di specie si annidano persone un po’ speciali come te e come me.

 

 

13.

 

Mentre tutti parlavano e sparlavano di complottismo, Stella il complotto — come lo chiamano gli umani, e che lei invece più correttamente chiama strategia — l’ha organizzato veramente! Credi che non abbia sofferto quando ha visto anche lei il topolino troppo audace e inesperto caduto in battaglia?

 

Ma i morti non muoiono se la loro vita e le loro idee servono a far avanzare le cose e a realizzare un mondo migliore. Al funerale del topolino spappolato sul marciapiede c’erano migliaia di animali, tantissimi topi ma anche altre specie solidali che degli umani cominciavano veramente ad averne abbastanza.

 

Ma quello era solo l’inizio. Perché la Rivoluzione, papà, non è un pranzo di gala. Ci sono dolori e sofferenze, un passo avanti e due indietro. Ma poi di nuovo avanti tutta. Purtroppo, le perdite di compagni e compagne sono inevitabili quando si lotta. Quel topolino spappolato a bordo strada si chiamava Gennarino ed era molto giovane. Era arrivato a Nizza a bordo di un cargo perché aveva sentito dire che Stella stava organizzando qualcosa.

 

Ma non ti preoccupare, non sarà affatto ricordato in quell’orribile immagine che hai visto tu e che hanno visto anche i suoi compagni napoletani venuti assieme a lui, ma nelle sue gesta eroiche, mentre sfidava da solo quelle macchine infernali che inquinano il pianeta e ci impediscono di passeggiare nelle vie della nostra città. È così che l’hanno rappresentato in un murales vicino al porto, proprio a metà strada tra casa tua e casa di mamma. Me l’hanno fatto vedere Lolly e Pop: è bellissimo, credimi.

 

E ora vieni, papà-beccaccia, dispiega una buona volta le tue ali e mostrami che sai volare veramente. La Bekkaccia, che in verità aveva questo nome solo perché da giovane punk gliel’avevano appioppato per sfotterlo, si accorse che effettivamente le ali per volare ce le aveva davvero. Doveva solo imparare a levarsi in volo assieme a tutti gli altri perché solo gli uccelli stupidi o rapaci volano da soli e tu, papà, per quanto non sei un genio né un non-violento, non sei affatto stupido, né aggressivo.

 

Prendimi dunque sulle tue spalle e unisciti a quello stormo di rondini stanche di migrare. È il momento di finirla con gli umani che vogliono comandare e con i padroni di casa che pensano di dividere i loro coinquilini, dominarli e metterli gli uni contro gli altri.

 

Iniziarono dunque l’ascesa con i brividi del primo volo, un volo veramente speciale, perché quello stesso brivido da primo volo lo stavano provando anche gli uccelli che volavano da sempre e anche gli altri animali che erano rimasti a terra.

 

Dall’alto del cielo, Laura e il suo papà videro uno spettacolo incredibile: un corteo infinito di bandiere rosse e anche tantissime bandiere nere, tutte con l’asta d’acciaio proprio come quella della Bekkaccia, impugnate da animali di ogni sorta, pronte ad abbattersi sulla testa dei padroni di casa e dei loro servi.

 

Tutti gli animali avevano abbassato le loro mascherine e mostravano orgogliosi il loro pelo. In testa a tutti, c’era lei, Stella, con una barbona bellissima, perché senza quella bella barba non ci sarebbero mai stati né pizzetti, né baffoni, né tantomeno Barbudos e rivoluzionari senza peli.

 

E già perché ai leader più pelosi si erano uniti anche animali dal pelo più corto o dalla pelle liscia, di ogni epoca e provenienza: non solo l’uomo-gatto di cui abbiamo già parlato ma anche quell’altro micione coi capelli da punk, venuto anche lui dall’oriente, di cui nessuno sa niente ma che tutti odiano, e che invece a me è sempre stato simpatico perché ride, gioca coi bambini e per difendere il suo popolo è pronto a tutto. E c’era anche il gatto dalla camicia rossa, che tutti riconoscono proprio dai suoi occhi, pieni di forza e d’amore, che quando i bulldog americani provarono a rapirlo, fu riportato a casa dall’amore in armi di un popolo in rivolta.

