Trump parte con il piede sbagliato: i colloqui con Putin rischiano di fallire ancor prima di iniziare?
di Clara Statello
La finestra di opportunità per i negoziati che Mosca aveva aperto si restringe. Le minacce del presidente Trump di far sedere la Federazione Russa al tavolo delle trattative con le cattive, se le “buone” non basteranno, appaiono come un sonoro schiaffo a Vladimir Putin e alla sua manifesta disponibilità a colloqui su basi egualitarie.
Il nuovo inquilino della Casa Bianca mostra di voler trattare con la controparte russa da una posizione di forza. Intende utilizzare la leva della guerra commerciale e delle sanzioni, se Putin non cederà su un rapido cessate il fuoco in Ucraina.
“Se non troviamo un accordo, e in tempi brevi, non ho altra scelta che imporre alti livelli di tasse, tariffe e sanzioni su tutto ciò che viene venduto dalla Russia agli Stati Uniti e a vari altri Paesi partecipanti”, ha scritto ieri in un post di Truth.
Il Cremlino risponde in punta di fioretto alla sciabolata di Trump:
“La Russia è pronta al dialogo paritario con gli USA, Mosca attende segnali da Washington che però, al momento, non sono arrivati”, commenta in maniera sibillina il portavoce Dmitry Peskov.
Insomma la leadership russa resta aperta ad un confronto, osserva con attenzione il suo interlocutore, ma finora da oltreoceano arrivano solo chiacchiere. Nessun passo concreto di preparativi per un incontro tra i due presidenti.
L’accento cade sul termine “paritario”, che rinnova le richieste di Putin inoltrate a Trump lunedì, poco prima del suo giuramento come 47° presidente degli Stati Uniti d’America. Nel video, congratulandosi per il nuovo incarico, il capo di stato russo ha ufficializzato la disponibilità a rilanciare un dialogo tra Stati Uniti e Federazione Russa sulla base di relazioni di uguaglianza e di cooperazione, soprattutto per questioni strategiche e di stabilità globale. Inoltre ha affermato che Mosca non accetterà un cessate il fuoco temporaneo, ma una pace duratura basata su un’architettura di sicurezza che non danneggi gli interessi della Russia e del popolo russo. Altrimenti continuerà a combattere per raggiungere militarmente i propri obiettivi strategici.
Il post pubblicato ieri su Truth, appare quindi come una risposta negativa alle richieste di Putin. Non ci sarà alcun rapporto paritario, gli Stati Uniti restano la potenza egemone. Con le buone o con le cattive la Russia dovrà accettarlo.
Inoltre Trump ignora la richiesta di ridefinizione delle questioni strategiche e di sicurezza, sollevata da Mosca. Prevale la questione umanitaria: la fine delle uccisioni. Un cessate il fuoco può bastare.
Insomma la sua strategia è quella di un ritorno a Minsk 2.0 che i paesi della NATO dovranno gestire con un aumento delle spese per la difesa al 5% del PIL. Dietro il paravento umanitarista, va da sé, si nasconde (neanche troppo bene) l’ideologia dell’America First.
Del resto se Trump vuole ripristinare il “primato americano” sull’ordine globale, come può mai accettare di porsi allo stesso livello di Putin?
Con queste premesse i futuri rapporti tra Casa Bianca e Cremlino non promettono nulla di buono.
Una reazione più esplicita arriva dal capo dei servizi segreti russi, Sergey Naryshkin. In un'intervista a RIA Novosti ricorda a Washington che l’era del mondo unipolare a guida statunitense è tramontata.
Gli Stati Uniti stanno “perdendo il controllo – ha dichiarato - e allo stesso tempo sono apparsi nel mondo nuovi attori potenti e autorevoli che hanno già un grande potenziale: potenziale di sviluppo, potenziale e capacità di garantire la sicurezza e la stabilità globale”.
D'altro canto, l'avvertimento di Trump va interpretato come una mossa strategica in vista dei colloqui, volta ad alzare la posta sia agli occhi dei cittadini statunitensi che dei partner di Washington. Secondo quanto si legge sul Washington Post, l’opinione di alcuni repubblicani è che, nonostante il duro discorso, se i leader si incontreranno, Trump potrebbe addirittura “capitolare”. Putin otterrebbe tutto ciò che vuole, ma il presidente statunitense dimostrerà di aver posto fine alla guerra, afferma sotto anonimato un repubblicano.
La Russia ha da tempo reso note le sue condizioni per fermare la guerra:
? Neutralità dell’Ucraina, con forti garanzie di una sua non adesione alla NATO;
? Riconoscimento dei territori annessi o conquistati;
?Denazificazione, ovvero la sostituzione di Zelensky e della sua squadra, nonché lo smantellamento delle organizzazioni di neonaziste;
? La smilitarizzazione dell’Ucraina, ovvero il suo indebolimento militare in modo da non minacciare la Federazione Russa.
Se Donald Trump difficilmente rimetterà in discussione gli assetti globali, potrebbe però accettare queste condizioni di Mosca. Inoltre la sua politica di ridimensionamento del ruolo statunitense nella NATO e di disimpegno in Ucraina potrebbe convergere, tutto sommato, con gli interessi del Cremlino.
Ad esempio la riduzione di un 20% della presenza del contingente americano in Europa (circa 20.000 uomini in meno), annunciata ieri da Ansa, è una cattiva notizia per la UE, ma una buona notizia per la Russia. Tuttavia Putin si accontenterà di una vittoria locale, lasciando aperta la partita strategica per i nuovi equilibri geopolitici globali e per l’architettura di sicurezza in Europa, ovvero le ragioni che hanno provocato la guerra?
Mantenere la promessa di porre fine ai combattimenti si sta rivelando un compito più complicato del previsto per Trump, che in campagna elettorale aveva giurato di risolvere il problema in 24 ore, con una semplice telefonata. Al primo giorno di insediamento, però, ha rischiato di compromettere definitivamente la possibilità di negoziati con Mosca. Un azzardo che non lascia presagire nulla di buono.
Dopo il bagno di realtà, il neopresidente ha affidato al suo inviato speciale in Ucraina e Russia, l’ex generale in pensione Keith Kellogg, la missione di trovare una soluzione in 100 giorni. Se fallirà, il rischio di un’escalation diretta fra Russia e Stati Uniti è dietro l’angolo.