 

C’erano poi tanti leoni, che avevano lottato gran parte della loro vita dall’interno delle gabbie in cui gli umani più disumani li avevano rinchiusi. Il più forte di tutti era anche il più gracile, almeno in apparenza: il mastino mascellone con lo stivalone fece di tutto per annientarlo ma appeso a testa in giù ci finì lui, con tutti gli stivali, perché certe idee sono più forti del manganello.

 

Molti animali vollero portare anche i loro parenti per quel grande giorno e Stella ebbe un sussulto di gioia ed emozione quando, tra le tigri d’oriente, vide lo zio Ho che per primo sconfisse lo zio Sam.

 

Stella si era fatta tantissimi amici e amiche, compagni e compagne, attorno a lei c’erano i topi più valorosi, Lolly e Pop e tantissimi altri gatti e anche qualche cane, sebbene i cani poliziotto tentassero ancora disperatamente di riportare l’ordine che piace tanto solo ai loro padroni. Ma nulla potevano contro i branchi di gatti auto-organizzati, forti come Pantere nere, pronti a difendere se stessi, i loro compagni e le loro compagne con i loro artigli affilati.

 

Perché lo sbaglio degli umani, in cui gli animali non caddero, è quello di credere alle storie che racconta chi comanda: sempre grandi principi e valori morali e intanto si fomentano le divisioni di specie e le guerre tra poveri. Invece di litigare tra loro o di pretendere di essere la specie eletta, gli animali iniziarono semplicemente a combattere tutti assieme, per costruirlo nella pratica quotidiana della lotta quel nuovo mondo di solidarietà animale, anche un po’ punk hardcore.

 

Troppo presi dalle loro divisioni, individualizzati nell’anima, gli umani non poterono offrire nessuna resistenza all’offensiva animale. Perché una specie senza società non può nulla contro la Società delle specie.

 

Le case non avevano più padroni e gli animali erano finalmente liberi di organizzare la loro vita senza dover dipendere da un umano che stabilisce chi è bello e chi brutto e che dispensa cibo in cambio di schiavitù.

 

Stella alzò lo sguardo e, col sole negli occhi, vide che la Bekkaccia, con la sua cresta rinvigorita stagliata fieramente nel cielo, le ali dispiegate e Laura sul suo dorso, anche lei a braccia ben aperte, un po’ all’indietro alla Naruto, per sentire meglio il fischio del vento, formavano una bellissima stella a cinque punte. Chiuse il pugno, levò alta la zampa e, sapendo di violare una regola fino ad allora inviolabile, gridò, nella lingua degli umani: esseri viventi di tutto il pianeta, unitevi! Era l’inizio di una nuova era.

 

Ora però, papà, dormi, che si è fatto tardi e vedrai che quando ti svegli, come mi hai detto tu stesso all’inizio della nostra storia, la nostra storia non è affatto una semplice storia. Siamo solo andati un po’ avanti nel tempo ma io e te lo sappiamo: è tutto vero!

 

 

RIFERIMENTI POLITICO-MUSICALI IN ORDINE DI APPARIZIONE

 

Mao Tse Tung, Il Capitale, Marx, Lenin, Stalin, Hitler, Los (gruppo punk hard-core), Kim Hero (gruppo punk nuclear-core), The Stranglers, Il sol dell’avvenire, Trotsky, Fidel Castro, Che Guevara, Cienfuegos, Rosa Luxemburg, Segui il tuo corso e lascia dir le genti (Marx), Boccelli, Pavarotti, Darby Crash (cantante dei Germs), Jello Biafra (cantante dei Dead Kennedys), La rivoluzione non è un pranzo di gala (Mao Tse Tung), Un passo avanti e due indietro (Lenin), Gennaro Capuozzo (eroe delle quattro giornate di Napoli), Kim Jong Un, Chavez, Gramsci, Mussolini, Ho Chi Minh, The Black Panther Party, Naruto (eroe ninja), Fischia il vento, Proletari di tutto il mondo unitevi! (Marx e Engels).

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